Vediamone alcune
(Da Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e sul territorio)
"La norma sul demansionamento oltre ad avere permesso alle aziende azioni finora non possibili, ha anche introdotto il concetto della “non obbligatorietà” della formazione specifica alla mansione prima del cambio della mansione stessa.
Può sembrare un dettaglio, ma non lo è. Cosa succede, in concreto, quando un lavoratore viene immediatamente adibito a un compito del quale non conosce i rischi specifici e le relative misure di prevenzione da adottare? Succede che l’incidenza di infortuni e malattie professionali aumenta.
Come non pensare anche alla questione della sorveglianza elettronica (o classicamente “videosorveglianza”), che assegna al datore di lavoro la possibilità del controllo attraverso apparecchiature specificamente fornite per l’espletamento della prestazione lavorativa (come smartphone, tablet, personal computer)? Oltre ai noti e sollevati problemi di privacy, è evidente come l’eventuale uso disciplinare o discriminatorio dei dati provenienti da questo
tipo di controllo non aiutano certo il clima di benessere organizzativo necessario al lavoro.
Ma torniamo all’articolo 20 del Decreto “semplificazioni”, che riguarda direttamente le materie di salute e sicurezza. Il primo problema evidente è la riduzione dei componenti della
Commissione consultiva permanente (ex articolo 6 del D.Lgs.81/08) di espressione delle parti sociali, con l’introduzione al loro posto di componenti espressione del mondo associazionistico e tecnico professionale, in questo modo la “governance” della Commissione viene mutata con la modifica dei numeri necessari per l’espressione del parere, violando il principio del “tripartitismo” cui è informata la legislazione italiana ed europea in materia di salute e sicurezza. Il giusto ruolo delle parti sociali, è a questo punto soccombente con la nuova disciplina rispetto alla parte di Stato e Regioni.
Gli altri due aspetti assolutamente negativi contenuti nel Decreto sono quelli relativi ai lavoratori retribuiti attraverso i voucher e all’abolizione del Registro infortuni.
Per i primi si prevede la non applicazione delle tutele relative alla prevenzione previste dal D.Lgs.81/08, se questi non prestano la propria opera nei confronti di un’impresa o di un professionista.
Ci si dimentica però che questa forma di lavoro, nata per regolamentare in qualche modo il lavoro accessorio e occasionale, riconducendolo nell’ambito della regolarità, è subito diventata una dilagante forma di precarietà: è evidente, dunque, la discriminatorietà della norma in questione nei confronti di centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici.
Altro punto negativo è quello dell’abolizione dell’obbligatorietà della tenuta del Registro infortuni. La misura è del tutto favorevole a quelle aziende scorrette che non gradiscono che si tenga traccia di quanto succede all’interno dei loro luoghi di lavoro, che non gradiscono “intrusioni” da parte degli organi di vigilanza.
Solo un accenno, in conclusione, a un’ulteriore questione la cui interpretazione è ancora controversa, ovvero l’abolizione dell’obbligo di comunicazione degli infortuni con una prognosi sotto i 30 giorni da parte del datore di lavoro, sostituita da una comunicazione da parte dell’INAIL. Oltre alle evidenti conseguenze di opacità e problematicità che la norma comporterebbe (fra cui la mancata comunicazione automatica all’autorità giudiziaria), la farraginosità della misura assegna all’INAIL un ruolo molto rilevante e anche rischioso.
******
Abbondano i disegni di legge per dare una parvenza di “legalità” alle forme di lavoro “precario” con la sostituzione delle parole che lo definiscono.
Da “precario” il lavoro diviene “agile”, e in alcune accezioni diviene addirittura “smart” dove di “smart” per il lavoratore vi è molto poco.
Tutto diviene indefinito. Abbiamo tra le mani un ibrido che sta tra il regolamento aziendale tipo e un contratto commerciale ove il lavoratore è un fornitore in una relazione di potere sbilanciata. L’aspetto della prestazione è affidato al contratto individuale tra lavoratore e impresa, in una condizione di totale subalternità del lavoratore.
Orari, tempi di lavoro, aspetti gestionali sono consegnati alla trattativa individuale tra lavoratore e impresa. Abusi, truffe e compensi non pagati in ragione di contestazione della qualità della prestazione erogata dal lavoratore saranno possibili e numerosi in quanto le clausole contro gli abusi riguardano solo gli aspetti formali del contratto.
Non esiste nessun accenno che richiami l’ergonomicità delle attrezzature fornite dal committente o proprie del lavoratore. Per fare un esempio i lavoratori “agili” del call center potranno operare con cuffie da tre soldi, apparecchiature di bassa qualità...
Non parliamo poi della prevenzione dello stress lavoro correlato totalmente ignorata in quanto il lavoro “agile” non sarebbe stressante per definizione...
I commi 2 e 3 dell’articolo 6 del Disegno di Legge sul “Lavoro agile” sono emblematici dell’assenza di tutela della salute di questi lavoratori, di “agile” vi è solo l’amabile disinvoltura a evitare di affrontare la complessità dei problemi che questa tipologia di lavoro produrrà nel mercato del lavoro.
La pericolosità sta nella diffusione di un rapporto di lavoro di natura altamente subordinata spacciato come rapporto di lavoro autonomo “leggero” e senza rischi per la salute.
"La norma sul demansionamento oltre ad avere permesso alle aziende azioni finora non possibili, ha anche introdotto il concetto della “non obbligatorietà” della formazione specifica alla mansione prima del cambio della mansione stessa.
Può sembrare un dettaglio, ma non lo è. Cosa succede, in concreto, quando un lavoratore viene immediatamente adibito a un compito del quale non conosce i rischi specifici e le relative misure di prevenzione da adottare? Succede che l’incidenza di infortuni e malattie professionali aumenta.
Come non pensare anche alla questione della sorveglianza elettronica (o classicamente “videosorveglianza”), che assegna al datore di lavoro la possibilità del controllo attraverso apparecchiature specificamente fornite per l’espletamento della prestazione lavorativa (come smartphone, tablet, personal computer)? Oltre ai noti e sollevati problemi di privacy, è evidente come l’eventuale uso disciplinare o discriminatorio dei dati provenienti da questo
tipo di controllo non aiutano certo il clima di benessere organizzativo necessario al lavoro.
Ma torniamo all’articolo 20 del Decreto “semplificazioni”, che riguarda direttamente le materie di salute e sicurezza. Il primo problema evidente è la riduzione dei componenti della
Commissione consultiva permanente (ex articolo 6 del D.Lgs.81/08) di espressione delle parti sociali, con l’introduzione al loro posto di componenti espressione del mondo associazionistico e tecnico professionale, in questo modo la “governance” della Commissione viene mutata con la modifica dei numeri necessari per l’espressione del parere, violando il principio del “tripartitismo” cui è informata la legislazione italiana ed europea in materia di salute e sicurezza. Il giusto ruolo delle parti sociali, è a questo punto soccombente con la nuova disciplina rispetto alla parte di Stato e Regioni.
Gli altri due aspetti assolutamente negativi contenuti nel Decreto sono quelli relativi ai lavoratori retribuiti attraverso i voucher e all’abolizione del Registro infortuni.
Per i primi si prevede la non applicazione delle tutele relative alla prevenzione previste dal D.Lgs.81/08, se questi non prestano la propria opera nei confronti di un’impresa o di un professionista.
Ci si dimentica però che questa forma di lavoro, nata per regolamentare in qualche modo il lavoro accessorio e occasionale, riconducendolo nell’ambito della regolarità, è subito diventata una dilagante forma di precarietà: è evidente, dunque, la discriminatorietà della norma in questione nei confronti di centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici.
Altro punto negativo è quello dell’abolizione dell’obbligatorietà della tenuta del Registro infortuni. La misura è del tutto favorevole a quelle aziende scorrette che non gradiscono che si tenga traccia di quanto succede all’interno dei loro luoghi di lavoro, che non gradiscono “intrusioni” da parte degli organi di vigilanza.
Solo un accenno, in conclusione, a un’ulteriore questione la cui interpretazione è ancora controversa, ovvero l’abolizione dell’obbligo di comunicazione degli infortuni con una prognosi sotto i 30 giorni da parte del datore di lavoro, sostituita da una comunicazione da parte dell’INAIL. Oltre alle evidenti conseguenze di opacità e problematicità che la norma comporterebbe (fra cui la mancata comunicazione automatica all’autorità giudiziaria), la farraginosità della misura assegna all’INAIL un ruolo molto rilevante e anche rischioso.
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Abbondano i disegni di legge per dare una parvenza di “legalità” alle forme di lavoro “precario” con la sostituzione delle parole che lo definiscono.
Da “precario” il lavoro diviene “agile”, e in alcune accezioni diviene addirittura “smart” dove di “smart” per il lavoratore vi è molto poco.
Tutto diviene indefinito. Abbiamo tra le mani un ibrido che sta tra il regolamento aziendale tipo e un contratto commerciale ove il lavoratore è un fornitore in una relazione di potere sbilanciata. L’aspetto della prestazione è affidato al contratto individuale tra lavoratore e impresa, in una condizione di totale subalternità del lavoratore.
Orari, tempi di lavoro, aspetti gestionali sono consegnati alla trattativa individuale tra lavoratore e impresa. Abusi, truffe e compensi non pagati in ragione di contestazione della qualità della prestazione erogata dal lavoratore saranno possibili e numerosi in quanto le clausole contro gli abusi riguardano solo gli aspetti formali del contratto.
Non esiste nessun accenno che richiami l’ergonomicità delle attrezzature fornite dal committente o proprie del lavoratore. Per fare un esempio i lavoratori “agili” del call center potranno operare con cuffie da tre soldi, apparecchiature di bassa qualità...
Non parliamo poi della prevenzione dello stress lavoro correlato totalmente ignorata in quanto il lavoro “agile” non sarebbe stressante per definizione...
I commi 2 e 3 dell’articolo 6 del Disegno di Legge sul “Lavoro agile” sono emblematici dell’assenza di tutela della salute di questi lavoratori, di “agile” vi è solo l’amabile disinvoltura a evitare di affrontare la complessità dei problemi che questa tipologia di lavoro produrrà nel mercato del lavoro.
La pericolosità sta nella diffusione di un rapporto di lavoro di natura altamente subordinata spacciato come rapporto di lavoro autonomo “leggero” e senza rischi per la salute.
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