(da Il fatto quotidiano)
Sono legati da anni, si sono frequentati tra Washington e Firenze,
scambiandosi visite e conoscenze. Ma ora l’amicizia con Michael Ledeen
può mettere in difficoltà Marco Carrai e il suo prossimo incarico: la
consulenza al Dis (l’organismo di coordinamento dei Servizi segreti) per
Palazzo Chigi. Perché se sino a oggi Ledeen era ritenuto vicino
all’intelligence statunitense con legami con uomini della P2, adesso
un’inchiesta svolta dal Pentagono fotografa nel dettaglio chi è stato e
chi è davvero Ledeen, definito dalla Cia “spia di Israele” e per questo
allontanato da Washington. Il Fatto è entrato in possesso dei fascicoli
d’indagine ed è in grado di raccontare perché il legame di amicizia tra i
due rischia di mettere in imbarazzo i Servizi segreti, il governo e le
diplomazie.
I conflitti di interesse del “fratello Marco”
Non è bastato il no del Colle a fermare Renzi: il premier vuole portare
nel Palazzo l’amico Carrai e così, dopo aver tentato di imporlo a capo
della cyber-security, gli sta ora cucendo un abito su misura
al Dis. E
se per avere la licenza da 007 Carrai avrebbe dovuto spogliarsi dei suoi
tanti conflitti di interesse, indossando il mantello della consulenza
il problema svanisce: Carrai potrebbe portare con sé l’ingombrante
bagaglio. Che non contiene solo gli incarichi pubblici come la
presidenza di Aeroporti Firenze o le poltrone nei cda tra cui quella
nella fondazione Open – la cassaforte del premier – con Luca Lotti e
Maria Elena Boschi. Né si limita alle aziende esterovestite in
Lussemburgo e Israele come la Wadi Venture con soci che hanno legami con
l’esecutivo tra cui nominati in Finmeccanica e imprenditori con appalti
pubblici, come raccontato dal Fatto settimane fa. Il conflitto di
interessi di Carrai si estende anche ai suoi legami, a partire da quello
con Ledeen.
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Le visite a Firenze pagate dalla Provincia
In Italia di lui si sa poco, nonostante Ledeen abbia superato i 70 anni.
Meno ancora si conosce del suo legame con il 40enne Carrai, che
definisce il premier “mio fratello”. Si sa che i due sono molto legati.
Tanto che Ledeen è arrivato da Washington a Firenze nel settembre 2014
per partecipare al matrimonio dell’amico di cui Renzi era testimone. Un
rapporto coltivato negli anni. E allargato all’attuale premier nel 2006
quando la Provincia di Firenze pagò un viaggio a Ledeen, da Washington
al capoluogo toscano, organizzato da Carrai, all’epoca capo gabinetto di
Renzi, per far conoscere a suo “fratello” l’amico statunitense.
Nell’autunno 2008, sempre a spese della Provincia, Renzi assieme a
Carrai fa il tragitto inverso e ricambia la visita.
In Italia Ledeen ha altri buoni amici, condivisi con l’amico
aspirante 007. In particolare Noar Gilon, dal 2012 ambasciatore
d’Israele a Roma. Da allora il diplomatico è apparso più volte al fianco
del futuro consulente del Dis. Nella Capitale e a Firenze. Insieme
hanno organizzato un convegno con Confindustria sponsorizzato anche da
Aeroporti Toscani (società presieduta da Carrai). Ma soprattutto hanno
pianificato la visita del premier israeliano Benjamin Netanyahu a
Firenze lo scorso agosto, accogliendolo al suo arrivo a Peretola e
presentandolo poi a Renzi con una cerimonia a Palazzo Vecchio.
Carrai ha interessi privati a Tel Aviv, dove sono presenti due
società a lui riconducibili con soci pesanti in Israele come Jonathan
Pacifici e Reuven Ulmansky, veterano della Nsa, ex Unità 8200,
dell’Israel Defence Force. Legami importanti, che porterà con sé sotto
il mantello di consulente del Dis.
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Ledeen e Gilon si conoscono almeno dal 1996. Il loro rapporto è nato a
Washington. E si è sviluppato e consolidato attraverso l’Aipac,
l’American Israeli Public Affaire Committee: la lobby pro Israele negli
Stati Uniti, la più potente al mondo, il cui sostegno è ritenuto
fondamentale per arrivare alla Casa Bianca. Il 21 marzo sia il
repubblicano Donald Trump sia la democratica Hillary Clinton sono
intervenuti al convegno Aipac. Ma per quanto ritenuta determinante dalla
politica è temuta dai servizi di sicurezza americani e monitorata
perché in due casi sono stati individuati all’interno della lobby uomini
dei servizi segreti del Mossad. E per quanto forti siano i rapporti di
amicizia tra gli Stati Uniti e Israele, il Pentagono non ama intrusioni
straniere nella propria intelligence. Ed è proprio nell’ultima
inchiesta, che ha individuato un flusso illegale di informazioni
riservate della presidenza statunitense al Mossad, che è emerso il
legame tra Ledeen e Gilon.
Rete di spie di Tel Aviv scoperta dagli americani
L’indagine, svolta dall’Fbi, è stata chiamata Aipac. Lawrence Franklin,
capo analista dell’allora sottosegretario alla Difesa Douglas Feith, è
stato inizialmente condannato a 12 anni di carcere dal tribunale della
Virginia per aver trasmesso informazioni top secret a due esponenti
della lobby israeliana e a un diplomatico israeliano dell’ambasciata a
Washington. Franklin ha confessato che i suoi due referenti nell’Aipac
erano il direttore degli affari politici, Steven Rosen, il responsabile
del desk iraniano, Keith Wiessman, e il consigliere all’ambasciata
israeliana a Washington Naor Gilon. Quest’ultimo, all’inizio del
processo, è rientrato a Tel Aviv prima di arrivare in Italia come
ambasciatore nel 2012.
Proprio a Roma venne organizzato un incontro tra Franklin e Rhode con
il faccendiere Manucher Ghorbanifar, già protagonista dello scandalo
Iran-Contra. L’incontro nella capitale, ricostruisce l’inchiesta, fu
organizzato da Ledeen che, secondo un report dell’Fbi, aveva un profondo
legame con Franklin, almeno dal 2001: la Cia ritiene che loro due siano
gli ispiratori del falso dossier sull’uranio nel Niger che venne usato
dall’Amministrazione Bush per giustificare la guerra in Iraq.
L’inchiesta Aipac è stata avviata a metà anni Novanta e ripresa nel
2001, dopo l’attacco dell’11 settembre. Gli uomini dell’Fbi mettono
sotto osservazione alcuni americani impegnati in lobby di Paesi del
Medio Oriente, tra cui l’Aipac. A inizio 2003, durante un appostamento,
gli agenti scoprono un collegamento chiave. Seguendo Steve Rosen e Keith
Weissman si fermano fuori da un bistrot dove i due pranzano. A loro si
aggiunge Gilon, all’epoca capo degli affari politici presso l’ambasciata
israeliana a Washington e definito nel report Fbi “specialista
dell’armamento nucleare iraniano”. Poi arriva Franklin, alto funzionario
dell’intelligence del Pentagono.
I file “Top Secret” finiti al Mossad
Gli agenti filmano l’intero pranzo. Franklin estrae da una valigetta
alcuni documenti e li appoggia sul tavolo. “Ma non vengono consegnati a
nessuno”, annota l’Fbi. Lui fa il gesto di consegnarli. “Ma il suo
presunto complice è troppo intelligente e si rifiuta di prenderli,
chiedendo con ogni probabilità di limitarsi a informarlo sul contenuto”,
testimonia un funzionario dell’intelligence, riportato da Newsweek. A
casa di Franklin vengono trovati diciotto documenti top secret e
riservati all’ufficio del presidente degli Stati Uniti. Franklin
lavorava in uno dei centri del Pentagono che più hanno promosso la
guerra all’Iraq, aggirando anche il dipartimento di Stato e la stessa
Cia: il segretissimo “Office of special plans” messo in piedi dal
viceministro della difesa Paul Wolfowitz e dal sottosegretario Douglas
Feith. Ufficio che aveva rapporti esclusivi con Donald Rumsfeld,
segretario alla Difesa e consigliere del presidente George W. Bush.
L’inchiesta prosegue per anni. Sottotraccia. Il processo inizierà
solo nel 2006 e la prima condanna sarà emessa nel 2009. Durante le
indagini gli agenti scoprono molte attività sospette che riguardano Iraq
e Iran. E tutte le strade portano all’ufficio del Pentagono di Feith,
nel quale Franklin lavora. Una conduce direttamente a un collaboratore
di entrambi: Ledeen, definito dal Jerusalm Post “il guru neocon di
Washington”. Fbi e Cia aggiungono altro al suo profilo. E svelano
l’intero passato di Ledeen.
A Roma per Israele da finto agente della Cia
Alla fine del 1970, Ledeen è a Washington come direttore esecutivo
dell’Istituto ebraico per gli affari di Sicurezza Nazionale, un gruppo
di lobby specializzato nel fare pressioni al Pentagono e al Congresso
per far ottenere soldi e armi a Israele. Nei primi anni 80 viene
allontanato e riesce ad avvicinarsi al Pentagono. In particolare a Noel
Koch, il principale assistente del segretario alla Difesa per gli affari
di sicurezza internazionale. Ledeen chiede a Koch di fargli un
contratto di consulenza come esperto di terrorismo dicendosi disposto a
essere pagato solo se e quando utilizzato. Koch accetta. Ma se ne pente:
agli atti del procedimento è allegata una lettera inviata nel 1988 da
Koch al Comitato di giustizia della Camera, l’ufficio che sovrintende al
Dipartimento di giustizia e all’Fbi.
Con la missiva Koch accusa Ledeen di essere una spia di Israele e
chiede al Comitato di indagare sul suo conto spiegando di aver scoperto
che Ledeen gli ha mentito e tentato “con insistenze di acquisire
informazioni classificate per le quali non ha legittimo diritto”. Koch
inoltre specifica che in più casi Ledeen gli chiese copia di atti
“altamente segreti della Cia”. In particolare documenti relativi a spie
israeliane. “Qualcuno gli ha detto cosa rubare”, ha scritto Koch
ricordando di aver chiesto più volte a l’Fbi di indagare su Ledeen ma
che “l’alto funzionario Oliver Revell” a cui si rivolgeva “ha sempre
respinto le richieste”. La lettera ha fatto avviare le indagini: Revell
era amico di Ledeen, per questo respingeva le richieste di Koch.
Nonostante questi trascorsi la “spia d’Israele” riappare nei Palazzi
della sicurezza americana. È Feith ad assumerlo come consulente nel suo
Ufficio Piani Speciali. Un incarico che gli viene attribuito nel 2001,
dopo l’11 settembre. Tra le prima cose di cui si occupa è organizzare un
incontro a Roma con alcuni dissidenti iraniani e due dipendenti di
Feith: Rhode, neoconservatore e tra gli architetti della guerra in Iraq,
e Franklin, ritenuto una spia israeliana.
Durante il processo a suo carico, Franklin ha indicato tra i suoi
referenti anche Gilon che tornò discretamente a Tel Aviv dove, dal 2009,
è stato capo gabinetto del Ministro degli Esteri, poi vicedirettore per
gli Affari dell’Europa occidentale presso gli Affari Esteri. Infine, da
febbraio 2012, è a Roma come ambasciatore d’Israele.
Contattato dal Fatto Quotidiano per avere informazioni sul suo
coinvolgimento nell’inchiesta, nonché per sapere quali siano oggi i suoi
rapporti con Ledeen e Carrai, l’ambasciatore ha preferito non
rispondere e ha affidato al suo braccio destro, Amit Zarouk, questa
mail: “L’intera inchiesta (giornalistica, ndr) si basa su frammenti di
informazione e su una distorta interpretazione di fatti non corretti. È
tutto parte di una teoria del complotto che non merita alcuna seria
considerazione”. I tentativi compiuti per contattare Ledeen si
protraggono senza alcun esito da oltre un mese.
L’inchiesta Aipac ha creato una crisi tra Usa e Israele risolta
allontanando da Washington quanti erano sospettati di avere legami con
uomini dei servizi di Tel Aviv. Un’operazione di pulizia che ha poi
portato il giudice della Virginia Thomas Selby Ellis a ridurre la pena a
Franklin prima a otto anni per la sua collaborazione e poi a otto mesi
di domiciliari e 100 ore di servizio alla comunità. Servizio, ha detto
Ellis, che deve consistere nel “parlare ai giovani dell’importanza per i
funzionari pubblici di rispettare la legge del proprio Stato”. Questo
accade a Washington. E a Roma?
da Il Fatto Quotidiano del 23 aprile 2016
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