Ad altre risponderemo in seguito.
Queste domande sono molto importanti perchè permettono di approfondire e chiarire. Per questo sollecitiamo i lavoratori, le lavoratrici, i giovani, chi segue la FO, ad intervenire sul ciclo appena concluso con domande, note, interventi, commenti, ecc.
Domanda pervenuta da un giovane proletario sul salario
Ho capito ancora più cose in merito al valore
della forza lavoro, non capisco, però, perché è sbagliato dire che diminuendo
il salario dell'operaio, aumenta il profitto del padrone.
Mi spiego meglio, perché la matematica mi dice
tutt'altro.
Se un operaio lavora 8 ore e il padrone non ha
bisogno di aumentare la produzione, perché il mercato non richiede tutta questa
merce X, ma il padrone automaticamente vuole aumentare un po’ il profitto e
arricchirsi di più. Lasciamo perdere quali siano i vari metodi per cercare di
diminuire il costo di lavoro. Il padrone paga 50 al giorno per 8 ore l'operaio
e quindi gli paga 4 ore e le altre 4 le fa gratis, ma se lo paga 35 automaticamente
l'operaio lavora 3 per lui e 5 per il padrone quindi il plusvalore aumenta di
un’ora in più per il padrone, per 200 operai = 200 ore al giorno in più.
Riepilogando: Produzione - Salario = Plusvalore
(profitto), e questa espressione matematica ci dice che il
salario è inversamente proporzionale al profitto. Diminuendo il salario, aumenta il profitto o viceversa.
salario è inversamente proporzionale al profitto. Diminuendo il salario, aumenta il profitto o viceversa.
Questa cosa di certo non si mette davanti al fatto
concreto ed evidente che aumentando le ore di lavoro il profitto aumenta perché
si produce di più. E che confermo come già è stato chiarito dal compagno/a che
il padrone cerca sempre di far lavorare di più l'operaio per aumentare il
profitto.
L'espressione da me citata sopra non dice che si
produca di più in quel caso ma che aumenti solo il plusvalore a causa del fatto
che il salario diminuisca. Infatti al contrario possiamo dire che la produzione
è direttamente proporzionale al profitto aumentando uno, aumenta anche l'altro.
Tutto quello che è stato detto dal compagno/a è
chiaro, e il lavoro dei compagni è qualcosa di formidabile e mi complimento
sempre di più con essi per lo sforzo enorme che viene fatto. Può essere che il
mio ragionamento sia sbagliato e per questo chiedo ulteriori chiarimenti a fin
che tale idea si cancelli dalla mente, perché fin ora non ritengo esatto, che è
sbagliato dire: il padrone per aumentare il profitto cerca di diminuire il
salario (ma ovviamente e soprattutto anche far lavorare più ore possibili
l'operaio). Tutto qua.
Salvatore, Palermo
RISPOSTA
Premettiamo che stiamo parlando non del plusvalore assoluto e cioè dell’allungamento in qualsiasi
modo della giornata lavorativa oltre quel limite della giornata che riproduce
il salario, ma parliamo del plusvalore
relativo e cioè della necessità del capitalista, quando la giornata di
lavoro diventa fissa per legge, di ottenere comunque un aumento del plusvalore restringendo
la parte della giornata che tocca al salario.
In questo senso non è sbagliato dire che “il padrone
per aumentare il profitto cerca di diminuire il salario” in generale, e questa
può essere anche una sensazione comune. Ma questa affermazione può portare alla
conclusione sbagliata che ciò avvenga per volontà
del capitalista.
Perciò, dato che non è così, bisogna precisare che la
domanda così come è posta introduce diversi argomenti e prevede almeno due
risposte: la prima risposta ci dice
che certamente la volontà del capitalista
è quella di abbassare sempre il salario e usa “i vari metodi per cercare di
diminuire il costo di lavoro” come dice pure tu. Ma non è certo la volontà del capitalista quella che conta in
questo sistema sociale. Infatti, Marx, dato che deve spiegare il movimento
reale della società capitalistica, non può trattare della volontà del padrone o
di quella del salariato, deve invece spiegare i meccanismi di fondo, per così
dire automatici, che ne sono la base vitale. Quindi per ciò che riguarda il
salario il presupposto è che il padrone
paga il “giusto”, cioè nella compra-vendita della forza-lavoro il padrone paga
quanto stabilito (quindi non può abbassare da 50 a 35 il salario come fai tu nell’esempio). E nel corso della sua spiegazione Marx, dopo aver fatto un esempio
in cui il padrone abbassa il salario al
di sotto del suo valore, mettendo in pericolo la capacità del lavoratore di
tenersi in salute per continuare a lavorare, dice: “Malgrado che questo metodo rappresenti una parte
importante nel movimento reale del salario, esso qui viene escluso per il presupposto
che le merci, e quindi anche la forza-lavoro, vengano comprate e vendute al loro pieno valore.”
E allora se il padrone paga il “giusto” in quale
altro modo si abbassa il salario?
Ecco il “meccanismo” che descrive questo processo: il
capitalista ha bisogno di abbassare i costi di produzione, ma visto che non può abbassare il costo dei mezzi di
produzione (macchinari, materie prime… cioè il capitale costante) allora prova ad abbassare i costi del capitale variabile, cioè della
forza lavoro. E quali sono i costi della forza lavoro? Sono i costi dei suoi
mezzi di sostentamento (alimenti, abbigliamento…). Quindi questi mezzi devono
costare di meno, si devono trovare sul mercato ad un prezzo più basso, il loro
valore deve diminuire, affinché sia sufficiente meno salario per comprarli, ogni
merce presa singolarmente deve contenere cioè meno lavoro vivo. Quindi, ancora
una volta, se diminuisce il valore dei mezzi di sostentamento diminuisce anche
il salario. E a questo mira il capitalista. Come? Per diminuire il valore della
singola merce il capitalista deve produrne molto di più, in modo che il valore
complessivo si distribuisca su questo numero di merci aumentate.
E come fa a produrne di più? Aumentando la produttività! È questa una caratteristica fondamentale
della produzione capitalistica. La produttività,
quindi, è il fattore centrale, dovuta come dice Marx dice, ad una costante “rivoluzione nelle condizioni di produzione”.
Infine un’altra precisazione. La frase “Produzione -
Salario = Plusvalore (profitto)” si deve intendere così: la parte della
produzione che resta dopo aver tolto il salario deve essere a sua volta divisa
in tante parti: per reintegrare i mezzi di produzione consumati, per pagare
eventuali interessi, rendite ecc. e una parte infine rimane al capitalista.
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