Francesco
Cecchini
DIGA
DI MOSSUL, SOTTO SCORTA ARMATA.
Intervistato
lo scorso marzo dal
giornalista di Al
Monitor Wilson
Fache,
che si era recato nell’area della diga per un reportage, un
abitante della parte di hinterland di Mosul sotto il controllo dei
peshmerga curdi (come la diga),
ha usato le parole del condottiero berbero Tariq Ibn Ziyad per
descrive la situazione degli abitanti dell’area: “Ora
ci troviamo con il nemico davanti a noi e il mare profondo dietro di
noi”.
LA
GEOLOGIA.
La
diga di Mosul, originalmente conosciuta come Saddam Dam, sul fiume
Tigri, nel governatorato occidentale iracheno di Ninawa, si trova
circa 50 chilometri a nord della città di Mosul, controllata
dall’Isis, meglio detto, capitale del Califfato. La sua
costruzione, cominciata nel 1980, fu decisa da Saddam Hussein, nel
quadro di un piano di “arabizzazione” del nord curdo dell’Iraq. Fu costruita da un consorzio italo-tedesco Hochtier Aktiengesellschaft -Impregilo, che la completò nel 1984. Lo sbarramento è lungo 3,2 chilometri per un'altezza di 131 metri. Ė la quarta diga più grande del Medio Oriente e la più grande dell’Iraq. Componente chiave dell’energia elettrica nazionale: 4200 megawatt di turbine generano 320 MW di elettricità al giorno.
I lavori di impermeabilizzazione e di consolidamento furono eseguiti dall'impresa italiana Ing. Rodio S.p.A. di Milano. Fin dai lavori di indagine geologica, eseguiti sempre dalla Rodio, e che compresero anche lo scavo di un tunnel esplorativo si sapeva che il suolo di fondazione, argilla e gesso carsico, non era adatto alla struttura. Il consorzio non si curò delle caratteristiche non idonee del suolo del territorio scelto per la “grande opera” del governo di Saddam Hussein. I lavori furono completati nel 1984.
quadro di un piano di “arabizzazione” del nord curdo dell’Iraq. Fu costruita da un consorzio italo-tedesco Hochtier Aktiengesellschaft -Impregilo, che la completò nel 1984. Lo sbarramento è lungo 3,2 chilometri per un'altezza di 131 metri. Ė la quarta diga più grande del Medio Oriente e la più grande dell’Iraq. Componente chiave dell’energia elettrica nazionale: 4200 megawatt di turbine generano 320 MW di elettricità al giorno.
I lavori di impermeabilizzazione e di consolidamento furono eseguiti dall'impresa italiana Ing. Rodio S.p.A. di Milano. Fin dai lavori di indagine geologica, eseguiti sempre dalla Rodio, e che compresero anche lo scavo di un tunnel esplorativo si sapeva che il suolo di fondazione, argilla e gesso carsico, non era adatto alla struttura. Il consorzio non si curò delle caratteristiche non idonee del suolo del territorio scelto per la “grande opera” del governo di Saddam Hussein. I lavori furono completati nel 1984.
La
diga ha sofferto fin dall’inizio problemi, che resero, quasi
immediatamente, necessarie iniezioni di cemento micro fine. Una stima
parla di circa 90 milioni di chili di cemento iniettato che però
furono inefficaci e non hanno risolto il problema. Anzi sembra
abbiano causato ulteriori deterioramenti agli strati di gesso carsico
di fondazioni e alla struttura. Le continue iniezioni di cemento
hanno fatto si che le aperture nel gesso si aprissero sempre più,
lasciando cavità al posto del dissolto gesso, movimenti di ingenti
quantità di cemento e in superfice sussidenze tutt’intorno alla
diga.
Nel
2007 la diga di Mosul fu oggetto di due rapporti dei tecnici
dell’americano Corp of Engineers (USACE) che misero in luce
caratteristiche e pericolosità:
e
Martedì
19 e mercoledì 20 aprile scorsi il Centro
studi americani,
in collaborazione con l’Ispi,
ha ospitato l’Iraq Crisis Conference, un ciclo di conferenze
promosso dal Pafi
(Peace
Ambassadors for Iraq).
Nadhir
al-Ansari,
docente presso la facoltà di ingegneria del Politecnico di Lulea
alla costruzione della diga ha preso parte in prima persona, ha
fornito un quadro completo dei numerosi problemi geotecnici.
GLI
ALLARMI.
A
fine febbraio 2016, Il governo iracheno e l'ambasciata Usa a Baghdad
hanno messo in guardia i residenti lungo il fiume Tigri su un
possibile cedimento della diga di Mosul. Hanno affermato che Il
rischio di caduta è “serio
e senza precedenti. Un'evacuazione rapida rappresenta lo strumento
più efficace per salvare vite di centinaia di migliaia di iracheni”.
Ultimamente
anche l’ONU ha lanciato l’allarme: "Rischio
catastrofe, fate
presto"
Secondo gli analisti, il cedimento della diga potrebbe travolgere tra
i 500mila e l'1,4 milioni di iracheni che vivono lungo le rive del
fiume Tigri. In una riunione, il 10 marzo scorso, presieduta
dall'ambasciatrice Usa Samantha Power e dall'ambasciatore iracheno
Mohamed Alhakim si è fatto un appello alla comunità internazionale
di "effettuare
al più presto i lavori
necessari"
e di istruire la popolazione sulle vie di fuga in caso di
inondazione. Il cedimento della struttura potrebbe avvenire anche con
scarsissimo preavviso e le conseguenze sarebbero devastanti: "se
si dovesse aprire una falla - ha
detto la Power
- l'onda raggiungerebbe i 14 metri di altezza, spazzando via ogni
cosa, persone, auto, case, ordigni inesplosi, scorie e altro
materiale pericoloso".
La città di Mosul, che conta oltre 600 mila abitanti, sarebbe
sommersa dalle acque in meno di quattro ore. "La
posta in gioco è altissima - ha
sottolineato l'ambasciatrice Usa
- e le conseguenze possibili devastanti per non affrontare
immediatamente il problema"
L’onda potrebbe anche raggiungere la città di Baghdad.
Nel
recente ciclo di conferenze a Roma, menzionato prima, al-Ansari si è
unito al coro di allarmi affermando che “la
diga cederà di certo”.
RENZI,
PINOTTI E LA DIGA.
Le truppe
italiane in Iraq supereranno tra pochi mesi il migliaio di effettivi
con l’arrivo di un battaglione destinato a presidiare la diga sul
fiume Tigri a nord di Mosul, contesa aspramente nell’estate del
2014 dalle milizie dell’Isis e dai curdi che la riconquistarono con
l’appoggio aereo statunitense.
La
nuova missione militare è stata annunciata dal Presidente del
Consiglio Matteo Renzi a una trasmissione televisiva Porta a
Porta del dicembre 2015: “siamo
in Iraq per l’addestramento ma anche con un’operazione importante
nella diga di Mosul, cuore di un’area molto pericolosa al confine
con lo Stato Islamico: è seriamente danneggiata e se crollasse
Baghdad sarebbe distrutta.L’appalto è stato vinto da un’azienda
italiana, noi metteremo 450 nostri uomini insieme agli americani e la
sistemeremo”. Il
nuovo impegno dell’Italia era stato anticipato da Barack Obama, che
aveva dichiarato che “l’Italia
è pronta a fare di più nella lotta al Califfato”.
Roberta
Pinotti, ministro della Difesa ha affermato al programma televisivo
Agorà: “Non
andiamo a combattere bensì a compiere interventi per preservare la
diga, un’infrastruttura fondamentale per il futuro dell’Iraq, che
se abbandonata rischia di provocare un grave danno ambientale.
Quella
di Mosul è una missione nuova e importante, in una zona molto calda
perché la città è considerata la capitale del califfato in Iraq,
città centrale anche per i collegamenti con la Siria” La
Pinotti inoltre
ha parlato di 500 soldati
coinvolti nell’iniziativa
oltre a dire: “ bombardare
non è un tabù”
L’IRAQ
E LA DIGA.
Non tutti
in Iraq sono d’accordo con Renzi, perché finora il governo
iracheno ha mostrato poca disponibilità ad accogliere forze
straniere da combattimento sul territorio nazionale. Recentemente il
premier al-Abadi ha criticato il dispiegamento di forze speciali
statunitensi in Iraq e ha condannato l‘arrivo di un reggimento
meccanizzato turco a nord di Mosul, penetrato in Iraq col via libera
dei curdi ma non di Baghdad. Il direttore iracheno della diga di
Mosul, Riad Ezziddine intervistato dall’emittente tv irachena
al-Sumaria news ha affermato riguardo l’invio di soldati italiani
alla diga di Mosul: “Chiacchere
che
mirano a creare confusione. Alcune dichiarazioni diffuse ultimamente
circa un imminente crollo della diga non si basano sulla realtà”
Perché gli
iracheni dovrebbero accettare che truppe italiane presidino un
obiettivo sensibile di quel valore? Non è un caso che le notizie
sull’invio dei soldati italiani alla diga vengano definite
“chiacchere che mirano a creare confusione” dal direttore
iracheno della diga di Mosul, Riad Ezziddine intervistato
dall’emittente tv irachena al-Sumaria news. Il ministro delle
Risorse idriche, Mushsin Al Shammary, ò il 20 dicembre scorso, ha
dichiarato che l’Iraq “non
ha bisogno di alcuna forza straniera per proteggere il suo
territorio, i suoi impianti e la gente che ci lavora”
Anche le
potenti milizie scite irachene hanno reso noto che qualsiasi forza
straniera in Iraq sarà considerata come una forza occupante,
compresi gli italiani. Ė l’avvertimento lanciato dal portavoce
delle Brigate sciite irachene Hezbollah, Jaafar al Husseini. “La
nostra posizione è chiara: qualsiasi forza straniera in Iraq sarà
considerata una potenza occupante a cui dobbiamo resistere”, Il
leader radicale scita Moqtada Sadr, uno dei protagonisti
dell’insurrezione contro le truppe alleate d’occupazione nel 2004
(sue milizie uccisero e ferirono anche molti militari italiani
nell’area di Nassiryah “tra il 2004 e il 2006) ha affermato che
“l’Iraq
è diventato una piazza aperta a chiunque voglia violare i costumi e
le norme internazionali”.
Oltre
ai miliziani sunniti del Califfato, i nostri militari dovranno
guardarsi anche dalle milizie scite filo iraniane che combattono a
sud di Mosul e che sono poi le stesse che hanno ucciso o ferito tanti
militari italiani a Nassiryah durante l’Operazione Antica Babilonia
tra il 2003 e il 2006.
Per Baghdad
anche l’urgenza dei lavori di ristrutturazione della diga non
sembra essere poi così urgente . A fronte dei continui allarmi per
il possibile cedimento dell’infrastruttura lanciati dagli
americani, vedi i citati rapporti dell’Army Corps of Engineers, il
ministro al-Shammary ha affermato che “Tali
previsioni sarebbero corrette se la quantità di acqua nel bacino
fosse al massimo, mentre attualmente è solo a un quarto”.
Una situazione dovuta alla carenza di piogge e alla riduzione della
quantità di acqua lasciata passare dalla Turchia negli ultimi due
anni. Sulla base dei risultati raccolti al-Shammary e altri quattro
ministri hanno presentato al governo un rapporto in cui non si fa
alcun riferimento a un possibile imminente crollo e ha confermato che
l’appalto assegnato alla Trevi prevede di “aumentare e
rafforzare” le iniezioni di cemento nelle fondamenta e di riparare
un’apertura di scarico che serve a ridurre la pressione dell’acqua
sulla diga in caso di emergenza. Quindi lavori limitati.
L’
APPALTO.
La
Farnesina ha informato il 2 marzo che è stato firmato il contratto
tra la società Trevi S.p.A. di Cesena con le autorità irachene,
Ministero delle Risorse Idriche, per i lavori di consolidamento della
diga di Mosul. Il progetto prevede due interventi da svolgere in
contemporanea. Il primo riguarda il rafforzamento delle fondamenta
con iniezioni di cemento. Il secondo la riparazione di una delle due
paratoie, cioè le aperture a monte che vengono azionate quando è
necessario scaricare acqua per diminuire la pressione sulla diga.
La tv di Stato irachena, che ha diffuso per prima la notizia, ha indicato in 273 milioni di euro il valore del contratto. Nella versione originale il valore dell'intero progetto era di circa a 1,9 miliardi di dollari da realizzare in 5-7 anni. L'impatto di questa commessa sul conto economico di Trevi è stato positivo, A Piazza Affari il titolo Trevi ha avuto un aumento del 5,26% . In un’intervista al Quotidiano Nazionale Stefano Trevisani AD della Trevi da dichiarato: “I lavori dureranno un anno e mezzo, fino a ottobre dell’anno prossimo. Gli italiani saranno una settantina, i locali almeno 250. Poi stranieri di altre nazionalità. Il cantiere sarà pienamente operativo da metà settembre e e riprenderemo la manutenzione che si faceva prima, certo con tecnologie più all’avanguardia”. Carlo Crippa, area manager per l’Iraq ha spiegato sempre a QN che “bisogna intervenire con perforazioni e iniezioni di miscele cementizie”.
Circola l’ipotesi che la Trevi abbia una relazione importante con il governo di Renzi. Ipotesi che potrebbe essere provata anche dalla presenza nel Consiglio d’Amministrazione di Marta Dassù come consigliere non esecutivo e indipendente. Esperta di politica internazionale di area PD già sottosegretario e viceministro degli Esteri con i governi Monti e Letta, la Dassù è stata consigliere di Massimo D’Alema e recentemente è stata voluta da Renzi all’interno del cda di Finmeccanica, che a differenza della Trevi però è un’azienda pubblica.
Il contratto è del tipo ‘cost plus': la quantità dei finanziamenti sarà calibrata passo dopo passo secondo quelli che saranno i costi e il profitto dell’impresa è garantito.
La tv di Stato irachena, che ha diffuso per prima la notizia, ha indicato in 273 milioni di euro il valore del contratto. Nella versione originale il valore dell'intero progetto era di circa a 1,9 miliardi di dollari da realizzare in 5-7 anni. L'impatto di questa commessa sul conto economico di Trevi è stato positivo, A Piazza Affari il titolo Trevi ha avuto un aumento del 5,26% . In un’intervista al Quotidiano Nazionale Stefano Trevisani AD della Trevi da dichiarato: “I lavori dureranno un anno e mezzo, fino a ottobre dell’anno prossimo. Gli italiani saranno una settantina, i locali almeno 250. Poi stranieri di altre nazionalità. Il cantiere sarà pienamente operativo da metà settembre e e riprenderemo la manutenzione che si faceva prima, certo con tecnologie più all’avanguardia”. Carlo Crippa, area manager per l’Iraq ha spiegato sempre a QN che “bisogna intervenire con perforazioni e iniezioni di miscele cementizie”.
Circola l’ipotesi che la Trevi abbia una relazione importante con il governo di Renzi. Ipotesi che potrebbe essere provata anche dalla presenza nel Consiglio d’Amministrazione di Marta Dassù come consigliere non esecutivo e indipendente. Esperta di politica internazionale di area PD già sottosegretario e viceministro degli Esteri con i governi Monti e Letta, la Dassù è stata consigliere di Massimo D’Alema e recentemente è stata voluta da Renzi all’interno del cda di Finmeccanica, che a differenza della Trevi però è un’azienda pubblica.
Il contratto è del tipo ‘cost plus': la quantità dei finanziamenti sarà calibrata passo dopo passo secondo quelli che saranno i costi e il profitto dell’impresa è garantito.
Per
finanziare il progetto Baghdad ha chiesto e ottenuto un prestito alla
Banca Mondiale.
SITUAZIONE
ATTUALE
L’
agenza di notizie Il Velino, riprendendo fonti curde, ha diffuso la
notizia Il 10 aprile ha inviato nel Kurdistan iracheno a Erbil,
distante da Mosul un’ottantina di chilometri, nuovo contingente di
soldati e mezzi nel quadro della lotta contro lo Stato Islamico.
Questo contingente, composto da 130 soldati e 8 elicotteri, ha
sostituito un reparto americano privo di elicotteri d’attacco.
Negli stessi giorni l’ANSA, sempre da fonti locali ha informato che
militari italiani hanno effettuato un’ispezione in diga e perso
contatto con i peshmerga che la presidiano per organizzare le
truppe,450 soldati, che saranno addette alla sicurezza del cantiere e
dei lavoratori della Trevi.
L’
Associated
Press
ha scritt che il primo team di tecnici italiani della ditta Trevi è
arrivato giovedì 14 aprile a Mosul per iniziare la preparazione del
campo in cui sarà posizionato il resto della squadra che si
occuperà dei lavori di sistemazione della grande diga. Fonti
italiane ben informate dicono che, in realtà, si tratta di un solo
responsabile, inviato momentaneamente per seguire l’avvio dei
lavori per la realizzazione del compound che ospiterà i lavoratori.
Dunque se ne occuperanno gli iracheni della realizzazione del campo
che ospiterà i tecnici della Trevi pervisti per metà, fine giugno.
I militari italiani forniranno la sicurezza all’intera area della
diga mentre la protezione ravvicinata al personale italiano della
Trevi sarà affidata a contractors della società britannica
Pilgrims, presente da ben 12 anni in Iraq e che ha il 27 febbraio
scorso ha visto rinnovata la sua licenza operativa dal Ministero
degli Interni di Baghdad.
RIFLESSIONI.
Durante L’
Iraq Crisis Conference tenutasi a Roma il 19 e 20 aprile scorso Jamal
al-Dhari
Presidente del Pafi e partigiano del principio di autodeterminazione
dei popoli in Iraq, ha ben raccontato l’Iraq di oggi che ha
descritto come un paese “schiavo dell’occupazione ed esportatore
del terrorismo” ed non ben compreso. L’ origine della situazione
sono gli Stati Uniti, che hanno
invaso l’Iraq pur non avendo ottenuto alcuna legittimazione dalle
Nazioni Unitee
hanno
contribuito a creare un sistema politico che con il tempo si è
rivelato fatale per la stabilità del Paese
.Tale
sistema non ha fatto altro che alimentare il settarismo, perché
fondato su una spartizione del potere su base etnico-religiosa.
Al-Dhari ha accusato gli americani anche di “essersi
ritirati
dall’Iraq lasciando i suoi confini aperti”,
il che non ha fatto altro che facilitare “l’ingerenza
iraniana e l’insorgenza della guerra civile”. Al-Dhari
ha avuto parole dure anche per la classe politica irachena, corrotta
e inetta, in cui figurano un Parlamento, “che a oggi non ha mai
svolto le sue mansioni”, e “dei ministri che sono al servizio
delle diverse fazioni ideologiche, piuttosto che del popolo
iracheno”. Da qui, la piaga del terrorismo, di cui l’Iraq è
esportatore, che nasce dalla corruzione e che spinge, a sua volta, i
cittadini, insoddisfatti della gestione della res publica, a
radicalizzarsi e a sostenere quelle organizzazioni terroristiche.
Questo
è il quadro generale dove si inserisce l’ulteriore invio di
soldati italiani.
Con
l’avventura di Matteo Renzi nell’area della diga di Mossul nella
divisione dei compiti della coalizione anti Isis, guidata dagli Stati
Uniti, l’Italia passa da sostegno militare e fornitura di
armi a un ruolo attivo di vero e proprio intervento militare. Il
contingente militare con l’invio di 450 militari diventerà il
contingente straniero più numeroso in Iraq. Nel cuore poi del
confronto armato con l’Isis. L’obiettivo di difendere il cantiere
di un’impresa privata con consistenti forze militari, uomini e
mezzi, è incongruente. La partenza del contingente è attualmente
stimata tra maggio e giugno 2016.
Analisi
Difesa un magazine on-line che si occupa tematiche militari in un
articolo dal titolo significativo, Roma
invia in Iraq forze da combattimento per fare la guerra,
fornisce in articolo recente importanti
informazioni
sulla reale portata dell’operazione.
I
punti dell’articolo sono i seguenti:
Verso
la diga,
Perplessità,
Quali obiettivi reali?
Verso
un ruolo “combat” dell’Italia?
Restano
tutti gli interrogativi per uno sforzo militare nazionale ancora una
volta richiesto dagli Stati Uniti, ad alto rischio per i nostri
militari ma che garantirà la sicurezza anche ai lavori di
riparazione dell’impresa italiana Trevi. Schierare 500 militari in
quell’area comporterà un costo stimabile in almeno 50 milioni
annui senza contare le spese logistiche per schierare mezzi, armi ed
elicotteri, necessari ad assicurare i collegamenti ed eventuali
evacuazioni sanitarie tra Erbil e la base istituita nella diga.
A livello
istituzionale la vicenda dovrebbe essere discussa in dettaglio in
Parlamento. Lo scorso 16 gennaio Basilio parlamentari M5s
presentarono un’interrogazione, ma la riposta del sottosegretario
alla Difesa Gioacchino Alfano è stata ampiamente insufficiente.
A
livello di movimento deve crescere l’opposizione a questa decisione
del governo di Matteo Renzi di inviare centinaia di soldati italiani
alla diga di Mossul. Vanno cercate delle alternative all’
intervento militare a difesa della diga, per esempio il controllato
svuotamento del bacino d’acqua, fino a che la riparazione potrà
avvenire in una situazione di pace.
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