Capita anche questo; venerdì primo maggio i ciclofattorini torinesi
scendono in sciopero per protestare per le condizioni in cui sono
costretti a lavorare: ritmi infernali e totale mancanza di tutele in
caso di – purtroppo frequenti e spesso anche gravi – incidenti.
Il giorno successivo, ecco che c’è subito il primo padrone che si
lamenta perché alcuni dei dimostranti si sono recati presso il locale
per incitare gli addetti alle consegne a domicilio ad interrompere la
propria attività.
Si tratta dei titolari del ristorante nippo-brasiliano, affiliato
alla catena conosciuta con la ragione sociale Bomaki, che si trova in
via Murazzi del Po 29: una delle tante attività commerciali presenti
dentro le arcate sotto corso Cairoli.
Costoro si lamentano – a darne notizia è un
articolo sull’edizione torinese del quotidiano
la Repubblica di domenica tre maggio, a firma Carlotta Rocci
– perché si sarebbero «ritrovati circondati da una quarantina di
persone che ci urlavano addosso cercando di fermare i rider che stavano
uscendo per le consegne».
Troviamo davvero incredibile che si dia spazio alle lamentele dei
padroni di un locale, dovute ad una giusta e sacrosanta azione di
boicottaggio di un’attività che in quel giorno avrebbe dovuto essere
semplicemente sospesa.
La sola effettuazione di alcune simpatiche scritte all’esterno
dell'ambiente non giustifica il piagnisteo isterico di chi, nonostante
l’astensione dal lavoro sia stata annunciata con congruo anticipo, non
ha voluto rinunciare a fare profitti sulla pelle dei riders.
Bosio (Al), 05 maggio 2020
Stefano Ghio - Proletari Comunisti Alessandria/Genova
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