Report/analisi
dalla Tunisia.
Introduzione
Il 14 Gennaio
scorso, in occasione del quinto anniversario della rivolta popolare in Tunisia
(erroneamente definita da più parti “rivoluzione”) scrivevamo in maniera
provocatoria che per questo anniversario in Tunisia “non è successo niente”.
Mentre infatti il “nuovo regime” (a cui capo sta il più vecchio politico
tunisino, l’ultraottantenne Beji Caid Essebsi, il quale ha iniziato la propria
carriera politica sotto le istituzioni coloniali) festeggiava l’anniversario
nel sontuoso Palazzo di Cartagine (sede della presidenza della repubblica) il
resto del paese proseguiva la normale vita quotidiana senza che vi fosse alcun
clima festoso.
Nella capitale,
unico evento degno di nota, l’organizzazione dei “familiari dei martiri e dei
feriti della rivoluzione” inscenava una protesta in Avenue Bourguiba a Tunisi
di fronte il Ministero degli Interni, anche qui “niente di nuovo”.
La vera
riappropriazione degli ideali e delle rivendicazioni della rivolta del
2010/2011 e mai soddisfatti dal “nuovo” regime è avvenuta dopo 5 anni e 2
giorni…
Scrivevamo
sempre il 14 gennaio scorso che “il fuoco cova sotto la cenere” niente di più
profetico…
Il suicidio
dell’ennesimo disoccupato (nonché diplomato) a causa dell’ennesima ingiustizia
di uno stato
corrotto (vedi nostro articolo precedente Qui) ha fatto si che scoccasse la scintilla e che il fuoco si ravvivasse.
corrotto (vedi nostro articolo precedente Qui) ha fatto si che scoccasse la scintilla e che il fuoco si ravvivasse.
La rabbia dei
giovani di Kasserine è dunque esplosa.
È importante
ricordare che nel dicembre 2010, dopo il suicidio di Mohamed Bouazizi,
Kasserine fu una delle prime città a unirsi a Sidi Bouzid nella rivolta contro
il regime di Ben Ali. Finita la rivolta Kasserine in particolare (regione emarginata
economicamente e socialmente sin dall’indipendenza del 1956) ha subito 5 anni
di false promesse continuando ad avere uno dei più alti tassi di disoccupazione
e in particolare tra i giovani. Lo stesso dicasi per tutte le regioni centrali,
meridionali e interne del paese in cui, come molti dicono, non è cambiato
niente da 5 anni a questa parte e, aggiungiamo noi, dal 1956 ad oggi… certo negli
ultimi 5 anni ciò è avvenuto all’interno della cornice della nuova costituzione
definita da molti “avanzata in materia di diritti” e la “più liberale della
regione”. Ammesso e non concesso che la categoria “liberale” debba essere
considerata obbligatoriamente un asse di valori positivo.
Breve cronologia
Fin da subito i
giovani hanno assediato la sede del governatorato di Kasserine chiedendo
giustizia e la fine della corruzione, della disoccupazione e della discriminazione
nel governatorato; come da copione il nuovo governo democratico e liberale ha
inviato il proprio apparato repressivo (polizia ed esercito) per sgomberare i
manifestanti.
Di conseguenza
la rivolta si è estesa ad altre municipalità del governatorato, non è servito
imporre il coprifuoco dalle 18 al mattino: le strade di Kasserine sono rimaste
animate tutta la notte, le principali vie d’accesso bloccate con continue
sassaiole contro la polizia arrivata in forze dalla capitale e da altri
governatorati.
Il 20 Gennaio
notte a Kasserine, durante gli scontri una
pattuglia di polizia mentre era intenta a perseguire i giovani rivoltosi
non ha avuto la meglio, la macchina della polizia è stata rovesciata dai
manifestanti ed uno dei suoi occupanti è morto in seguito alle ferite
riportate. Lo stesso giorno molti manifestanti avevano denunciato l’utilizzo di
armi da fuoco da parte della polizia.
Sempre a
Kasserine i manifestanti hanno dato fuoco alla sede di Nidaa Tounes.
Insieme al
“bastone” il governo ha tentato la carta
della “carota” annunciando, il 20 Gennaio, alcune misure quali:
1) La creazione
di 5.000 posti di lavoro nel governatorato di Kasserine
2) Il finanziamento
di 500 non meglio precisati progetti per 6 milioni di dinari (quasi 3 milioni
di euro)
3) La creazione
di una commissione d’inchiesta circa la corruzione (commissioni simili più
volte promesse negli ultimi 5 anni e mai realizzate)
4) La
privatizzazione delle terre ad uso comunitario (misura altamente anti-popolare)
5) La creazione
di nuove società di impresa con un capitale minimo di 150.000 dinari per il
miglioramento delle infrastrutture.
Questo pacchetto
oltre ad essere contraddittorio e poco credibile in alcune sue parti
(punti 3 e 4) nel complesso ricorda molto il proclama demagogico di Ben Ali all’indomani della rivolta del
2010/2011 di voler creare nuovi posti di lavoro (tentativo fallito).
Ma la tragedia
che questa seconda volta si ripresenta come farsa assumerà tratti realmente
ridicoli: neanche 24 ore dopo infatti il governo annuncia che vi è stato un
“errore di comunicazione” e che le 5.000 assunzioni annunciate il giorno prima
si riducono a 1.410 e su tutto il territorio nazionale!!
La rivolta a
questo punto si è diffusa in altre città di altri governatorati, in particolare
in quelli limitrofi e via via in quelli di tutto il paese.
Sidi
Bouzid:
a Meknassi e Menzel Bouzayane e forti scontri con la polizia nella città di
Sidi Bouzid, a Mazouna il presidente della delegazione (provincia) si da alla
fuga. Blocchi della linea ferroviaria, interdetto passaggio a treni di
viaggiatori nonché quelli che trasportano i fosfati.
Gafsa: blocchi
stradali nelle città di Gafsa e Redeyef.
Kairouan:
scontri
tra manifestanti e polizia.
Jendouba: i manifestanti
irrompono nella sede del governatorato ma il governatore si è già dato alla
fuga.
Kef: commissariato
di polizia di Jerissa dato alle fiamme.
Beja: scontri con la
polizia.
Zaghouan: blocchi
stradali a El Fahes.
Medenine: in particolare
animata dai giovani liceali di Ben Guardane.
Gabès: a El Hamma è
stata assaltata la sede della guardia nazionale (corpo dell’esercito), nella
città di Gabès blocchi stradali.
Kebili:
dati
alle fiamme i commissariati di polizia di Kebili, Douz e Souk Lahad con fitti
lanci di molotov, inoltre in quest’ultima cittadina bloccata la strada che
collega Kebili a Tozeur.
Tozeur:
a
Dguech dato alle fiamme il commissariato di polizia e assaltata la sede del
governatorato.
Sfax: diffuse proteste
dei lavoratori nella città di Sfax con blocchi stradali nella delegazione di
Sekhira interrompendo i collegamenti stradali tra Sfax e Gabès a sud e Kairouan
a nord-ovest.
Tunisi:
manifestazioni
in centro città, occupata la sede del governatorato e scontri nei sobborghi
popolari di Ettadhamen e Kram.
Mahdia: occupata la
sede del governatorato.
Sousse: nela
delegazione di Enfidha i manifestanti ne occupano la sede, evacuate le forze
dell’ordine.
Scontri anche nei
governatorati di Hammamet, Ben Arous, Ariana e Tataouine.
Non si contano i blocchi stradali avvenuti anche nei più piccoli e sperduti centri abitati.
Non si contano i blocchi stradali avvenuti anche nei più piccoli e sperduti centri abitati.
In totale le
proteste hanno colpito almeno 20 governatorati su 24.
Ieri il ministro
dell’interno ha dato un bilancio ufficiale informandoci che oltre all’agente
morto a Kasserine, altri 41 sono stati feriti in tutto il paese; il giorno
prima il numero degli agenti feriti era “magicamente” superiore (59) dalle
nostre informazioni sono almeno un centinaio. Inoltre una decina di veicoli
della polizia sono stati dati alle fiamme
Per quanto
riguarda i manifestanti, purtroppo in queste occasioni il numero dei feriti è
più elevato, probabilmente di diverse centinaia (al di sotto delle 500 unità);
inoltre ieri 16 sono stati arrestati a Ettadhamen e 10 a Kairouan. Purtroppo in
questi giorni un altro giovane si è dato fuoco a Sfax……
Mentre il paese
era nel caos il primi ministro Essid si trovava in Svizzera per partecipare al
Forum Economico Mondiale di Davos sullo sviluppo (ironia della sorte) è stato
richiamato in patria repentinamente in modo da poter presiedere un consiglio
dei ministri straordinario.
Infine ieri, 22
Gennaio, è stato dichiarato il coprifuoco su tutto il territorio nazionale
dalle 20:00 alle 05:00. Tutte le principali città sono presidiate dall’esercito.
Dalle prime
notizie il coprifuoco non è stato rispettato in alcuni sobborghi di Tunisi
(Ettadhamen e Kram) e a Kasserine, con conseguenti scontri con la polizia
inoltre nel governatorato di Sidi Bouzid una cinquantina di giovani ha
attaccato a colpi di pietre e molotov le caserme della guardia nazionale a Ben
Aoun e Regueb; a Gabes invece 32 giovani sono stati arrestati mentre provavano
a riorganizzare i blocchi stradali anche ieri notte. In tutto il paese quasi
300 persone sono state arrestate per non aver rispettato il coprifuoco.
La risposta dello stato nel suo
complesso
Analizzeremo
brevemente le posizioni politiche e le azioni delle componenti dello stato nel
suo complesso (presidenza della repubblica, governo, partiti politici al potere
e all’opposizione, forze armate e polizia)
Innanzitutto, le
categorie politiche sono importanti, in tal senso è necessario ripetere ancora
una volta che nel 2010/2011 ciò che ha avuto luogo è stata una grandiosa Rivolta Popolare spontanea che ha avuto
il merito di cacciare nel giro di un mese il regime ultradecennale ed
autocratico di Ben Ali che si basava su un forte stato di polizia. Non è stata
una Rivoluzione che presuppone non
solo la caduta di un governo ma la distruzione
della forma statuale vigente quale involucro di un particolare interesse di
una determinata classe sociale, di un particolare
modo
di produzione economico al servizio dell’interesse di quella determinata
classe sociale, di particolari
istituzioni armate, di giustizia ecc. al servizio di quella determinata classe sociale.
In seguito agli
avvenimenti del 2010/2011 è stata eletta
un’assemblea costituente che ha redatto la famosa nuova costituzione
democratica all’interno della cornice
della stessa organizzazione statale:
La classe
sociale al potere è sempre la stessa: una borghesia compradora (in affari con l’imperialismo internazionale
in particolare francese e americano, ma anche italiano e tedesco per quanto
riguarda la Tunisia) e burocratica
(basata sulla gestione delle briciole provenienti dagli affari con
l’imperialismo che le permettono di vivere in maniera parassitaria e dalla
gestione dello stato: la famosa corruzione).
La Rivolta
Popolare ha solo modificato la composizione dei rappresentanti politici di
essa: prima della rivolta esclusivamente dallo RCD (il partito di Ben Ali),
dopo la rivolta da Nidaa Tounes (il nuovo nome dello RCD) e da Ennahdha (i
fratelli musulmani in Tunisia più legati ai paesi del Golfo persico che
all’occidente[1]).
Di conseguenza
il modo di produzione economica è rimasto invariato e quindi al
servizio dell’interesse della stessa classe sociale.
Le istituzioni
dello stato sono le stesse di prima:
forze
armate e polizia, giustizia ecc.
Tutto questo
spiega perché “in 5 anni non è cambiato niente”: la corruzione non è stata
scalfita, il tasso di disoccupazione lungi dal diminuire e aumentato, idem
l’inflazione con conseguente aumento dei prezzi che hanno colpito il potere
d’acquisto del popolo che si è impoverito, lo stato di polizia è vivo e vegeto,
la giustizia persegue gli stessi meccanismi anti-popolari e a copertura dei
poteri dello stato pre-rivolta.
L’unica "piccola" novità è che a questo meccanismo adesso partecipa anche Ennahdha, ma questa è
un’altra storia…
In questo quadro
abbiamo già visto qual è stata la risposta immediata del governo Essid (formato
da Nidaa Tounes, Ennahdha e altri 2 partiti minori conservatori): demagogia e
repressione tramite lo stato di polizia (sgomberi, cariche, fuoco sui
manifestanti, utilizzo dell’esercito, utilizzo del coprifuoco ecc.).
In particolare
Ennahdha, che si atteggia a forza di “lotta e di governo” (per usare un
eufemismo che richiama il revisionismo nostrano, passato ormai alla storia) si
appella alla fine dei disordini per “difendere la nostra rivoluzione”, leggi il
nostro diritto di arricchirci alle spalle del popolo che ci siamo conquistati
dopo la caduta di Ben Ali. Inoltre Ghannouchi, il segretario di Ennahdha, ha
fatto appello all’UGTT per mettere un freno alla rivolta data la buona
influenza che il sindacato ha su una buona fetta dei lavoratori tunisini.
Per quanto
riguarda invece i principali partiti di opposizione al governo, essi sono
rappresentati dal CPR di Marzouki (ex presidente provvisorio della repubblica)
che ha inneggiato a nuove elezioni nonché ad un governo di unità nazionale.
Quindi ad una “santa alleanza” contro la rivolta per poter entrar a far parte
del governo; infine il Fronte Popolare che racchiude tutti i partiti della sinistra
riformista ha partecipato alle proteste, ma come suo solito con i “guanti
bianchi”: ha organizzato i cortei pacifici di solidarietà con Kasserine a
Tunisi e Sousse ma ha subito preso le distanze dagli “infiltrati” autori delle
“violenze e dei saccheggi” da parte degli “chasseurs”, quelli che i nostri
giornali occidentali definiscono comunemente “black block”. Hamma Hammami,
principale leader del FP nonché segretario del Partito dei Lavoratori Tunisini
(ex PCOT) ha esortato i propri militanti a partecipare alle manifestazione ma
non a quelle notturne. Inoltre ha dato alcuni “suggerimenti” di politica
economica di natura tipicamente socialdemocratica (addirittura in una versione
moderata) come una tassa “eccezionale e congiunturale” sui ricchi una
sospensione del pagamento del debito per 3 anni (la cancellazione del debito
contratto principalmente dal regime di Ben Ali sarebbe una rivendicazione troppo
“estremista” per Hamma Hammami) inoltre ha esortato alla lotta contro il
contrabbando, l’economia informale e la corruzione economica e finanziaria.
Teniamo presente
che attualmente l’economia informale rappresenta oltre il 50% dell’intera
economia del paese e rappresenta un mezzo di sostentamento indispensabile per
una buona fetta del popolo tunisino.
La sinistra
istituzionale e legalitaria rappresentata dal FP dimostra la sua natura
antipopolare puntando il dito contro il cosiddetto settore “informale” e fa
propria la retorica del governo che dice di voler combattere (evidentemente
solo su un piano elettorale e non di alternativa quanto a proposte politiche e
visione del mondo)
Lo stesso UGTT,
il principale sindacato tunisino fortemente legato al FP, ha diramato un
comunicato dando indicazione ai propri iscritti di unirsi alla rivolta ma
formando dei “comitati” per la “difesa dei beni pubblici e privati” in sostanza
invita i lavoratori a collaborare con la polizia venendo incontro alle
richieste fatte pochi giorni prima dal segretario di Ennahdha.
La ciliegina
sulla torta è rappresentata dal “guardiano dell’ordine repubblicano”:
l’ultraottantenne presidente della repubblica Essebsi.
Simbolicamente
il reale trait d’union tra Protettorato francese – regime bourguibista – regime
di Ben Ali – nuovo regime burocratico-compradore e la sintesi del fatto che
nessuna “rivoluzione” ha avuto luogo 5 anni fa.
Il suo ruolo fa
si che si atteggi a difensore della “rivoluzione” e delle istituzioni
“democratiche” e repubblicane.
Come Bourguiba e
Ben Ali assume toni paternalistici
(“capisco le ragioni dei manifestanti”, “ho intimato al governo di
occuparsi del problema della disoccupazione”) a cui si aggiungono minacce
contro i giornalisti (“colpevoli” di fomentare la rivolta per il semplice fatto
di far conoscere al paese e al mondo cosa sta avvenendo) e l’agitare il
pericolo di non ben specificate “forze occulte” che starebbero all’ombra della
rivolta con l’interesse di destabilizzare il paese. Più esplicitamente Essebsi
ieri in un discorso alla nazione ha agitato lo spauracchio del Daech che
approfitterebbe del momento opportuno quale una tale destabilizzazione per
mettere piede nel paese dalla Libia.
A rafforzare
questa tesi in questi giorni gli uffici d’informazione dei ministeri
dell’interno e della difesa hanno moltiplicato i dispacci circa interventi
dell’esercito e bombardamenti aerei nella zona del Monte Chambi (dove trovano
rifugio alcuni gruppi armati salafiti legati sia a Daech che ad al-Qaeda) sia a
scontri avvenuti nei pressi della frontiera libica con contrabbandieri.
Il problema
dell’estremismo islamista è reale ma non come viene posto dal governo, ci
ritorneremo più avanti… Il punto è che tutte queste istituzioni e partiti di
governo cercano di indebolire il fronte della protesta affermando ufficialmente
di capirne le ragioni (pur essendone la causa del malcontento) ma aggiungendo
subito dopo che i manifestanti sarebbero “infiltrati” da islamisti e che per
questo motivo le misure repressive sono fondamentali in primis per difendere i
manifestanti stessi e i cittadini.
Queste idee
hanno presa su una parte della popolazione in particolare sulla media borghesia
delle città del Sahel (Tunisi, Hammamet, Sousse e Monastir) che tendono a
identificare i manifestanti in “gente che non vuole lavorare”, “ladri e
spacciatori di droga” nonché in “mercenari” pagati da queste forze occulte
(gruppi terroristici islamisti e paesi stranieri) e quindi giustificano le
misure draconiane per poter continuare a godere della propria “tranquillità” e
della “pace sociale”.
Per quanto
concerne il ruolo delle forze armate e di polizia, ieri notte hanno arrestato
oltre 260 persone per non aver rispettato il copri fuoco seguendo quindi le
indicazioni del presidente della repubblica che si era appellato ad esse
chiedendo di far rispettare rigidamente il coprifuoco.
La risposta dell’imperialismo
Le potenze
mondiali che si riempiono la bocca di “rivoluzioni arabe” a proprio uso e
consumo, quando le rivolte sono realmente popolari non esitano ad appoggiare i
propri partner d’affari rappresentati dai governi locali. Il giorno prima che
Essid rientrasse in patria, il suo omonimo francese Hollande (che in patria ha
adottato simili misure draconiane dopo l’attentato di Parigi) ha annunciato un
“totale sostegno su tutti i fronti” al governo tunisino concedendo un prestito
di 1 miliardo di €. Ci sarebbe molto da dire sul ruolo della penetrazione del capitale straniero e in
particolare francese in Tunisia ma anche questa è un’altra storia…
Chi sono i protagonisti di questa
rivolta?
Sicuramente non
sono quelli che ci vengono raccontati dai giornalisti in vena di titoli
sensazionalistici. Sia in Tunisia che all’estero infatti abbondano articoli su
presunte infiltrazioni islamiste se non addirittura una regia occulta dietro
l’intera rivolta da parte del Daech e di atri gruppi islamisti tendendo la mano
alle tesi cospirazioniste del governo aiutate a loro volta dall’ultimo video
del Daech che incita i tunisini alla rivolta cercando di capitalizzarne alcuni
risultati ex-post.
Innanzitutto
bisogna dire che come tutti i paesi a maggioranza musulmana, in Tunisia vi è un
sentimento religioso e un numero di praticanti molto superiore ad un qualsiasi
paese occidentale. Ciò non significa di per sé essere islamista. Un/una
fervente praticante può rappresentarsi ai nostri occhi come un estremista
religioso per via della barba o del niqab (velo integrale) basterebbe
discuterci qualche minuto per scoprire quanto il nostro interlocutore si
opponga senza se e senza ma a chi sfrutta la sua religione, commettendo anche
dei peccati, per i propri fini come il Daech.
Inoltre
nonostante la retorica governativa sui presunti legami tra la protesta a
Kasserine e la presenza nel vicino Monte Chambi di gruppi islamisti, negli
ultimi mesi è stata proprio la popolazione di Kasserine ad essere colpita da
alcune incursioni di questi gruppi senza che il governo fosse in grado di
mettere al sicuro la cittadinanza come dice di voler fare in presenza della rivolta…
Quindi tra i
giovani manifestanti si può trovare il praticante della moschea come l’assiduo
frequentatore del bar, entrambi possono avere o no un diploma o una laurea, sono
accomunati dal fatto di essere disoccupati e dalla rabbia dopo l’ennesima morte
di un loro coetaneo aggravata dal fatto di sentire false promesse da 5 anni
nonostante il tributo di sangue che loro stessi e i loro coetanei hanno pagato
nella rivolta tra il 2010 e il 2011.
Come in ogni
rivolta di questo tipo, così come avviene anche nelle periferie dei paesi
imperialisti come in quelle di Parigi, Londra, Ferguson, Stoccolma ecc. i
rivoltosi colpiscono lo stato e i suoi simboli e si appropriano dei beni di
consumo pubblicizzati, quindi sempre agognati ma sempre negati.
E qui un gran
discutere da parte di governo, stampa e perbenisti di destra e di “sinistra”
sugli infiltrati che saccheggiano i grandi magazzini portandosi a casa un
elettrodomestico o l’ultimo modello di smartphone che per mesi è stato
massicciamente pubblicizzato convincendo quel povero giovane, che adesso lo ha
finalmente tra le mani, che la vita non possa andare avanti senza l’ultima app o
funzione di esso.
Quanta ipocrisia
e quanto rumore per niente!
Quando i veri
ladroni sono quelli di cui abbiamo parlato nei due paragrafi precedenti.
C’è anche chi
tenta di fare una differenza tra i giovani del 2010/2011, i quali avrebbero
avuto delle idee e un progetto e la massa informe, violenta e pronta al
saccheggio di questi giorni.
Senza capire che
sono gli stessi giovani, la maggior parte dei quali semplicemente invecchiati
di 5 anni e stanchi di essere ancora presi in giro, altri erano troppo
giovani nel 2010 ma adesso finalmente è il loro turno per provare a cambiare
qualcosa invece di “stare tutto il giorno seduti al caffè”: uno dei maggiori
rimproveri che proviene dai nostri benpensanti. Quest’ultimi non capiscono che
i giovani sono gli stessi, la differenza sta nell’idealizzazione che essi fanno
della rivolta precedente, non a caso chiamata “rivoluzione dei gelsomini”
(termine doppiamente fuorviante e mai accettato dai tunisini) e la rivolta
stessa (sia di ieri che di oggi). L’errore grossolano che c’è tra la realtà e
la propria percezione di essa viene addebitato ingiustamente a chi fa la storia
per le strade.
Per quanto ci
riguarda noi stiamo senza dubbio dalla parte dei giovani rivoltosi “brutti,
sporchi e cattivi” per quanto siano.
Ma per
rispondere alla domanda posta come titolo di questo paragrafo basta riportare
quanto scritto nei cartelli e scandito dagli slogan dai rivoltosi:
"La rivoluzione
dei giovani è confiscata dai vecchi.”
“Ora che noi vogliamo fare sentire la nostra
voce, il governatore si è rifugiato dietro le forze armate. Questi poliziotti
hanno formato un muro d’aparthaid, noi
faremo cadere questo muro, apriremo le sue porte e confischeremo le chiavi. Il nostro
combattimento non è più contro il governatore, responsabile della morte di
Ridha Yahyaoui e della nostra povertà. La nostra lotta e anche contro il potere
centrale che continua ad impoverire le regioni emarginate,”
“Il nostro
sit-in non riguarda unicamente i disoccupati ma tutta la regione. No, tutto il
paese! Noi vogliamo delle riforme economiche reali, una nuova politica di
sviluppo e l’apertura immediata dei dossiers della corruzione.”
“Noi
siamo terrificati ma anche in collera con le forze dell’ordine che non hanno
provato ad evitare i due suicidi. Poco tempo prima, ci hanno sparato dei gas
lacrimogeni e dei colpi di mitra per disperderci.”
“non
si calmerà la collera della fame! È finita l’obbedienza, non abbiamo paura
della polizia. Noi rispondiamo solamente alle aggressioni della polizia. Ridha
Yahyaoui non è morto per niente. Noi prendiamo il testimone.”
“la sostituzione del governatore non è sufficiente. Le riunioni del governatore
e i deputati della regione a porte chiuse non servono a niente. Le iniezioni di
denaro e altre sovvenzioni improvvisate non avranno alcuna utilità senza le
riforme reali ed un vero piano di sviluppo.”
P.S.
Note critiche ad alcuni compagni in
Italia
Purtroppo oltre
al giornalismo ufficiale anche alcuni articoli provenienti dal “movimento”
diffondono idee erronee circa gli eventi di questi giorni, tra questi vi è
l’articolo di Lorenzo Fe apparso qualche giorno fa su globalproject e quello di
ieri su infoaut.
In entrambi si
fa una grossolana confusione tra le categorie di “rivolta” e “rivoluzione” (nel
primo articolo si parla di “rivoluzione” tout court nel secondo le due
categorie vengono usate come se fossero sinonimi).
Sebbene l’articolo
di Fe contenga in apertura dei dati interessanti come punto di partenza dell’analisi
circa la regione di Kasserine, esso prosegue con l’ormai ultra decennale generalizzazione
pervadente del concetto di “precarietà” tipico del resto di quest’area politica, quella dei "dissobbedienti, rappresentata da globalproject, si afferma infatti:
“la (relativa) democratizzazione formale non
ha intaccato quel modello di sviluppo basato sulla precarietà di ampie fasce
della popolazione che è stato un ingrediente fondamentale delle cause della
rivoluzione.”
Anche qui quest’area
politica usa come sinonimi “precarietà” e “sfruttamento” con la tendenza a
sostituire il secondo termine con il primo.
La domanda è: come
fa un modello di sviluppo (qualsiasi esso sia) a basarsi sulla
precarietà?
Nel nostro caso
il sistema di sviluppo capitalista si basa sullo sfruttamento del lavoro
salariato con lo scopo di estrarre plusvalore quindi profitto, questo vale in
Italia come in Tunisia. Nei paesi imperialisti le politiche neoliberiste hanno
introdotto il precariato cosa che è meno presente nei paesi oppressi dall’imperialismo
come la Tunisia.
Il “modello di
sviluppo” tunisino si basa sulla svendita delle materie prime (fosfati, gas naturali,
prodotti industriali semilavorati) all’imperialismo, ciò esige in primo luogo lavoratori
ipersfruttati e a tempo pieno, che per
intenderci hanno la possibilità di tirar su famiglia in condizioni non ottimali
ma che non sono “lavoratori precari”.
Ovviamente esistono
lavoratori precari anche in Tunisia che stanno principalmente nei call center
di Tunisi ma rappresentano una minoranza rispetto alla forza lavoro tunisina.
Il 50%
rappresentato dall’economia informale, che costringe ad una vita precaria, è osteggiata
dal governo (non rientra nel suo “piano di sviluppo”) in quanto un regime a
vocazione autocratica tende a controllare tutti e tutto ma, allo stesso tempo,
rappresenta una sorta di “ammortizzatore sociale” dal basso permettendo la
sopravvivenza a decine di migliaia di persone ed evitando che le rivolte come
quelle di Kasserine scoppino ogni giorno.
L’articolo di
infoaut riferendosi agli omicidi politici di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi nel
2013 parla di “due grandi esponenti della sinistra di classe del paese”… sanno
i compagni qual era e qual è tuttora il programma politico dei partiti di cui
questi due esponenti erano segretari?
Ciò non toglie
la condanna senza se e senza ma degli assassini politici ad opera di bande
fasciste salafite protette dall’allora governo a guida Ennahdha, ma ad onor del
vero non si può trasformare la natura riformista di Belaid e Brahmi in “sinistra
di classe” post mortem.
Infine il titolo
di questo articolo: “Kasserine si immola” è veramente disarmante!
Kasserine ha
riacceso la fiamma della rivolta grazie al protagonismo dei suoi giovani che
hanno sfidato a più riprese polizia, esercito, coprifuoco senza fermarsi
davanti a niente fino alle estreme conseguenze (la morte del poliziotto non ha
per nulla fatto desistere i giovani a continuare la rivolta nonostante le
criminalizzazioni piovute su di loro in seguito a questo avvenimento) altro che
immolarsi!
Purtroppo esiste
una tendenza da parte di alcuni giovani a reagire alla disoccupazione con l’atto
estremo del suicidio ma ciò riguarda una minoranza e deve essere una tendenza
che il movimento tunisino stesso deve debellare facendo leva sulla miseria e lo sfruttamento dei giovani perché ciò
si trasformi in rabbia contro il nemico e non autodistruzione e immolazione per
l’appunto.
Tunisia 23 Gennaio 2016
[1]
Ciò non toglie che all’evenienza l’imperialismo in particolare quello americano
non esita a favorire questo tipo di forze politiche.
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