giovedì 14 febbraio 2013

pc 14 febbraio - Ilva Taranto: due linee nel sindacalismo di base e di classe




Sulla lettera del Usb a Clini, perchè non siamo d'accordo nel merito e anche nel metodo



Riportiamo sotto la ‘Lettera aperta al Ministro Clini’ mandata giorni fa dal Coordinamento Usb-Ilva-Taranto. 

 Lo Slai cobas per il sindacato di classe ritiene che questa lettera sia sbagliata nel merito e nel metodo.  

Nel merito. La lettera per sostenere la richiesta del Usb di nazionalizzazione dell’Ilva fa riferimento al decreto salva-Ilva: “l’intervento statale è contemplato nel D.L. 231/2012, fortemente voluto da Lei, Sig. Ministro, nel caso in cui l’azienda non dovesse ottemperarvi”.
Noi, e tanti altri, abbiamo denunciato invece fin dall’inizio che questo decreto è fatto allo scopo di salvare Riva e i suoi profitti, è un via libera a produrre come ha fatto finora, lasciando la gestione nelle mani di chi è agli arresti; in questo senso il decreto è una sorta di lasciapassare a Riva che invece di essere perseguito anche dal governo viene premiato.
Mentre il decreto verso i lavoratori e le masse popolari di Taranto non risolve affatto i problemi e, anzi, si presenta come un diktat.
Questo decreto è contro sia una piena messa a norma della fabbrica che metta in discussione la libertà di produrre nelle condizioni attuali, sia contro una reale bonifica ambientale, perchè dichiara lo stabilimento di Taranto di importanza strategica nazionale; ciò vuol dire che ogni intervento se considerato in contrasto con gli interessi strategici nazionali non va fatto e andrà bloccato. In questa ottica, il decreto nei confronti degli operai stabilisce una sorta di lavoro forzato, in una fabbrica resa ancora “zona franca” da norme e diritti; in nome della “libertà” di produrre verranno impediti interventi della magistratura, ma questo potrà essere usato anche contro lotte, scioperi, proteste degli operai.
Non è quindi un caso - come  abbiamo già visto nelle scorse settimane -  che l’Ilva sia stata militarizzata. Una cosa mai accaduta prima all'Ilva e forse in altre fabbriche, illegale e anticostituzionale. Dentro e fuori lo stabilimento vi erano polizia, carabinieri, Guardia di Finanza, Digos che tranquillamente e permanentemente transitavano in fabbrica, mancava solo l’esercito… Gli operai erano e sono (quando riprende la lotta) un “problema di ordine pubblico”, solo perché rivendicano diritto al lavoro e alla salute tutelati dalla stessa Costituzione.
Per questo chiedere a Clini, principale responsabile di questo decreto, di far riferimento al decreto per difendere lavoro e salute, è come chiedere ad un complice di un assassinio di salvare la vita alla vittima  Metterla in  questo modo oscura  il fatto che non vi è contrasto tra il governo e Riva/Ferrante in questa fase, e che le, appunto “eventuali” ma attualmente non reali, ipotesi di “eventuale adozione di provvedimenti di amministrazione straordinaria”, significherebbero sì intervento dello Stato, ma o per trovare altri padroni (in parte questo sta già avvenendo con il possibile ingresso di nuovi soci, come la Tata srl, nelle cui fabbriche gli operai non godono certo ottima salute e sono supersfruttati e le popolazioni danneggiate e se lottano combattute con l'esercito e la repressione), o per fare qualche opera di risanamento di facciata e riconsegnarla sempre ai privati – ma questo è già avvenuto con l’Italsider. Parlare, quindi, di “nazionalizzazione” e non dire una parola su cosa era in termini di attacco alla salute e di morte, inquinamento l’Italsider delle PPSS nazionale, e non dire che Riva la comprò a pochi soldi  anche perché nessuno la voleva e il governo di allora la dette a pochi soldi, vuol dire non comprendere che la “nazionalizzazione” in un sistema capitalista e con lo Stato del capitale che è prodotto e difensore di questo sistema, non può che basarsi sulle stesse leggi di sfruttamento, profitto, taglio dei costi inutili (quelli per sicurezza e difesa vita e ambiente) del sistema capitalista.
D’altra parte, Clini ha già detto che lo Stato non ha i soldi per la messa a norma, e neanche per salvaguardare lavoro e reddito (vedi problema di mancanza fondi perfino per la cig in deroga!).
Nel metodo. L’unico modo in questa fase per rivolgersi a Clini non è certo con lettere “elogiative”, che danno esagerato credito alle sue parole. Se non si vuole essere presi per il c. e accontentarsi di un nuovo incontro di 5 minuti  l'unico modo è la protesta generale degli operai perchè il ministro si confronti realmente non tanto con una sigla sindacale ma con gli operai in lotta. Questo già poteva essere quando Clini a gennaio è venuto a Taranto all’Ilva. Ma in quella occasione la stessa Usb non si sprecò molto nella protesta dei lavoratori ai cancelli della port. A affinché Clini ricevesse una delegazione, e preferì, dopo, incontrare tranquillamente, con l’autorizzazione della polizia, Clini in Prefettura. Mentre agli operai la risposta del governo, Ilva e Clini era stata alla portineria un concentramento di tutte le forze dell’ordine possibili, pronti a mettersi in assetto anti sommossa per impedire che questo incontro avvenisse.
Che sia a volte opportuno che comunque un incontro con un sindacato di base avvenga, questo è normale; ciò che non è normale è fare un incontro “militarizzato”, dopo che alla richiesta democratica degli operai Clini ha risposto con la faccia della repressione.  

TA. 9.2.13
SLAI COBAS per il sindacato di classe
slaicobasta@gmail.com 

“LETTERA APERTA AL MINISTRO CLINI
Ill.mo Ministro, in occasione della Sua ultima venuta a Taranto, ebbi l’onore di scambiare alcune opinioni con Lei sulla questione Ilva. Ciò avveniva intorno al tavolo istituito presso la Prefettura. In tale circostanza, tra le altre cose, Lei espressamente faceva riferimento al principio di –“chi inquina, paga”-, riferendosi, naturalmente, ai danni prodotti dalla proprietà Ilva in questi ultimi diciassette anni. Il pensiero e la posizione dell’USB, ormai noti e in controtendenza con quelli di altre OO.SS. si basavano e si basano su due aspetti fondamentali: “esproprio senza indennizzo e nazionalizzazione della fabbrica”. Ciò, perché, il Gruppo Riva non merita alcuna credibilità e fiducia, ormai. Lei, facendo riferimento alle normative europee, sosteneva che non fosse possibile demandare allo Stato la gestione dell’azienda, mentre Le facevo notare che vi erano stati altri precedenti, come la Francia, per esempio. Le ricordavo, inoltre, che l’intervento statale è contemplato nel D.L. 231/2012, fortemente voluto da Lei, Sig. Ministro, nel caso in cui l’azienda non dovesse ottemperarvi. Fatte le suddette premesse, Le vorrei far presente quello che accade qui, in fabbrica. L’Ilva, continua a seminare panico tra i lavoratori, angosciati dal sistematico ricatto posto in essere dalla famiglia Riva, in particolar modo da quando essa è oggetto di attenzione da parte della magistratura tarantina. E’ già divenuta prassi la frase del Presidente Ferrante -“non garantiamo lo stipendio del prossimo mese”-, come non possiamo dimenticare lo “scherzo” sulla tredicesima mensilità, retribuita solo alla vigilia di Natale. Siamo di fronte ad un imprenditore senza scrupoli che, pur di affermare il proprio controllo sulla massa, non disdegna di ordinare l’inaudita “marcia dei 7000” che, come Lei saprà sicuramente, ha offeso la città e i cittadini di Taranto quel “glorioso” 30 marzo 2012. Riva non si è limitato a questo grave attacco e ha promosso altre iniziative che non dimenticheremo mai, dato che i blocchi delle strade, compiuti su ordine specifico dei preposti Ilva, hanno provocato non pochi disagi ad una città già violentata dal “signore” dell’acciaio. Ho voluto farle una piccola cronistoria degli ultimi eventi poiché, ancora oggi, assistiamo all’ennesimo trucco posto in essere dal patron Riva. Faccio riferimento alle migliaia di dipendenti che da mesi sono in cassa integrazione, ordinaria e straordinaria e ai tanti operai delle imprese di appalto, meno tutelati, che hanno perso il lavoro o sono in cassa. 1393 è il numero totale dei lavoratori Ilva che si vogliono aggiungere agli altri, già penalizzati e usati come scudi umani da molto tempo. Questa volta, però, si tratta di richiesta in deroga della cassa integrazione, motivata dalla -“mancanza di presupposti di legge”- che non consentono il ricorso alla CIG o CIGO, quali ammortizzatori sociali, dall’andamento negativo del mercato e dal “chiodo” fisso, aggiungo, del prodotto ancora sottoposto a sequestro e non vendibile. La riflessione che tutti farebbero in questo momento, prendendo spunto dal principio da Lei enunciato (chi inquina paga) è d’obbligo: chi ha sbagliato? Chi ha inquinato? Chi deve pagare? A me e, credo di poter interpretare il pensiero di ogni cittadino e dei lavoratori, sembra che, ancora una volta, si tenti di scaricare il peso degli errori e degli orrori su chi non ha assolutamente colpa, facendo ricorso a corsie preferenziali per attingere alle casse dell’ente statale, di conseguenza dei cittadini. Personalmente ed a nome dell’O.S. che rappresento, non intendo assecondare, moralmente, operazioni che mirino alla cura di un “malato cronico immaginario” che, a giudicare dalle notizie di stampa, si presume abbia trasferito ingenti somme di denaro in aree di questo pianeta sconosciute ai più, evadendo per milioni di euro il fisco, secondo altrettante informazioni apparse di recente sui giornali. Non è più accettabile, pertanto, che vengano distratte somme versate con sacrificio dai cittadini per sanare misteriosi buchi finanziari nel Gruppo Riva. Questa città, questa collettività, gli oltre 11.000 lavoratori dell’Ilva e i 4000 dell’appalto, non possono più essere tenuti in ostaggio, utilizzati per forme di ricatto e di gratuita violenza psicologica, allo scopo di ostacolare il percorso della giustizia: in tribunale, gli imputati vanno difesi dagli avvocati. E’ superfluo ricordarLe, Sig. Ministro, ma mi perdonerà se lo faccio, che questo territorio conta innumerevoli decessi e altrettanti ammalati per cause riconducibili all’avvelenamento dell’ambiente provocato da una politica industriale cinica ed incosciente, assecondata da una classe dirigente disattenta e, in qualche caso, connivente. I danni prodotti dalla corsa al massimo profitto, accanto alle tante vittime sul lavoro in Ilva, hanno concorso in maniera significativa alla chiusura di altre imprese, nel terziario, nell’agroalimentare e nel turismo, mettendo in ginocchio l’economia jonica ed elevando all’ennesima potenza il grado di inoccupazione. Non solo, quindi, il disastro ambientale, l’emergenza sanitaria, ma anche la rovina sociale sarebbe da imputare alla famiglia Riva, i cui profitti miliardari ottenuti nel tempo li deve alla capacità e al senso del dovere dei lavoratori, spesso offesi e privati della libertà di pensiero e di parola. Per le ragioni contenute nella presente, Sig. Ministro, non vi è più spazio per le escamotages e, per questo, si rende indispensabile una drastica terapia d’urto, un cambio di rotta rapido, prima che sia troppo tardi. Uno Stato democratico, in un Paese civile la cui Carta Costituzionale insegna che la Legge è uguale per tutti, che la salute è il bene primario da tutelare e che il lavoro equivale alla dignità della persona, non può dimenticare il suo popolo per rincorrere chi resta in attesa di giudizio. Riva non assicura più la tenuta del suo impero, tanto meno, suppongo, le Istituzioni potrebbero più riconoscere fiducia a tale proprietà. Motivo per cui non andrebbe più considerato come interlocutore, ma estromesso dal circuito industriale, prelevando e confiscando preventivamente i beni di sua proprietà, riportando nelle mani dello Stato ogni sito in suo possesso. Da qui ripartire nel rispetto delle prescrizioni di legge, per recuperare salubrità, serenità e sano sviluppo in un territorio che non meritava tanta cattiveria
Cordialità.
Taranto, 06.02.2013 - Coordinamento USB-Ilva-Taranto  - Francesco Rizzo”

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