(da
http://www.rivistaeuropae.eu)
Il coinvolgimento della Russia nel conflitto siriano segna una importante svolta nella guerra civile che da oltre quattro anni imperversa nel paese mediorientale. Mosca e Damasco sono legate a doppio filo in una trama complessa, resa più fitta dagli interessi nazionali di entrambe e rinsaldatasi all’alba della guerra fredda e poi consolidatasi con l’avvento di Bath e della dinastia Assad.
Il coinvolgimento della Russia nel conflitto siriano segna una importante svolta nella guerra civile che da oltre quattro anni imperversa nel paese mediorientale. Mosca e Damasco sono legate a doppio filo in una trama complessa, resa più fitta dagli interessi nazionali di entrambe e rinsaldatasi all’alba della guerra fredda e poi consolidatasi con l’avvento di Bath e della dinastia Assad.
Breve
anatomia dell’intervento russo.
L’invio
di truppe e mezzi militari
è stato giustificato dal Cremlino come una misura volta a
contrastare la minaccia terroristica dello Stato Islamico in Siria ed è forte di mezzi blindati, carri armati, droni aerei di sorveglianza, missili terra-aria, velivoli per attacco al suolo e per conflitti aria-aria. Le forze inviate da Mosca si concentrano essenzialmente attorno a due nuclei ben definiti: da un lato la base navale di Tartus, 95km a ovest di Homs, dall’altro una crescente componente aero-terrestre presso la base di Jableh, nei pressi di Latakia, città portuale circa 50km a nord da Tartus.
contrastare la minaccia terroristica dello Stato Islamico in Siria ed è forte di mezzi blindati, carri armati, droni aerei di sorveglianza, missili terra-aria, velivoli per attacco al suolo e per conflitti aria-aria. Le forze inviate da Mosca si concentrano essenzialmente attorno a due nuclei ben definiti: da un lato la base navale di Tartus, 95km a ovest di Homs, dall’altro una crescente componente aero-terrestre presso la base di Jableh, nei pressi di Latakia, città portuale circa 50km a nord da Tartus.
Gli
interessi di Mosca
È difficile credere che Putin abbia deciso di intervenire in Siria per divenire parte attiva e risolutiva del conflitto contro l’ISIS, così come appare remota la possibilità che casacche russe si schierino in campo aperto accanto alle truppe di Bashar Assad contro l’arcipelago di milizie anti-governative. Entrambe le possibilità presentano infatti conseguenze pericolose: nel primo caso, il rischio è che Putin butti benzina sul fuoco in Cecenia, dove l’ISIS sta cercando di prendere piede in chiave anti-moscovita; nel secondo, la frizione con la controparte occidentale rischierebbe di divenire insostenibile, a maggior ragione considerando che entrambe le parti dispiegano “stivali sul campo”.
Date tali considerazioni, l’intervento russo può essere letto in un’altra ottica: è verosimile ritenere che l’obiettivo di Putin sia preservare gli interessi nazionali della Russia in Medio Oriente e nel Mediterraneo. A fronte di un conflitto dall’andamento incerto, la politica dell’inazione di Mosca rischia infatti di non essere più adeguata e il caos siriano mette in pericolo il conseguimento dell’ancestrale obiettivo strategico russo sin dai tempi degli zar: Tartus, l’unico sbocco di cui Mosca dispone nel Mediterraneo, piattaforma per proiettare la propria potenza e giocare il ruolo di grande potenza nel mare nostrum.
Se gli obiettivi e la strategia occidentali in Siria sono quindi piuttosto complessi (da un lato supportando le forze anti-governative; dall’altro cooperando col regime di Assad in funzione anti-ISIS), gli interessi moscoviti sono invece piuttosto lineari. Alla luce di tutto ciò, è lecito aspettarsi che ciò a cui Putin punta realmente non sia tanto conquistare la vittoria dell’alleato siriano, quanto piuttosto una sedia al tavolo dei negoziati: il supporto ad Assad, giustificato in chiave anti-terroristica, potrebbe in realtà essere sfruttato per ridare fiato alle forze governative e guadagnare tempo per consolidare il ruolo di Mosca sul piano diplomatico nello scacchiere mediorientale.
È difficile credere che Putin abbia deciso di intervenire in Siria per divenire parte attiva e risolutiva del conflitto contro l’ISIS, così come appare remota la possibilità che casacche russe si schierino in campo aperto accanto alle truppe di Bashar Assad contro l’arcipelago di milizie anti-governative. Entrambe le possibilità presentano infatti conseguenze pericolose: nel primo caso, il rischio è che Putin butti benzina sul fuoco in Cecenia, dove l’ISIS sta cercando di prendere piede in chiave anti-moscovita; nel secondo, la frizione con la controparte occidentale rischierebbe di divenire insostenibile, a maggior ragione considerando che entrambe le parti dispiegano “stivali sul campo”.
Date tali considerazioni, l’intervento russo può essere letto in un’altra ottica: è verosimile ritenere che l’obiettivo di Putin sia preservare gli interessi nazionali della Russia in Medio Oriente e nel Mediterraneo. A fronte di un conflitto dall’andamento incerto, la politica dell’inazione di Mosca rischia infatti di non essere più adeguata e il caos siriano mette in pericolo il conseguimento dell’ancestrale obiettivo strategico russo sin dai tempi degli zar: Tartus, l’unico sbocco di cui Mosca dispone nel Mediterraneo, piattaforma per proiettare la propria potenza e giocare il ruolo di grande potenza nel mare nostrum.
Se gli obiettivi e la strategia occidentali in Siria sono quindi piuttosto complessi (da un lato supportando le forze anti-governative; dall’altro cooperando col regime di Assad in funzione anti-ISIS), gli interessi moscoviti sono invece piuttosto lineari. Alla luce di tutto ciò, è lecito aspettarsi che ciò a cui Putin punta realmente non sia tanto conquistare la vittoria dell’alleato siriano, quanto piuttosto una sedia al tavolo dei negoziati: il supporto ad Assad, giustificato in chiave anti-terroristica, potrebbe in realtà essere sfruttato per ridare fiato alle forze governative e guadagnare tempo per consolidare il ruolo di Mosca sul piano diplomatico nello scacchiere mediorientale.
I
timori dell’occidente e i rischi di Mosca
Il coinvolgimento russo ha fatto corrucciare diverse fronti in Europa e Stati Uniti, per diversi motivi: il rischio di incidenti sul campo è una possibilità reale e le conseguenze sono difficili da immaginare. In secondo luogo, il supporto di Mosca potrebbe prolungare il conflitto e aumentarne sostanzialmente i costi. In terzo luogo Putin potrebbe spingere affinché Assad resti al potere, una condizione giudicata inaccettabile da parte di Washington e Bruxelles. Attualmente è difficile prevedere se Mosca punti effettivamente a preservare lo status quo ante il conflitto, ma sembra poco plausibile che Putin punti a un confronto diretto con la coalizione occidentale. Al contrario, per il presidente russo la deposizione di Assad potrebbe divenire “merce di scambio” nei negoziati.
Tuttavia, qualora l’intenzione russa fosse davvero quella di proteggere il vecchio alleato, la soluzione politica al conflitto potrebbe allontanarsi drasticamente e Mosca rischierebbe di restare invischiata nel conflitto più a lungo di quanto non desideri. Un’ipotesi che probabilmente nessuno al Cremlino si augura, ma che forse è stata presa in considerazione come ultima ratio, a giudicare dai mezzi terrestri, aerei ed antiaerei dispiegati dal Cremlino.
Enrico Iacovizzi 30 settembre 2015
Il coinvolgimento russo ha fatto corrucciare diverse fronti in Europa e Stati Uniti, per diversi motivi: il rischio di incidenti sul campo è una possibilità reale e le conseguenze sono difficili da immaginare. In secondo luogo, il supporto di Mosca potrebbe prolungare il conflitto e aumentarne sostanzialmente i costi. In terzo luogo Putin potrebbe spingere affinché Assad resti al potere, una condizione giudicata inaccettabile da parte di Washington e Bruxelles. Attualmente è difficile prevedere se Mosca punti effettivamente a preservare lo status quo ante il conflitto, ma sembra poco plausibile che Putin punti a un confronto diretto con la coalizione occidentale. Al contrario, per il presidente russo la deposizione di Assad potrebbe divenire “merce di scambio” nei negoziati.
Tuttavia, qualora l’intenzione russa fosse davvero quella di proteggere il vecchio alleato, la soluzione politica al conflitto potrebbe allontanarsi drasticamente e Mosca rischierebbe di restare invischiata nel conflitto più a lungo di quanto non desideri. Un’ipotesi che probabilmente nessuno al Cremlino si augura, ma che forse è stata presa in considerazione come ultima ratio, a giudicare dai mezzi terrestri, aerei ed antiaerei dispiegati dal Cremlino.
Enrico Iacovizzi 30 settembre 2015
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