venerdì 22 gennaio 2016

pc 22 Gennaio - Le tesi del congresso di Lione del Partito Comunista d'Italia (gennaio 1926) - parte 2

Continuiamo la pubblicazione delle Tesi Politiche del Congresso di Lione del PCd'I  (gennaio 1926)

La politica della borghesia italiana
10. Lo scopo che le classi dirigenti si proposero di raggiungere dalle origini dello Stato unitario in poi, fu quello di tenere soggette le grandi masse della popolazione lavoratrice, e impedire loro di diventare, organizzandosi intorno al proletariato industriale e agricolo, una forza rivoluzionaria capace di attuare un completo rivolgimento sociale e politico e dare vita a uno Stato proletario. La debolezza intrinseca del capitalismo le costrinse però a porre come base dell'ordinamento economico e dello Stato borghese una unità ottenuta per via di compromessi tra gruppi non omogenei. In una vasta prospettiva storica questo sistema si dimostra non adeguato allo scopo cui tende. Ogni forma di compromesso fra i diversi gruppi dirigenti la società italiana si risolve infatti in un ostacolo posto allo sviluppo dell'una o dell'altra parte della economia del paese. Cosi vengono determinati nuovi contrasti e nuove reazioni della maggioranza della popolazione, si rende necessario accentuare la pressione sopra le masse e si produce una spinta sempre più decisiva alla mobilitazione di esse per la rivolta contro lo Stato.

11. Il primo periodo di vita dello Stato italiano (1870 90) è quello della maggiore sua debolezza. Le due parti di cui si compone la classe dirigente, gli intellettuali borghesi da una parte e i capitalisti dall'altra, sono uniti nel proposito di mantenere l'unità, ma divisi circa la forma da dare allo Stato unitario. Manca tra di esse una omogeneità positiva. I problemi che lo Stato si propone sono limitati; essi riguardano piuttosto la forma che la sostanza del dominio politico della borghesia; sovrasta a tutti il problema del pareggio, che è un problema di pura conservazione. La coscienza della necessità di allargare la base delle classi che dirigono lo Stato si ha soltanto con gli inizi del "trasformismo".
La maggiore debolezza dello Stato è data in questo periodo dal fatto che al di fuori di esso il Vaticano raccoglie attorno a sé un blocco reazionario e antistatale costituito dagli agrari e dalla grande massa dei contadini arretrati, controllati e diretti dai ricchi proprietari e dai preti. Il programma del Vaticano consta di due parti: esso vuole lottare contro lo Stato borghese unitario e "liberale" e in pari tempo si propone di costituire, con i contadini, un esercito di riserva contro l'avanzata del proletariato socialista, che sarà provocata dallo sviluppo della industria. Lo Stato reagisce al sabotaggio che il Vaticano compie ai suoi danni e si ha tutta una legislazione di contenuto e di scopi anticlericali.

12. Nel periodo che corre dal 1890 al 1900 la borghesia si pone risolutamente il problema di organizzare la propria dittatura e lo risolve con una serie di provvedimenti di carattere politico ed economico da cui è determinata la successiva storia italiana.
Anzitutto si risolve il dissidio tra la borghesia intellettuale e gli industriali: l'avvento al potere di Crispi ne è il segno. La borghesia così rafforzata risolve la questione dei suoi rapporti con l'estero (Triplice alleanza) acquistando una sicurezza che le permette dei tentativi di piazzarsi nel campo della concorrenza internazionale per la conquista di mercati coloniali. All'interno la dittatura borghese si instaura politicamente con una restrizione del diritto di voto che riduce il corpo elettorale a poco più di un milione di elettori su 30 milioni di abitanti. Nel campo economico l'introduzione del protezionismo industriale agrario corrisponde al proposito del capitalismo di acquistare il controllo di tutta la ricchezza nazionale. Viene a mezzo di esso saldata una alleanza tra gli industriali e gli agrari. Questa alleanza strappa al Vaticano una parte delle forze che esso aveva raccolto attorno a sé, soprattutto tra i proprietari di terre del Mezzogiorno, e le fa entrare nel quadro dello Stato borghese. Il Vaticano stesso avverte del resto la necessità di dare maggiore rilievo alla parte del suo programma reazionario che riguarda la resistenza al movimento operaio e prende posizione contro il socialismo con la enciclica Rerum Novarum. Al pericolo che il Vaticano continua però a rappresentare per lo Stato le classi dirigenti reagiscono dandosi una organizzazione unitaria con un programma anticlericale, nella massoneria.
I primi progressi reali del movimento operaio si hanno infatti in questo periodo. L'instaurazione della dittatura industriale agraria pone nei suoi termini reali il problema della rivoluzione determinando i fattori storici di essa. Sorge nel Nord un proletariato industriale e agricolo, mentre nel Sud la popolazione agricola, sottoposta a un sistema di sfruttamento "coloniale", deve essere tenuta soggetta con una compressione politica sempre più forte. I termini della "questione meridionale" vengono posti, in questo periodo, in modo netto. E spontaneamente, senza l'intervento di un fattore cosciente e senza nemmeno che il Partito socialista tragga da questo fatto una indicazione per la strategia di partito della classe operaia, si verifica in questo periodo per la prima volta il confluire dei tentativi insurrezionali del proletariato, settentrionale, con una rivolta di contadini meridionali (fasci siciliani).

13. Spezzati i primi tentativi del proletariato e dei contadini di insorgere contro lo Stato, la borghesia italiana consolidata può adottare, per ostacolare i progressi del movimento operaio, i metodi esteriori della democrazia e quelli della corruzione politica verso la parte più avanzata della popolazione lavoratrice (aristocrazia operaia) per renderla complice della dittatura reazionaria che essa continua ad esercitare, e impedirle di diventare il centro della insurrezione popolare contro lo Stato (giolittismo). Si ha però, tra il 1900 e il 1910, una fase di concentrazione industriale ed agraria. Il proletariato agricolo cresce del 50 per cento a danno delle categorie degli obbligati, mezzadri e fittavoli. Di qui una ondata di movimenti agricoli, e un nuovo orientamento, dei contadini che costringe lo stesso Vaticano a reagire con la fondazione dell'"Azione cattolica" e con un movimento "sociale" che giunge, nelle sue forme estreme, fino ad assumere le parvenze di una riforma religiosa (modernismo). A questa reazione del Vaticano per non lasciarsi sfuggire le masse corrisponde l'accordo dei cattolici con le classi dirigenti per dare allo Stato una base più sicura (abolizione del non expedit, patto Gentiloni). Anche verso la fine di questo terzo periodo (1914) i diversi movimenti parziali del proletariato e dei contadini culminano in un nuovo inconscio tentativo di saldatura delle diverse forze di massa antistatali in una insurrezione contro lo Stato reazionario. Da questo tentativo viene già posto con sufficiente rilievo il problema che apparirà in tutta la sua ampiezza nel dopoguerra: cioè il problema della necessità che il proletariato organizzi, nel suo seno, un partito di classe che gli dia la capacità di porsi a capo della insurrezione e di guidarla.

14. Il massimo di concentrazione economica nel campo industriale si ha nel dopoguerra. Il proletariato raggiunge il più alto grado di organizzazione e ad esso corrisponde il massimo di disgregazione delle classi dirigenti e dello Stato. Tutte le contraddizioni insite nell'organismo sociale italiano affiorano con la massima crudezza per il risveglio delle masse anche più arretrate alla vita politica provocato dalla guerra e dalle sue conseguenze immediate. E, come sempre, l'avanzata degli operai dell'industria e dell'agricoltura si accompagna a una agitazione profonda delle masse dei contadini, sia del Mezzogiorno che delle altre regioni. I grandi scioperi e la occupazione delle fabbriche si svolgono contemporaneamente alla occupazione delle terre. La resistenza delle forze reazionarie si esercita ancora secondo la direzione tradizionale. Il Vaticano consente che accanto all’ Azione cattolica" si formi un vero e proprio partito, il quale si propone di inserire le masse contadine entro il quadro dello Stato borghese apparentemente accontentando le loro aspirazioni di redenzione economica e di democrazia politica. Le classi dirigenti a loro volta attuano in grande stile il piano di corruzione e disgregazione interna del movimento operaio, facendo apparire ai capi opportunisti la possibilità che una aristocrazia operaia collabori al governo in un tentativo di soluzione "riformista" del problema dello Stato (governo di sinistra). Ma in un paese povero e disunito come l'Italia, l'affacciarsi di una soluzione "riformista" del problema dello Stato provoca inevitabilmente la disgregazione della compagine statale e sociale, la quale non resiste all'urto dei numerosi gruppi in cui le stesse classi dirigenti e le classi intermedie si polverizzano. Ogni gruppo ha esigenze di protezione economica e di autonomia politica sue proprie, e, nell'assenza di un omogeneo nucleo di classe che sappia imporre, con la sua dittatura, una disciplina di lavoro e di produzione a tutto il paese, sbaragliando ed eliminando gli sfruttatori capitalisti ed agrari, il governo viene reso impossibile e la crisi del potere è continuamente aperta.
La sconfitta del proletariato rivoluzionario è dovuta, in questo periodo decisivo, alle deficienze politiche, organizzative, tattiche e strategiche del partito dei lavoratori. In conseguenza di queste deficienze il proletariato non riesce a mettersi a capo della insurrezione della grande maggioranza della popolazione e a farla sboccare nella creazione di uno Stato operaio; esso stesso subisce invece l'influenza di altre classi sociali che ne paralizzano l'azione. La vittoria del fascismo nel 1922 deve essere considerata quindi non come una vittoria sulla rivoluzione, ma come la conseguenza della sconfitta toccata alle forze rivoluzionarie per loro intrinseco difetto.

 Il fascismo e la sua politica
15. Il fascismo, come movimento di reazione armata che si propone lo scopo di disgregare e di disorganizzare la classe lavoratrice per immobilizzarla, rientra nel quadro della politica tradizionale delle classi dirigenti italiane, e nella lotta del capitalismo contro la classe operaia. Esso è perciò favorito nelle sue origini, nella sua organizzazione e nel suo cammino da tutti indistintamente i vecchi gruppi dirigenti, a preferenza però dagli agrari i quali sentono più minacciosa la pressione delle plebi rurali. Socialmente però il fascismo trova la sua base nella piccola borghesia urbana e in una nuova borghesia agraria sorta da una trasformazione della proprietà rurale in alcune regioni (fenomeni di capitalismo agrario nell'Emilia, origine di una categoria di intermediari di campagna, "borse della terra", nuove ripartizioni di terreni). Questo fatto e il fatto di aver trovato una unità ideologica e organizzativa nelle formazioni militari in cui rivive la tradizione della guerra (arditismo) e che servono alla guerriglia contro i lavoratori, permettono ai fascismo di concepire ed attuare un piano di conquista dello Stato in contrapposizione ai vecchi ceti dirigenti. Assurdo parlare di rivoluzione. Le nuove categorie che si raccolgono attorno al fascismo traggono però dalla loro origine una omogeneità e una comune mentalità di "capitalismo nascente". Ciò spiega come sia possibile la lotta contro gli uomini politici del passato e come esse possano giustificarla con una costruzione ideologica in contrasto con le teorie tradizionali dello Stato e dei suoi rapporti con i cittadini. Nella sostanza il fascismo modifica il programma di conservazione e di reazione che ha sempre dominato la politica italiana soltanto per un diverso modo di concepire il processo di unificazione delle forze reazionarie. Alla tattica degli accordi e dei compromessi esso sostituisce il proposito di realizzare una unità organica di tutte le forze della borghesia in un solo organismo politico sotto il controllo di una unica centrale che dovrebbe dirigere insieme il partito, il governo e lo Stato. Questo proposito corrisponde alla volontà di resistere a fondo ad ogni attacco rivoluzionario, il che permette al fascismo di raccogliere le adesioni della parte più decisamente reazionaria della borghesia industriale e degli agrari.

16. Il metodo fascista di difesa dell'ordine, della proprietà e dello Stato è, ancora più del sistema tradizionale dei compromessi e della politica di sinistra, disgregatore della compagine sociale e delle sue sovrastrutture politiche. Le reazioni che esso provoca devono essere esaminate in relazione alla sua applicazione sia nel campo economico che nel campo politico.
Nel campo politico, anzitutto, l'unità organica della borghesia nel fascismo non si realizza immediatamente dopo la conquista del potere. Al di fuori del fascismo rimangono i centri di una opposizione borghese al regime. Da una parte non viene assorbito il gruppo che tiene fede alla soluzione giolittiana del problema dello Stato. Questo gruppo si collega a una sezione della borghesia industriale e con un programma di riformismo laburista", esercita influenza sopra strati di operai e piccoli borghesi. Dall'altra parte il programma di fondare lo Stato sopra una democrazia rurale del Mezzogiorno e sopra la parte "sana" della industria settentrionale ("Corriere della sera", liberismo, Nitti) tende a diventare programma di una organizzazione politica di opposizione al fascismo con basi di massa nel Mezzogiorno (Unione nazionale).
Il fascismo è costretto a lottare contro, questi gruppi superstiti molto vivacemente e a lottare con vivacità anche maggiore contro la massoneria che esso considera giustamente come centro di organizzazione di tutte le tradizionali forze di sostegno dello Stato. Questa lotta, che è, volere o no, l'indizio di una spezzatura nel blocco delle forze conservatrici e antiproletarie, può in determinate circostanze favorire lo sviluppo e l'affermazione del proletariato come terzo e decisivo fattore di una situazione politica.
Nel campo economico il fascismo agisce come strumento di una oligarchia industriale e agraria per accentrare nelle mani del capitalismo il controllo di tutte le ricchezze del paese. Ciò non può fare a meno di provocare un malcontento nella piccola borghesia la quale, con l'avvento del fascismo, credeva giunta l'era del suo dominio.
Tutta una serie di misure viene adottata dal fascismo per favorire una nuova concentrazione industriale (abolizione della imposta di successione, politica finanziaria e fiscale, inasprimento del protezionismo), e ad esse corrispondono altre misure a favore degli agrari e contro i piccoli e medi coltivatori (imposte, dazio sul grano, "battaglia del grano"). L'accumulazione che queste misure determinano non è un accrescimento di ricchezza nazionale, ma è spoliazione di una classe a favore di un'altra, e cioè delle classi lavoratrici e medie a favore della plutocrazia. Il disegno di favorire la plutocrazia appare sfacciatamente nel progetto di legalizzare nel nuovo codice di commercio il regime delle azioni privilegiate; un piccolo pugno di finanzieri viene, in questo modo, posto in condizioni di poter disporre senza controllo di ingenti masse di risparmio provenienti dalla media e piccola borghesia e queste categorie sono espropriate del diritto di disporre della loro ricchezza. Nello stesso piano, ma con conseguenze politiche più vaste, rientra il progetto di unificazione delle banche di emissione, cioè, in pratica, di soppressione delle due grandi banche meridionali. Queste due banche adempiono oggi la funzione di assorbire i risparmi del Mezzogiorno e le rimesse degli emigranti (600 milioni), cioè la funzione che nel passato adempivano lo Stato con la emissione di buoni del tesoro e la Banca di sconto nell'interesse di una parte dell'industria pesante del Nord. Le banche meridionali sono state controllate fino ad ora dalle stesse classi dirigenti del Mezzogiorno, le quali hanno trovato in questo controllo una base reale del loro dominio politico. La soppressione delle banche meridionali come banche di emissione farà passare questa funzione alla grande industria del Nord che controlla, attraverso la Banca commerciale, la Banca d'Italia e verrà in questo modo accentuato lo sfruttamento economico "coloniale" e l'impoverimento del Mezzogiorno, nonché accelerato il lento processo di distacco dallo Stato anche della piccola borghesia meridionale.
La politica economica del fascismo si completa con i provvedimenti intesi a rialzare il corso della moneta, a risanare il bilancio dello Stato, a pagare i debiti di guerra e a favorire l'intervento del capitale inglese americano in Italia. In tutti questi campi il fascismo attua il programma della plutocrazia (Nitti) e di una minoranza industriale agraria ai danni della grande maggioranza della popolazione le cui condizioni di vita sono progressivamente peggiorate.
Coronamento di tutta la propaganda ideologica, dell'azione politica ed economica del fascismo è la tendenza di esso all'"imperialismo". Questa tendenza è la espressione del bisogno sentito dalle classi dirigenti industriali agrarie italiane di trovare fuori del campo nazionale gli elementi per la risoluzione della crisi della società italiana. Sono in essa i germi di una guerra che verrà combattuta, in apparenza, per l'espansione italiana ma nella quale in realtà l'Italia fascista sarà uno strumento nelle mani di uno dei gruppi imperialisti che si contendono il dominio del mondo.

17. Si determinano, in conseguenza della politica del fascismo, profonde reazioni delle masse. Il fenomeno più grave è il distacco sempre più deciso delle popolazioni agrarie del Mezzogiorno e delle Isole dal sistema di forze che reggono lo Stato. La vecchia classe dirigente locale (Orlando, Di Cesarò, De Nicola, ecc.) non esercita più in modo sistematico la sua funzione di anello di congiunzione con lo Stato. La piccola borghesia tende quindi ad avvicinarsi ai contadini. Il sistema di sfruttamento e di oppressione delle masse meridionali è portato dal fascismo all'estremo; questo facilita la radicalizzazione anche delle categorie intermedie e pone la questione meridionale nei suoi veri termini, come questione che sarà risolta soltanto dalla insurrezione dei contadini alleati del proletariato nella lotta contro i capitalisti e contro gli agrari.
Anche i contadini medi e poveri delle altre parti d'Italia acquistano una funzione rivoluzionaria, benché in modo più lento. Il Vaticano   la cui funzione reazionaria è stata assuma dal fascismo   non controlla più le popolazioni rurali in modo completo attraverso i preti, l'"Azione cattolica" e il Partito popolare. Vi è una parte dei contadini, la quale è stata risvegliata alle lotte per la difesa dei suoi interessi dalle stesse organizzazioni autorizzate e dirette dalle autorità ecclesiastiche, ed ora, sotto la pressione economica e politica del fascismo, accentua il proprio orientamento di classe e incomincia a sentire che le sue sorti non sono separabili da quelle della classe operaia. Indizio di questa tendenza è il fenomeno Miglioli. Un sintomo assai interessante di essa è anche il fatto che le organizzazioni bianche, le quali, essendo una parte dell'"Azione cattolica" fanno capo direttamente al Vaticano, hanno dovuto entrare nei comitati intersindacali con le Leghe rosse, espressione di quel pericolo proletario che i cattolici indicavano fin dal 1870 come imminente alla società italiana.
Quanto al proletariato, l'attività disgregatrice delle sue forze trova un limite nella resistenza attiva della avanguardia rivoluzionaria e in una resistenza passiva della grande massa, la quale rimane fondamentalmente classista e accenna a rimettersi in movimento non appena si rallenta la pressione fisica del fascismo e si fanno più forti gli stimoli dell'interesse di classe. Il tentativo di portare nel suo seno la scissione con i sindacati fascisti si può considerare fallito. I sindacati fascisti, mutando il loro programma, diventano ora strumenti diretti di compressione reazionaria al servizio dello Stato.

18. Ai pericolosi spostamenti e ai nuovi reclutamenti di forze che sono provocati dalla sua politica il fascismo reagisce facendo gravare su tutta la società il peso di una forza militare e un sistema di compressione il quale tiene la popolazione inchiodata al fatto meccanico della produzione senza possibilità di avere una vita propria, di manifestare una propria volontà e di organizzarsi per la difesa dei propri interessi.
La cosiddetta legislazione fascista non ha altro scopo che quello di consolidare e rendere permanente questo sistema. La nuova legge elettorale politica, le modificazioni dell'ordinamento amministrativo con la introduzione del podestà per i comuni di campagna, ecc., vorrebbero segnare la fine della partecipazione delle masse alla vita politica e amministrativa del paese. Il controllo sulle associazioni impedisce ogni forma permanente "legale" di organizzazione delle masse. La nuova politica sindacale toglie alla Confederazione del lavoro e ai sindacati di classe la possibilità di concludere dei concordati per escluderli dal contatto con le masse che si erano organizzate attorno ad essi. La stampa proletaria viene soppressa. Il partito di classe del proletariato ridotto alla vita pienamente illegale. Le violenze fisiche e le persecuzioni di polizia sono adoperate sistematicamente, soprattutto nelle campagne, per incutere il terrore e mantenere una situazione da stato d'assedio.
Il risultato di questa complessa attività di reazione e di compressione è lo squilibrio tra il rapporto reale delle forze sociali e il rapporto delle forze organizzate, per cui a un apparente ritorno alla normalità e alla stabilità corrisponde una acutizzazione di contrasti pronti a prorompere ad ogni istante per nuove vie.

18 bis. La crisi seguita al delitto Matteotti ha fornito un esempio della possibilità che l'apparente stabilità del regime fascista sia turbata dalle basi per il prorompere improvviso di contrasti economici e politici approfonditisi senza che fossero avvertiti. Essa ha in pari tempo fornito la prova della incapacità della piccola borghesia a guidare ad un esito, nell'attuale periodo storico, la lotta contro la reazione industriale agraria.

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