giovedì 21 gennaio 2016

pc 21 Gennaio - Le tesi del congresso di Lione del Partito Comunista d'Italia (gennaio 1926) - parte 1

A seguire la diretta streaming della discussione sulle Tesi Politiche del Congresso di Lione del PCd'I effettuata ieri, iniziamo oggi a pubblicarne in 6 parti il testo

Congresso di Lione del Partito comunista d'Italia (20-26 gennaio 1926)

IV. Tesi politiche: la situazione italiana e la bolscevizzazione del Partito

1. La trasformazione dei partiti comunisti, nei quali si raccoglie l'avanguardia della classe operaia, in partiti bolscevichi, si può considerare, nel momento presente, come il compito fondamentale della Internazionale comunista. Questo compito deve essere posto in relazione con lo sviluppo storico del movimento operaio internazionale, e in particolare con la lotta svoltasi nell'interno di esso tra il marxismo e le correnti che costituivano una deviazione dai principi e dalla pratica della lotta di classe rivoluzionaria.
In Italia, il compito di creare un partito bolscevico assume tutto il rilievo che è necessario soltanto se si tengono presenti le vicende del movimento operaio dai suoi inizi e le deficienze fondamentali che in esso si sono rivelate.


2. La nascita del movimento operaio ebbe luogo in ogni paese in forme diverse. Di comune vi fu in ogni luogo la spontanea ribellione del proletariato contro il capitalismo. Questa ribellione assunse pero in ogni nazione una forma specifica, la quale era riflesso e conseguenza delle particolari caratteristiche nazionali degli elementi che, provenendo dalla piccola borghesia e dai contadini, avevano contribuito a formare la grande massa del proletariato industriale.
Il marxismo costituì l'elemento cosciente, scientifico, superiore a] particolarismo delle varie tendenze di carattere e origine nazionale e condusse contro di esse una lotta nel campo teorico e nel campo della organizzazione. Tutto il processo formativo della I Internazionale ebbe come cardine questa lotta, la quale si conchiuse con la espulsione del bakuninismo dalla Internazionale. Quando la I Internazionale cessò di esistere, il marxismo aveva oramai trionfato nel movimento operaio. La II Internazionale si formò infatti di partiti i quali si richiamavano tutti al marxismo e lo prendevano come fondamento della loro Lattica in tutte le questioni essenziali.

Dopo la vittoria del marxismo, le tendenze di carattere nazionale delle quali esso aveva trionfato cercarono di manifestarsi per altra via, risorgendo nel seno stesso del marxismo come forme di revisionismo. Questo processo fu favorito dallo sviluppo della fase imperialistica del capitalismo. Sono strettamente connessi con questo fenomeno i seguenti tre fatti: il venir meno nelle file del movimento operaio della critica dello Stato, parte essenziale della dottrina marxista, alla quale si sostituiscono le utopie democratiche; il formarsi di un'aristocrazia operaia; un nuovo spostamento di masse dalla piccola borghesia e dai contadini al proletariato, e quindi una nuova diffusione tra il proletariato di correnti ideologiche di carattere nazionale, contrastanti col marxismo. Il processo di degenerazione della II Internazionale assunse così la forma di una lotta contro il marxismo che si svolgeva nell'interno del marxismo stesso. Esso culminò nello sfacelo provocato dalla guerra.

Il solo partito che si salvò dalla degenerazione è il Partito bolscevico, il quale riuscì a mantenersi alla testa del movimento operaio del proprio paese, espulse dal proprio seno le tendenze antimarxiste ed elaborò, attraverso le esperienze di tre rivoluzioni, il leninismo, che è il marxismo dell'epoca del capitalismo monopolista, delle guerre imperialiste e della rivoluzione proletaria. Viene così storicamente determinata la posizione del Partito bolscevico nella fondazione e a capo della III Internazionale, e sono posti i termini del problema della formazione di partiti bolscevichi in ogni paese: esso è il problema di richiamare l'avanguardia del proletariato alla dottrina e alla pratica del marxismo rivoluzionario, superando e liquidando completamente ogni corrente antimarxista.
 

3. In Italia le origini e le vicende del movimento operaio furono tali che non si costituì mai, prima della guerra, una corrente di sinistra marxista che avesse un carattere di permanenza e di continuità. Il carattere originario del movimento operaio italiano fu molto confuso; vi confluirono tendenze diverse, dall'idealismo mazziniano al generico umanitarismo dei cooperatori e dei fautori della mutualità e al bakuninismo, il quale sosteneva che esistevano in Italia, anche prima di uno sviluppo del capitalismo, le condizioni per passare immediatamente al socialismo. La tarda origine e la debolezza dell'industrialismo fecero mancare l'elemento chiarificatore dato dalla esistenza di un forte proletariato cd ebbero come conseguenza che anche la scissione degli anarchici dai socialisti si ebbe con un ritardo di una ventina di anni (1892, Congresso di Genova).
Nel Partito socialista italiano come usci dal Congresso di Genova due erano le correnti dominanti. Da una parte vi era un gruppo di intellettuali che non rappresentavano più della tendenza a una riforma democratica dello Stato: il loro marxismo non andava oltre il proposito di suscitare e organizzare le forze del proletariato per farle servire alla instaurazione della democrazia (Turati, Bissolati, ecc.). Dall'altra un gruppo più direttamente collegato con il movimento proletario, rappresentante una tendenza operaia, ma sfornito di qualsiasi adeguata coscienza teorica (Lazzari). Fino al '900 il partito non si propose altri fini che di carattere democratico. Conquistata, dopo il '900, la libertà di organizzazione e iniziatasi una fase democratica, fu evidente la incapacità di tutti i gruppi che lo componevano a dargli la fisionomia di un partito marxista del proletariato.
Gli elementi intellettuali si staccarono anzi sempre più dalla classe operaia, né ebbe un risultato il tentativo, dovuto a un altro strato di intellettuali e piccolo borghesi, di costituire una sinistra marxista che prese forma nel sindacalismo. Come reazione a questo tentativo trionfò in seno al partito la frazione integralista, la quale fu la espressione, nel suo vuoto verbalismo conciliatorista, di una caratteristica fondamentale del movimento operaio italiano, che si spiega essa pure con la debolezza dell'industrialismo, e con la deficiente coscienza critica del proletariato. Il rivoluzionarismo degli anni precedenti la guerra mantenne intatta questa caratteristica, non riuscendo mai a superare i confini del generico popolarismo per giungere alla costruzione di un partito della classe operaia e alla applicazione del metodo della lotta di classe.
Nel seno di questa corrente rivoluzionaria si incominciò, già prima della guerra, a differenziare un gruppo di "estrema sinistra" il quale sosteneva le tesi del marxismo rivoluzionario, in modo saltuario però e senza riuscire ad esercitare sullo sviluppo del movimento operaio una influenza reale.
In questo modo si spiega il carattere negativo ed equivoco che ebbe la opposizione del Partito socialista alla guerra e si spiega come il Partito socialista si trovasse, dopo la guerra, davanti a una situazione rivoluzionaria immediata, senza avere né risolto, né posto nessuno dei problemi fondamentali che la organizzazione politica del proletariato deve risolvere per attuare i suoi compiti: in prima linea il problema della "scelta della classe" e della forma organizzativa ad essa adeguata; poi il problema del programma del partito, quello della sua ideologia, e infine i problemi di strategia e di tattica la cui risoluzione porta a stringere attorno al proletariato le forze che gli sono naturalmente alleate nella lotta contro lo Stato e a guidarlo alla conquista del potere.
La accumulazione sistematica di una esperienza che possa contribuire in modo positivo alla risoluzione di questi problemi si inizia in Italia soltanto dopo la guerra. Soltanto col Congresso di Livorno sono poste le basi costitutive del partito di classe del proletariato il quale, per diventare un partito bolscevico e attuare in pieno la sua funzione, deve liquidare tutte le tendenze antimarxiste tradizionalmente proprie del movimento operaio.

Analisi della struttura sociale italiana
4. Il capitalismo è l'elemento predominante nella società italiana e la forza che prevale nel determinare lo sviluppo di essa. Da questo dato fondamentale deriva la conseguenza che non esiste in Italia possibilità di una rivoluzione che non sia la rivoluzione socialista. Nei paesi capitalistici la sola classe che può attuare una trasformazione sociale male e profonda è la classe operaia. Soltanto la classe operaia è capace di tradurre in atto i rivolgimenti di carattere economico e politico che sono necessari perché le energie del nostro paese abbiano libertà e possibilità di sviluppo complete. Il modo come essa attuerà questa sua funzione rivoluzionaria è in relazione con il grado di sviluppo del capitalismo in Italia e con la struttura sociale che ad esso corrisponde.
5. L'industrialismo, che è la parte essenziale del capitalismo, è in Italia assai debole. Le sue possibilità di sviluppo sono limitate e per la situazione geografica e per la mancanza di materie prime. Esso non riesce quindi ad assorbire la maggioranza della popolazione italiana (4 milioni di operai industriali stanno di fronte a 3 milioni e mezzo di operai agricoli e a 4 milioni di contadini). Si oppone all'industrialismo una agricoltura la quale si presenta naturalmente come base della economia del paese. Le variatissime condizioni del suolo, e le conseguenti differenze di colture e sistemi di conduzione, provocano però una forte differenziazione dei ceti rurali, con una prevalenza degli strati poveri, più vicini alle condizioni del proletariato e più facili a subire la sua influenza e ad accettarne la guida. Tra le classi industriali ed agrarie si pone una piccola borghesia urbana abbastanza estesa e che ha una importanza assai grande. Essa consta in prevalenza di artigiani, professionisti e impiegati dello Stato. 

6. La debolezza intrinseca del capitalismo costringe la classe industriale ad adottare degli espedienti per garantirsi il controllo sopra tutta la economia del paese. Questi espedienti si riducono in sostanza a un sistema di compromessi economici tra una parte degli industriali e una parte delle classi agricole, e precisamente i grandi proprietari di terre. Non ha quindi luogo la tradizionale lotta economica tra industriali cd agrari, né ha luogo la rotazione di gruppi dirigenti che essa determina in altri paesi. Gli industriali non hanno d'altra parte bisogno di sostenere, contro gli agrari, una politica economica la quale assicuri il continuo afflusso di mano d'opera dalle campagne alle fabbriche, perché questo afflusso è garantito dalla esuberanza di popolazione agricola povera che è caratteristica dell'Italia. L'accordo industriale agrario si basa sopra una solidarietà d interessi tra alcuni gruppi privilegiati, ai danni degli interessi generali della produzione e della maggioranza di chi lavora. Esso determina una accumulazione di ricchezza nelle mani dei grandi industriali, che è conseguenza di una spoliazione sistematica di intiere categorie della popolazione e di intiere regioni del paese. I risultati di questa politica economica sono infatti il deficit del bilancio economico, l'arresto dello sviluppo economico di intiere regioni (Mezzogiorno, Isole), l'impedimento, al sorgere e allo svilupparsi di una economia maggiormente adatta alla struttura del paese e alle sue risorse, la miseria crescente della popolazione lavoratrice, l'esistenza di una continua corrente di emigrazione e il conseguente impoverimento demografico.

7. Come non controlla naturalmente tutta la economia, così la classe industriale non riesce a organizzare da sola la società intiera e lo Stato. La costruzione di uno Stato nazionale non le è resa possibile che dallo sfruttamento di fattori di politica internazionale (cosiddetto Risorgimento). Per il rafforzamento di esso e per la sua difesa è necessario il compromesso con le classi sulle quali la industria esercita una egemonia limitata, particolarmente gli agrari e la piccola borghesia. Di qui una eterogeneità e una debolezza di tutta la struttura sociale e dello Stato che ne è la espressione.


7 bis. Un riflesso della debolezza della struttura sociale si ha, in modo tipico, prima della guerra, nell'esercito. Una cerchia ristretta di ufficiali, sforniti del prestigio di capi (vecchie classi dirigenti agrarie, nuove classi industriali), ha sotto di sé una casta di ufficiali subalterni burocratizzata (piccola borghesia), la quale è incapace di servire come collegamento con la massa dei soldati indisciplinata e abbandonata a se stessa. Nella guerra tutto l'esercito è costretto a riorganizzarsi dal basso, dopo una eliminazione dei gradi superiori e una trasformazione di struttura organizzativa che corrisponde all'avvento di una nuova categoria di ufficiali subalterni. Questo fenomeno precorre l'analogo rivolgimento che il fascismo compirà nei confronti con lo Stato su scala più vasta.

8. I rapporti tra industria e agricoltura, che sono essenziali per la vita economica di un paese e per la determinazione delle sovrastrutture politiche, hanno in Italia una base territoriale. Nel Settentrione prevalgono la produzione e la popolazione industriale, nel Mezzogiorno e nelle isole la produzione e la popolazione agricola. In conseguenza di ciò, tutti i contrasti inerenti alla struttura sociale del paese contengono in sé un elemento che tocca la unità dello Stato e la mette in pericolo. La soluzione del problema viene cercata dai gruppi dirigenti borghesi e agrari attraverso un compromesso. Nessuno di questi gruppi possiede naturalmente un carattere unitario e una funzione unitaria. Il compromesso col quale l'unità viene salvata è d'altra parte tale da rendere più grave la situazione. Esso dà alle popolazioni lavoratrici del Mezzogiorno una posizione analoga a quella delle popolazioni coloniali. La grande industria del Nord adempie verso di esse la funzione delle metropoli capitalistiche: i grandi proprietari di terre e la stessa media borghesia meridionale si pongono invece nella situazione delle categorie che nelle colonie si, alleano alla metropoli per mantenere soggetta la massa del popolo che lavora. Lo sfruttamento economico e la oppressione politica si uniscono quindi per fare della popolazione lavoratrice del Mezzogiorno una forza continuamente mobilitata contro lo Stato.

9. Il proletariato ha in Italia una importanza superiore a quella che ha in altri paesi europei anche di capitalismo più progredito, paragonabile solo a quella che aveva nella Russia prima della rivoluzione Ciò è in relazione anzitutto con il fatto che per la scarsezza di materie prime la industria si basa a preferenza sulla mano d'opera (maestranze specializzate), indi con la eterogeneità e con i contrasti di interessi che indeboliscono le classi dirigenti. Di fronte a questa eterogeneità il proletariato si presenta come l'unico elemento che per la sua natura ha una funzione unificatrice e coordinatrice di tutta la società. Il suo programma di classe è il solo programma unitario", cioè il solo la cui attuazione non porta ad approfondire i contrasti tra i diversi clementi della economia e della società e non porta a spezzare la unità dello Stato. Accanto al proletariato industriale inoltre esiste una grande massa di proletari agricoli, accentrata soprattutto nella Valle del Po, facilmente influenzata dagli operai della industria e quindi agevolmente mobilitabile nella lotta contro il capitalismo e lo Stato.
Si ha in Italia una conferma della tesi che le più favorevoli condizioni per la rivoluzione proletaria non si hanno necessariamente sempre nei paesi dove il capitalismo e l'industrialismo sono giunti al più alto grado del loro sviluppo, ma si possono invece avere là dove il tessuto del sistema capitalistico offre minori resistenze, per le sue debolezze di struttura, a un attacco della classe rivoluzionaria e dei suoi alleati.

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