Un compagno dalla Tunisia
In questo decimo anniversario della rivolta proletaria delle banlieues ci
ritroviamo qui, non certo per celebrare una ricorrenza ma per capitalizzare
l’esperienza che i giovani proletari delle banlieues francesi e di tutto il
mondo hanno mostrato in questo lasso di tempo. Già all’indomani della rivolta,
nel maggio 2006, proprio qui a Parigi, molte organizzazioni e partiti maoisti
si riunirono in un meeting ormai divenuto storico in cui si traevano alcune
analisi e conclusioni politiche importanti, una su tutte è che la rivolta dei
giovani proletari delle banlieues ha dimostrato che lo stato imperialista non è
onnipotente, che può essere messo in difficoltà dalle masse popolari ma ciò che
è indispensabile è l’organizzazione rivoluzionaria di tipo nuovo affinché la
rivolta non si spenga da se, com’ è effettivamente avvenuto nel 2005.
La rivolta, che incendiò per un mese e mezzo la Francia, vide in prima
linea giovani proletari spesso definiti “immigrati di seconda o terza
generazione” le cui origini si trovano nei paesi oppressi dall’imperialismo
francese, in particolare molti giovani di origine maghrebina. La maggior parte
di essi sono formalmente cittadini francesi ma non con gli stessi diritti, di
un “francese bianco”.
Ciò che accomuna i giovani cittadini francesi di origine araba e gli arabi
di nuova migrazione è proprio il fatto di essere proletari, quindi discriminati
allo stesso modo dallo stato francese.
Giovani che hanno visto disfarsi quotidianamente davanti ai propri occhi il
mito della Francia “democratica” e includente; relegati in quartieri ghetto
dove il tasso di disoccupazione è superiore alla media nazionale, costantemente
“assediati” dalle continue incursioni gratuite della polizia (una delle quali
ha provocato la morte di Bouma e Zied) lontani kilometri e kilometri dal centro
di vita pulsante delle metropoli. Il mito dell’accoglienza e dell’integrazione
francese, che fa leva sul concetto di “democrazia e libertà” e che dovrebbe
rappresentare la differenza con quei paesi di provenienza diventa senza significato.
Proprio nelle scuole e nelle associazioni caritatevoli presenti nelle banlieues
si raccontava di questa differenza tra la Francia democratica e ad esempio la
Tunisia dittatoriale di Ben Ali, provando a convincere i giovani, di vivere in
un paese delle grandi opportunità mentre ogni giorno gli stessi giovani
conducevano e conducono una vita nella miseria materiale e spirituale senza
prospettive per il futuro.
Un giovane di origine maghrebina, sia che sia nato e cresciuto in Francia
sia che sia appena arrivato sfidando i confini della fortezza Europa, aveva e
ha tutto il diritto di pretendere che questa sbandierata uguaglianza, queste
decantate opportunità, diritti ecc. diventino fatto reale e non mera propaganda
di stato. I giovani in rivolta infatti hanno
innanzitutto colpito tutti i simboli della oppressione: le caserme di
polizia, le scuole di stato e tutte le altre istituzioni presenti nelle
banlieues e contemporaneamente si sono appropriati di tutti quei beni di consumo
tanto pubblicizzati quanto negati alla gioventù proletaria, ma si sono
riappropriati anche del proprio quartiere, riorganizzandolo in maniera embrionale
quanto meno da un punto di vista di controllo del territorio.
Tutto ciò è avvenuto anche negli anni successivi in altre rivolte nelle
metropoli imperialiste: a Stoccolma, a Londra, a Ferguson…
Ma un altro grande importante avvenimento è stato proprio quello delle
rivolte popolari del mondo arabo la cui scintilla è scoccata in Tunisia alla
fine del 2010 e a cui ci avviciniamo al quinto anniversario il mese prossimo.
Bene, quanto si dice nell’appello di convocazione di questo meeting si può trasporre
per quanto riguarda la Tunisia: a distanza di 5 anni dalla grande rivolta
popolare che ha rovesciato il regime autocratico di Ben Ali la condizione dei
giovani proletari tunisini non è cambiata molto, anzi anche i giovani e il
popolo in generale pensano che alcune cose siano peggiorate. Infatti lo stato
di polizia su cui si basava il regime di Ben Ali non è stato scalfito, anche in
Tunisia la polizia colpisce in primis i giovani proletari e ribelli, nei
quartieri delle periferie e nella periferia del paese rappresentato dai
governatorati meridionali e interni.
La disoccupazione giovanile lungi dall’essere diminuita è aumentata a ciò
si è aggiunto l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità. Inoltre il
nuovo governo formato dalla cricca Nidaa Tounes (il vecchio partito al potere
RCD “restaurato”) ed Ennahdha (i fratelli musulmani in Tunisia) sta letteralmente
restaurando il vecchio regime che proprio i giovani proletari tunisini in prima
linea avevano rovesciato, e sta rinnovando tutti gli accordi economici e
militari con l’imperialismo USA e Francese in primis; ciò conferma la natura
compradora e burocratica dello stato tunisino che si traduce in un continuo
latrocinio delle risorse nazionali a scapito del popolo e in particolare dei
giovani. Per questo l’alto tasso di astensionismo durante le cosiddette prime
elezioni democratiche tunisine con la nuova costituzione è stato ingrossato
proprio dai giovani proletari che hanno sfiduciato in blocco i partiti politici
borghesi tunisini e negli ultimi mesi hanno rifiutato i divieti fascisti a
manifestare imposti dallo “stato di emergenza” indetto nella primavera del 2015
proprio come in Francia nel 2005, e sono scesi in piazza sia per rivendicare
migliori condizioni di vita e lavoro sia per respingere la cosiddetta “legge di
riconciliazione economica” che riabiliterebbe uomini d’affari e mafiosi legati
al precedente regime. Grazie a queste proteste il governo è stato costretto a
non rinnovare più lo “stato di emergenza” mostrando che il vero obiettivo di
esso era reprimere chi lotta e non lo spauracchio del “terrorismo islamico”.
Oggi gli studenti nelle università hanno il diritto di parola e ad
organizzarsi, ma continuano a scontrarsi con un sistema educativo rigido e
verticista.
Sia le rivolte delle “banlieues” nei paesi imperialisti che le rivolte
arabe hanno spazzato via il marciume innanzitutto ideologico e politico. Tutti
i falsi rivoluzionari, trotzkisti, falso maoisti e opportunisti di ogni tipo
hanno gettato la maschera: nel primo caso condannando le rivolte nei Paesi
Imperialisti come “sottoproletarie” o “anarchiche”, nel secondo caso sostenendo
le forze riformiste o addirittura reazionarie presenti in Tunisia, Egitto,
Siria, Marocco ecc.
Sia le rivolte nei paesi imperialisti che nei paesi arabi hanno confermato
che oggi la tendenza principale nel mondo è la Rivoluzione per non parlare
delle Guerre Popolari in India, Filippine, Turchia/Nord Kurdistan, Perù.
I giovani proletari e le masse popolari protagonisti in entrambe le rivolte
percepiscono lo stato borghese, i suoi apparati repressivi e in generale come
un nemico.
Entrambe le rivolte dimostrano di avere un’enorme potenzialità grazie
all’uso della violenza rivoluzionaria. Entrambe le rivolte sono incominciate da
una scintilla rappresentata da un evento particolare e circoscritto per poi
espandersi per imitazione sia in termini geografici (da Clichy su Bois al
centro di Parigi e nelle altre città francesi; da Sidi Bouzid a Tunisi a tutto
il mondo arabo) che non (dalla richiesta di giustizia in seguito all’evento
particolare ad una pretesa di Giustizia in generale: a diverse condizioni di
vita generali).
Entrambe le rivolte hanno messo in difficoltà uno stato imperialista e
rovesciato regimi reazionari, ma mostrano anche che se la rivolta non si
trasforma in rivoluzione proletaria tutti i risultati raggiunti regrediscono e
vengono perduti e chi ne giova e solo la classe dominante che impara dal colpo
subito momentaneamente, si riorganizza e torna all’attacco con una foga
maggiore.
Allora il problema all’ordine del giorno è evitare che ciò avvenga
rafforzando e costruendo le forze soggettive rivoluzionarie, i partiti maoisti
di tipo nuovo che hanno la potenzialità di applicare una strategia
rivoluzionaria adatta alla situazione concreta che differisce innanzitutto in
base alla natura del paese se esso è imperialista o oppresso dall’imperialismo.
Ma come dicevamo ci sono state delle similitudini tra le rivolte nelle
banlieues e quelle dei paesi arabi: infatti le periferie parigine non
differiscono molto dalle periferie di una grande capitale come Tunisi o Il
Cairo.
Un giovane tunisino di Ettadhamen nella periferia di Tunisi non differisce
molto da un giovane “banlieusard” parigino, piuttosto che americano o
londinese. Quindi sicuramente nella strategia della guerra popolare di lunga
durata in un paese oppresso dall’imperialismo come la Tunisia bisogna tenere in
considerazione queste peculiarità urbane ovvero queste “campagne urbane”
interne alle grandi città.
Di converso le banlieues in un paese imperialista rappresentano proprio
quelle campagne da cui accerchiare le cittadelle dove ha sede il potere.
In entrambe le rivolte i maoisti sono stati all’avanguardia, fin dai primi
giorni di esse hanno fatto una corretta analisi di esse, vi hanno partecipato
in prima linea, hanno combattuto le posizioni errate di altri gruppi o partiti
sedicenti rivoluzionari. Ma in entrambi i casi le forze maoiste pur essendo
potenzialmente “la soluzione” non hanno avuto la possibilità di esserlo per
diversi motivi. Ciò necessita lo sviluppo delle forze maoiste nel fuoco delle
rivolte quando esse scoppiano ma quotidianamente nel fuoco della lotta di
classe e in stretto legame con le masse in particolare con i giovani ribelli
delle periferie imperialiste e delle campagne e periferie delle grandi città
nei paesi oppressi. La pratica rivoluzionaria svolta in entrambi i tipi di
paesi e lo scambio di queste esperienze tra partiti fratelli e rivoluzionari in
un meeting internazionale come questo, è
un ottimo aiuto per la Rivoluzione Mondiale e una base comune da cui ripartire.
Viva la rivolta delle banlieues!
Viva le rivolte arabe!
10-100-1000 nuove rivolte in tutto il mondo!
Da Parigi a Tunisi, da Ferguson al Cairo viva
l’internazionalismo proletario!
Per un secolo di rivolte che diventino guerre
popolari!
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