Il
presidio del 16 aprile appena trascorso, contro il 41bis e il divieto
di ricevere libri dall’esterno imposto ai prigionieri ristretti sotto
questo regime, svoltosi sotto le mura del carcere sassarese di Bancali
(ove è presente una sezione di 41bis) è stato organizzato dal Collettivo
S’IdeaLìbera e dalla Biblioteca dell'Evasione e vi hanno aderito varie
realtà e singoli militanti, operanti nel territorio sardo.
Il concentramento, previsto per le 11:00 della mattina, è stato preceduto da un volantinaggio informativo sulle ragioni della mobilitazione, a cura di un primo nucleo di compagni del collettivo organizzatore, diretto ai familiari dei prigionieri che si recavano ai colloqui.
Da subito si è presentata una situazione grottesca, quanto vergognosamente indicativa del livello repressivo che lo Stato borghese riserva a questa tematica. A fronte dei primi quattro compagni giunti in loco, si sono materializzati
rispettivamente: due blindati, uno di poliziotti e uno di carabinieri, colmi di agenti; una squadra del GOM della polizia penitenziaria in tenuta “operativa” che ha realizzato un posto di blocco a metà strada del perimetro che porta all’ingresso del carcere, bloccando chiunque passasse e costringendo tutti i parenti a parcheggiare prima, a essere perquisiti e a recarsi al colloquio a piedi, con i pacchi in mano; l’organico della Digos al gran completo, guidato dal questore di Sassari (almeno quattro-cinque auto, di cui due in pattugliamento costante); una pattuglia della Guardia di Finanza; infine, due auto della polizia municipale. Sul muro di cinta è stato rafforzato il servizio di sorveglianza, ed affiancato da alcuni ufficiali dei carabinieri e da un ulteriore addetto alla videocamera portatile, in aggiunta ai soliti morbosi digossini.
È facile capire che questa pagliacciata è la reazione a una contestazione sotto un carcere, per di più in attacco al 41bis, presentato come un indispensabile strumento di lotta alla mafia illegale (visto che quella legale, il capitalismo, è il modo di produzione che informa società e istituzioni!), che va a toccare quella che è la “punta di diamante”, rappresentante la sintesi del modello di funzionamento del sistema penitenziario italiano e la sua perversa logica di premialità, nonché la vetta di accanimento repressivo verso tutti coloro che non vengono ritenuti “utili”, cooptabili, disposti a reggere la scure al proprio boia, o che semplicemente si intende “spezzare” fisicamente e moralmente per convincerli a trasformarsi in infami. Per essi non valgono le chiacchiere sulla funzione rieducativa della pena e sul cosiddetto “senso di umanità”, contenute nel loro art. 27 della Costituzione (che in maniera beffarda campeggia inciso nel marmo all’ingresso di molte galere), né i vari cataloghi di principi e “diritti umani”.
Contro i detenuti in 41bis lo stato borghese getta la maschera, e sfoggia la sua più bieca brutalità, di cui quest’ultimo divieto non è che un aspetto, per quanto significativo. Una restrizione che come molte altre potrebbe essere estesa, con la stessa arrogante discrezionalità tipica degli organi esecutivi dei capitalisti, a tutto il corpo dei prigionieri: su questo aspetto ci siamo soffermati con più forza, specie discutendo con i familiari.
Il dispiegamento di forze all’arrivo è stato pateticamente giustificato, di fronte alle richieste di spiegazioni avanzate da alcuni familiari, con lo svolgimento di un processo all’interno del carcere a carico di alcuni pakistani di recente arrestati in Sardegna con l’accusa di terrorismo internazionale, circostanza del tutto priva di fondamento e fra l’altro smentita con sarcasmo persino dalla svogliata pattuglia di vigili urbani.
Nonostante queste circostanze il volantinaggio è proseguito regolarmente, favorito involontariamente dalla sbirraglia con la costrizione per i familiari a parcheggiare ove stazionava il presidio. Alcuni di essi peraltro si sono offerti di distribuire il volantino nella sala d’attesa dei colloqui, all’interno del carcere.
Alle ore 11:00, con puntualità, il sito è stato raggiunto dagli altri compagni, provenienti dal resto dell’isola, che hanno dato corpo al presidio con cori e richiami ai detenuti. Ci è stato riferito da oltre lo sbarramento che man mano che i compagni arrivavano, i loro nomi, evidentemente già noti, venivano annotati dai cani da guardia.
I prigionieri, nonostante il vento e la distanza delle sezioni dalla cinta e dalla strada, sono riusciti ad udire e si sono affacciati alle sbarre delle celle, esponendo alcuni cartelli (purtroppo illeggibili a distanza) e alcune strisce di stoffa colorata, rispondendo agli slogan, e mettendo in atto in alcuni momenti una “battitura”.
I compagni fuori sono riusciti a montare a distanza utile due casse altoparlanti, tramite le quali si è riusciti a spiegare e far sentire all’interno le ragioni del presidio, a rendere noto che sotto molte altre carceri si sarebbero svolte iniziative analoghe, a leggere o sintetizzare alcuni comunicati pervenuti dai detenuti in lotta, nello specifico da Massama (OR) e da Opera (MI), inframezzando le parole con un po’ di musica. La risposta dall’interno è stata calorosa per tutta la durata del presidio, contrapposta alle ghigne contratte degli sbirri e dei secondini.
Non si ha certezza dell’aver raggiunto anche la sezione di 41bis, subdolamente collocata nel punto più interno e distante dalle mura dell’area del carcere, ma la notizia del presidio è pervenuta o perverrà loro a breve, a dispetto della volontà di isolamento totale che ispira questa forma di tortura
Il concentramento, previsto per le 11:00 della mattina, è stato preceduto da un volantinaggio informativo sulle ragioni della mobilitazione, a cura di un primo nucleo di compagni del collettivo organizzatore, diretto ai familiari dei prigionieri che si recavano ai colloqui.
Da subito si è presentata una situazione grottesca, quanto vergognosamente indicativa del livello repressivo che lo Stato borghese riserva a questa tematica. A fronte dei primi quattro compagni giunti in loco, si sono materializzati
rispettivamente: due blindati, uno di poliziotti e uno di carabinieri, colmi di agenti; una squadra del GOM della polizia penitenziaria in tenuta “operativa” che ha realizzato un posto di blocco a metà strada del perimetro che porta all’ingresso del carcere, bloccando chiunque passasse e costringendo tutti i parenti a parcheggiare prima, a essere perquisiti e a recarsi al colloquio a piedi, con i pacchi in mano; l’organico della Digos al gran completo, guidato dal questore di Sassari (almeno quattro-cinque auto, di cui due in pattugliamento costante); una pattuglia della Guardia di Finanza; infine, due auto della polizia municipale. Sul muro di cinta è stato rafforzato il servizio di sorveglianza, ed affiancato da alcuni ufficiali dei carabinieri e da un ulteriore addetto alla videocamera portatile, in aggiunta ai soliti morbosi digossini.
È facile capire che questa pagliacciata è la reazione a una contestazione sotto un carcere, per di più in attacco al 41bis, presentato come un indispensabile strumento di lotta alla mafia illegale (visto che quella legale, il capitalismo, è il modo di produzione che informa società e istituzioni!), che va a toccare quella che è la “punta di diamante”, rappresentante la sintesi del modello di funzionamento del sistema penitenziario italiano e la sua perversa logica di premialità, nonché la vetta di accanimento repressivo verso tutti coloro che non vengono ritenuti “utili”, cooptabili, disposti a reggere la scure al proprio boia, o che semplicemente si intende “spezzare” fisicamente e moralmente per convincerli a trasformarsi in infami. Per essi non valgono le chiacchiere sulla funzione rieducativa della pena e sul cosiddetto “senso di umanità”, contenute nel loro art. 27 della Costituzione (che in maniera beffarda campeggia inciso nel marmo all’ingresso di molte galere), né i vari cataloghi di principi e “diritti umani”.
Contro i detenuti in 41bis lo stato borghese getta la maschera, e sfoggia la sua più bieca brutalità, di cui quest’ultimo divieto non è che un aspetto, per quanto significativo. Una restrizione che come molte altre potrebbe essere estesa, con la stessa arrogante discrezionalità tipica degli organi esecutivi dei capitalisti, a tutto il corpo dei prigionieri: su questo aspetto ci siamo soffermati con più forza, specie discutendo con i familiari.
Il dispiegamento di forze all’arrivo è stato pateticamente giustificato, di fronte alle richieste di spiegazioni avanzate da alcuni familiari, con lo svolgimento di un processo all’interno del carcere a carico di alcuni pakistani di recente arrestati in Sardegna con l’accusa di terrorismo internazionale, circostanza del tutto priva di fondamento e fra l’altro smentita con sarcasmo persino dalla svogliata pattuglia di vigili urbani.
Nonostante queste circostanze il volantinaggio è proseguito regolarmente, favorito involontariamente dalla sbirraglia con la costrizione per i familiari a parcheggiare ove stazionava il presidio. Alcuni di essi peraltro si sono offerti di distribuire il volantino nella sala d’attesa dei colloqui, all’interno del carcere.
Alle ore 11:00, con puntualità, il sito è stato raggiunto dagli altri compagni, provenienti dal resto dell’isola, che hanno dato corpo al presidio con cori e richiami ai detenuti. Ci è stato riferito da oltre lo sbarramento che man mano che i compagni arrivavano, i loro nomi, evidentemente già noti, venivano annotati dai cani da guardia.
I prigionieri, nonostante il vento e la distanza delle sezioni dalla cinta e dalla strada, sono riusciti ad udire e si sono affacciati alle sbarre delle celle, esponendo alcuni cartelli (purtroppo illeggibili a distanza) e alcune strisce di stoffa colorata, rispondendo agli slogan, e mettendo in atto in alcuni momenti una “battitura”.
I compagni fuori sono riusciti a montare a distanza utile due casse altoparlanti, tramite le quali si è riusciti a spiegare e far sentire all’interno le ragioni del presidio, a rendere noto che sotto molte altre carceri si sarebbero svolte iniziative analoghe, a leggere o sintetizzare alcuni comunicati pervenuti dai detenuti in lotta, nello specifico da Massama (OR) e da Opera (MI), inframezzando le parole con un po’ di musica. La risposta dall’interno è stata calorosa per tutta la durata del presidio, contrapposta alle ghigne contratte degli sbirri e dei secondini.
Non si ha certezza dell’aver raggiunto anche la sezione di 41bis, subdolamente collocata nel punto più interno e distante dalle mura dell’area del carcere, ma la notizia del presidio è pervenuta o perverrà loro a breve, a dispetto della volontà di isolamento totale che ispira questa forma di tortura
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