Di
seguito Il comunicato degli imputati/e notav letto al processo in aula
bunker prima di abbandonare l’aula e andare verso Giaglione dove alle 12
è fissato il ritrovo per andare tutti insieme in Clarea. Alla lettura
del comunicato, con il solito disappunto da parte dei pm più volte
palesato, gli imputati escono con i cori del pubblico.
Il comunicato:
Questo processo, sin dai suoi esordi, si è palesato non come un dibattimento volto all’accertamento dei fatti e a stabilire eventuali responsabilità, ma come un dibattimento a senso unico, quello della procura torinese, in totale assenza di arbitri imparziali.
La scelta stessa di quest’aula – scelta più volte giustificata come mancanza di maxi-aule per infine svelarsi per quello che era: una precisa scelta politica – lo dimostra. La pesante militarizzazione dell’aula, i pesanti controlli e le perquisizioni all’ingresso, la registrazione (e la duplicazione) dei documenti d’identità del pubblico presente non sono altro che espedienti per creare un clima di pericolosità sociale intorno al movimento NO TAV volto a condizionare l’opinione pubblica sulla legittimità di provvedimenti sempre più pesanti. Non a caso si è passati dalle comuni imputazioni di resistenza a quelle di terrorismo.
L’ammissione come parte civile di ben tre ministeri – interno difesa ed economia -, cosa mai accaduta in presenza di semplici reati di resistenza e lesioni, è prova di come questo clima, costruito ad arte dalla procura torinese, trovi nel tribunale la sua legittimazione e la benedizione dei vari governi del TAV.
All’inverso la non ammissione, come testi della difesa, dei tecnici NO TAV è l’ennesima riprova di come si voglia condurre il processo su binari prestabiliti, presentare cioè quanto è accaduto nelle giornate del 27 giugno e del 3 luglio 2011, estrapolandolo da ogni contesto reale e senza tentare minimamente di comprendere le motivazioni e le ragioni degli imputati. Si vuole processare il movimento NO TAV senza che si parli mai del TAV.
Il modo stesso in cui sono regolati e limitati i diritti della difesa - il reiterato rigetto di ogni istanza difensiva, l’impossibilità di conoscere (e quindi poter citare) i nomi dei dirigenti delle forze dell’ordine nelle giornate per cui siamo accusati, l’impossibilità di poter controinterrogare i testi dell’accusa su argomenti di cui i PM non hanno già posto domande, l’impossibilità di valutare l’attendibilità dei testi nel caso di agenti che hanno redatto relazioni di servizio usando le medesime frasi – sono per noi la dimostrazione di quanto tutto sia già stato deciso e il dibattimento rappresenti solamente una formalità necessaria.
La fretta stessa con cui si vuol giungere alla sentenza, il ritmo imposto da tribunale – con udienze massacranti di diverse ore, inframmezzate solo da una brevissima pausa per il pranzo, tenute con una già pesante cadenza settimanale ottenuta solo dopo la protesta unanime dei difensori, non disposti ad accettarne due la settimana – rappresenta un grave impedimento all’esercizio del nostro diritto alla difesa.
Il reiterato divieto da parte del tribunale di ascoltare gli imputati – negando loro quasi sempre la parola e invitando i carabinieri ad allontanarli – sono la palese dimostrazione di come gli imputati non siano considerati degli attori comprimari del processo ma semplici comparse, indispensabili ma senza diritti, utili solo alla prosecuzione della rappresentazione.
Per questi motivi siamo giunti alla conclusione che qualsiasi sforzo generoso da parte dei nostri difensori sarà sempre vanificato dal clima di ostilità che si respira in quest’aula.
Pensavamo che il metodo con cui la procura torinese imbastisce le proprie inchieste contro il movimento NO TAV potesse essere messo liberamente in discussione in sede processuale da parte dei nostri difensori.
Pensavamo di essere processati per delle ipotesi di reato, ma ci siamo accorti – nel corso del procedimento – che siamo processati non per quello che potremmo aver fatto ma per quello che siamo.
Pensavamo di avere un processo normale in un tribunale normale, ma ci sembra – in quanto NO TAV – di essere sottoposti a un procedimento che si dimostra sempre più “speciale”.
Per queste ragioni abbiamo deciso oggi di disertare questo processo.
Abbandoniamo quest’aula, lasciandovi liberi di sperimentare i nuovi metodi di procedura legale da usarsi contro il movimento NO TAV, e ce ne andiamo in Val Clarea, luogo simbolo della nostra resistenza alla devastazione della Val Susa, per testimoniare ancora una volta la nostra determinazione e il nostro impegno in questa lotta.
Il comunicato:
Questo processo, sin dai suoi esordi, si è palesato non come un dibattimento volto all’accertamento dei fatti e a stabilire eventuali responsabilità, ma come un dibattimento a senso unico, quello della procura torinese, in totale assenza di arbitri imparziali.
La scelta stessa di quest’aula – scelta più volte giustificata come mancanza di maxi-aule per infine svelarsi per quello che era: una precisa scelta politica – lo dimostra. La pesante militarizzazione dell’aula, i pesanti controlli e le perquisizioni all’ingresso, la registrazione (e la duplicazione) dei documenti d’identità del pubblico presente non sono altro che espedienti per creare un clima di pericolosità sociale intorno al movimento NO TAV volto a condizionare l’opinione pubblica sulla legittimità di provvedimenti sempre più pesanti. Non a caso si è passati dalle comuni imputazioni di resistenza a quelle di terrorismo.
L’ammissione come parte civile di ben tre ministeri – interno difesa ed economia -, cosa mai accaduta in presenza di semplici reati di resistenza e lesioni, è prova di come questo clima, costruito ad arte dalla procura torinese, trovi nel tribunale la sua legittimazione e la benedizione dei vari governi del TAV.
All’inverso la non ammissione, come testi della difesa, dei tecnici NO TAV è l’ennesima riprova di come si voglia condurre il processo su binari prestabiliti, presentare cioè quanto è accaduto nelle giornate del 27 giugno e del 3 luglio 2011, estrapolandolo da ogni contesto reale e senza tentare minimamente di comprendere le motivazioni e le ragioni degli imputati. Si vuole processare il movimento NO TAV senza che si parli mai del TAV.
Il modo stesso in cui sono regolati e limitati i diritti della difesa - il reiterato rigetto di ogni istanza difensiva, l’impossibilità di conoscere (e quindi poter citare) i nomi dei dirigenti delle forze dell’ordine nelle giornate per cui siamo accusati, l’impossibilità di poter controinterrogare i testi dell’accusa su argomenti di cui i PM non hanno già posto domande, l’impossibilità di valutare l’attendibilità dei testi nel caso di agenti che hanno redatto relazioni di servizio usando le medesime frasi – sono per noi la dimostrazione di quanto tutto sia già stato deciso e il dibattimento rappresenti solamente una formalità necessaria.
La fretta stessa con cui si vuol giungere alla sentenza, il ritmo imposto da tribunale – con udienze massacranti di diverse ore, inframmezzate solo da una brevissima pausa per il pranzo, tenute con una già pesante cadenza settimanale ottenuta solo dopo la protesta unanime dei difensori, non disposti ad accettarne due la settimana – rappresenta un grave impedimento all’esercizio del nostro diritto alla difesa.
Il reiterato divieto da parte del tribunale di ascoltare gli imputati – negando loro quasi sempre la parola e invitando i carabinieri ad allontanarli – sono la palese dimostrazione di come gli imputati non siano considerati degli attori comprimari del processo ma semplici comparse, indispensabili ma senza diritti, utili solo alla prosecuzione della rappresentazione.
Per questi motivi siamo giunti alla conclusione che qualsiasi sforzo generoso da parte dei nostri difensori sarà sempre vanificato dal clima di ostilità che si respira in quest’aula.
Pensavamo che il metodo con cui la procura torinese imbastisce le proprie inchieste contro il movimento NO TAV potesse essere messo liberamente in discussione in sede processuale da parte dei nostri difensori.
Pensavamo di essere processati per delle ipotesi di reato, ma ci siamo accorti – nel corso del procedimento – che siamo processati non per quello che potremmo aver fatto ma per quello che siamo.
Pensavamo di avere un processo normale in un tribunale normale, ma ci sembra – in quanto NO TAV – di essere sottoposti a un procedimento che si dimostra sempre più “speciale”.
Per queste ragioni abbiamo deciso oggi di disertare questo processo.
Abbandoniamo quest’aula, lasciandovi liberi di sperimentare i nuovi metodi di procedura legale da usarsi contro il movimento NO TAV, e ce ne andiamo in Val Clarea, luogo simbolo della nostra resistenza alla devastazione della Val Susa, per testimoniare ancora una volta la nostra determinazione e il nostro impegno in questa lotta.
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