DA
https://claudiomagliulo.wordpress.com
La
Francia interviene ancora una volta in Africa occidentale per una
missione di peace-keeping. Disinteressato impegno della ex-potenza
coloniale o piuttosto il segnale che il nuovo Grande Gioco per il
controllo delle risorse del continente sta entrando nel vivo?
Francia
gendarme d’Africa
Nel marzo 2011 il presidente Sarkozy promuove e ordina la partecipazione delle forze armate francesi all’intervento Nato in Libia, con gran dispiego di mezzi. Come per gli altri paesi coinvolti nell’intervento, la Francia aveva ed ha interessi nell’estrazione del petrolio e del gas libici tramite il colosso degli idrocarburi Total.
Giorni
dopo l’inizio dell’intervento in Libia, le forze francesi
stazionate in Costa d’Avorio dal 2002 e il contingente Onu vengono
trascinati in una guerra civile lampo tra i lealisti del presidente
Laurent Gbagbo, appena sconfitto in elezioni disputate (la
Commissione elettorale ne decreta la sconfitta, ma la Corte Suprema
ribalta il risultato), e i sostenitori del neo-eletto Alassane
Ouattara, appoggiato da Parigi e comunità internazionale. Dopo
giorni di scontri, le forze speciali francesi schiacciano le ultime
difese di Gabgbo e ne consentono l’arresto.Nel marzo 2011 il presidente Sarkozy promuove e ordina la partecipazione delle forze armate francesi all’intervento Nato in Libia, con gran dispiego di mezzi. Come per gli altri paesi coinvolti nell’intervento, la Francia aveva ed ha interessi nell’estrazione del petrolio e del gas libici tramite il colosso degli idrocarburi Total.
Nel
gennaio 2012, pochi mesi dopo la morte di Muammar Gheddafi e la fine
delle operazioni Nato in Libia, alcuni gruppi di separatisti e
ribelli nel nord del Mali avviano una campagna contro il governo.
L’organizzazione più rilevante è il Movimento nazionale per la
liberazione dell’Azawad, regione settentrionale arida ma ricca di
risorse, in particolare oro nella zona di Kidali e petrolio a nord di
Timbuctu, dove si trova il vasto giacimento petrolifero di Toudeni.
Progressivamente, però, gruppi jihadisti vicini ad al-Qaeda nel
Maghreb Islamico (Aqmi) si uniscono alla sollevazione e infine ne
assumono il controllo sostanziale, decisi ad applicare la sharia
nella zona “liberata”.
Nel frattempo il governo viene rovesciato da un colpo di Stato
militare ad un mese dalle elezioni. Ma anche la giunta militare non
riesce ad impedire la presa di alcune delle principali città,
inclusa Gao.
Ad
ottobre 2012 viene chiesto aiuto alla comunità internazionale. Una
risoluzione Onu approva l’invio di un contingente guidato da forze
dell’Unione Africana, ma la reazione alla crisi da parte dei
governi africani è molto lenta. I qaedisti respingono i tuareg
dell’Mnla (nel frattempo alleatesi con il governo contro la
minaccia jihadista e in cambio di autonomia per l’Azawad) e
avanzano pericolosamente verso sud. I francesi intervengono il giorno
successivo, progressivamente respingendo i ribelli sempre più a nord
con l’aiuto dell’esercito ciadiano. Malgrado le forze qaediste
siano state in larga parte sconfitte, il paese resta sull’orlo
della crisi.
Nell’autunno-inverno
2013-2014, infine, la crisi in Repubblica Centrafricana esplode in
tutta la sua virulenza, conducendo all’ennesimo intervento francese
nel paese, legato all’ex-potenza coloniale da un trattato di
difesa.
Al
momento le
forze francesi in Africa
ammontano ad oltre 10mila uomini (tre quarti dei militari in missione
all’estero), duemila dei quali di stanza nella grande base di
Gibuti e gli altri divisi in vari contingenti dal Senegal, al Mali,
al Ciad, al Camerun, alla Costa d’Avorio e, ora, in Repubblica
Centrafricana.
La
mappa degli interventi militari francesi, tuttavia, e quella delle
risorse naturali (principalmente uranio e petrolio) considerate
strategiche per la sicurezza energetica di Parigi si sovrappongono
con una precisione che non lascia spazio a dubbi circa le motivazioni
strategiche e geopolitiche del rinnovato interesse dell’ex potenza
coloniale per la Françafrique.
La
Francia produce al momento il 75% della sua energia da centrali
nucleari. Le centrali sono alimentate ad uranio, di cui pochi
posti nel mondo
sono ricchi a sufficienza per consentire uno sfruttamento
economicamente conveniente dei bacini. Uno di questi è il Niger, da
cui Areva, il gigante del nucleare francese, estrae il 20% del suo
uranio. Gli altri sono la Repubblica Centrafricana, dove Areva ha
investito circa 100 milioni di euro nello sviluppo della miniera di
Bakouma, nel sud del paese, e il Gabon, produttore dal 1960 al 1999 e
dove continuano le esplorazioni per ulteriori bacini uraniferi.
Il
Grande Gioco: la conquista cinese dell’Africa
Ma i francesi non sono i soli ad avere interessi strategici in Africa. In questo momento la vera protagonista del gioco è la Cina, che da oltre quindici anni ha avviato una aggressiva quanto discreta campagna acquisti nel continente. Nell’ultimo decennio gli scambi commerciali tra Africa e Cina sono passati dai 9 miliardi di dollari del 2000 ai 160 del 2011: Pechino pesa ormai per il 15% delle esportazioni totali africane, un numero che continua a crescere. Tra il 2005 e il 2010 si sono registrati investimenti diretti cinesi nel continente per un valore di 44 miliardi di dollari. Solo in America Latina i cinesi hanno investito di più (60 miliardi di dollari nello stesso periodo).
Ma i francesi non sono i soli ad avere interessi strategici in Africa. In questo momento la vera protagonista del gioco è la Cina, che da oltre quindici anni ha avviato una aggressiva quanto discreta campagna acquisti nel continente. Nell’ultimo decennio gli scambi commerciali tra Africa e Cina sono passati dai 9 miliardi di dollari del 2000 ai 160 del 2011: Pechino pesa ormai per il 15% delle esportazioni totali africane, un numero che continua a crescere. Tra il 2005 e il 2010 si sono registrati investimenti diretti cinesi nel continente per un valore di 44 miliardi di dollari. Solo in America Latina i cinesi hanno investito di più (60 miliardi di dollari nello stesso periodo).
Gli
interessi
della nuova potenza in ascesa
vanno dalle miniere di uranio, oro, diamanti e altre pietre preziose
ai pozzi petroliferi, dalle infrastrutture al legno delle foreste
congolesi e gabonesi, al rame ed altri metalli. Al momento la Cina
ricava oltre un terzo del suo petrolio dall’Africa, principalmente
da Angola e Sudan (Nord e Sud) e le diverse compagnie di Stato cinesi
(CNOOC e Sinopec, in particolare) stanno scalzando le grandi
multinazionali occidentali un barile alla volta.
I
cinesi, d’altronde, hanno molto da offrire rispetto ai competitor
americani ed europei. Intanto un potenziale afflusso di liquidi e
prestiti a tassi praticamente inesistenti (l’Angola, ad esempio, ha
ricevuto almeno 10 miliardi di dollari dal 2005 ad oggi) e senza
richiedere onerosi aggiustamenti strutturali, come è prassi della
Banca Mondiale. In secondo luogo i cinesi costruiscono strade, porti,
aeroporti, edifici governativi, finanche residenze private di
presidenti e intere
città,
in parte per facilitare il trasferimento delle risorse estratte, in
parte come partita di giro nell’ambito degli accordi di
sfruttamento. Infine la Cina non si intromette negli affari interni
dell’Africa, non fa pressioni sui regimi dittatoriali perché
rispettino i diritti umani e indicano libere elezioni. Anzi, su
questo punto i cinesi continuano a reagire con fastidio alle
intromissioni di Usa ed Europa, bollandoli senza mezzi termini come
atteggiamenti colonialisti.
La Cina
sta cercando più o meno apertamente di allontanare il punto di
sbocco finale delle risorse dal golfo di Guinea, ancora dominato da
Francia, Regno Unito e Stati Uniti, in favore della costa kenyana. In
ballo anche la costruzione di due grandi oleodotti, uno dall’Angola,
l’altro dal Sudan, che convoglino l’oro nero nell’hub di Lamu
(un progetto da 25 miliardi di dollari, tre aeroporti internazionali,
32 moli, una raffineria e 1.500 km di strada ferrata avviato
dal governo kenyano e di cui la Cina si è già aggiudicata la fetta
più consistente).
L’Africa
sta dunque diventando rapidamente uno dei principali teatri di un
nuovo Grande Gioco su scala globale. Con il Medio Oriente sempre meno
sicuro e l’Asia centrale in continua destabilizzazione, le risorse
del sottosuolo africano diventano di anno in anno più determinanti.
Secondo l’International
Energy Agency
la domanda di energia continuerà a crescere a ritmo sostenuto, e
almeno il 65% di questa crescita sarà imputabile all’Asia, con la
Cina che nel 2035 avrà una domanda di energia superiore a quella di
Stati Uniti ed Europa messi insieme.
Gli
Usa scaldano i droni
Gli Stati Uniti, intanto, distratti per dieci anni dalle due guerre in Iraq e Afghanistan e dall’ossessione monotematica del terrorismo, stanno lentamente realizzando che i mandarini di Pechino hanno riempito tutti buchi della loro strategia, fino a minacciarne progressivamente l’egemonia non solo nel Pacifico (dove è ormai in atto un confronto a bassa intensità e a distanza tra i due dirimpettai) ma anche in America Latina e in Africa.
Gli Stati Uniti, intanto, distratti per dieci anni dalle due guerre in Iraq e Afghanistan e dall’ossessione monotematica del terrorismo, stanno lentamente realizzando che i mandarini di Pechino hanno riempito tutti buchi della loro strategia, fino a minacciarne progressivamente l’egemonia non solo nel Pacifico (dove è ormai in atto un confronto a bassa intensità e a distanza tra i due dirimpettai) ma anche in America Latina e in Africa.
A
differenza della Francia, gli Stati Uniti non hanno un grande
dispiegamento di forze sul terreno, fatta eccezione per i militari di
stanza nella base ex francese di Camp Lemonnier a Gibuti (circa
3mila) e alcuni piccoli contingenti di forze speciali tra la
Repubblica Centrafricana e la Repubblica Democratica del Congo,
ufficialmente dispiegati per dare la caccia a Joseph Kony, il
sanguinario leader del Lord Resistance Army.
E
se la retorica ufficiale è ancora quella della caccia ai terroristi
di al-Qaeda, nelle stanze del Dipartimento di Stato si sta facendo
strada la consapevolezza che bisogna mettere in campo qualche pedina
in più, se si vuole «rientrare nel gioco», per usare le parole del
segretario di Stato John Kerry. Da qui la creazione, in tutta la
fascia equatoriale africana, di una costellazione di minuscole e
semi-nascoste basi (Foreign Policy ha realizzato una
mappa su Google Maps),
molte delle quali ospitano droni che possono servire a monitorare il
Sahel dove si nascondono i terroristi di Aqmi, ma anche a tenere
sotto controllo i progressi cinesi e ad esercitare un ruolo chiave
nei conflitti presenti e future che dilaniano il continente.
Basteranno questi timidi dispiegamenti di forze, che vanno ad
aggiungersi ai numerosi accordi di cooperazione tecnica e militare
con quasi tutti gli Stati dell’Africa centrale e occidentale, per
fare lo sgambetto alla Cina? La nuova fase del Grande Gioco è appena
iniziata.
Nessun commento:
Posta un commento