La ripartenza di Fincantieri, tra sfruttamento e subappalti
da il manifesto
Monfalcone. Da domani nella storica sede di Monfalcone via libera all’indotto locale a basso costo
Riapre un pezzo alla volta il cantiere di Monfalcone. Dopo la
chiusura di marzo ed una parziale apertura il 20 aprile si conta di
arrivare a pieno regime nella seconda metà di maggio. Lunedì, dopo
un centinaio di lavoratori diretti, tornano a lavorare anche le ditte in appalto con residenza regionale. Testati intanto i protocolli anti covid-19: mascherine, termoscanner, percorsi obbligati. Secondo Fincantieri tutto ok: i distanziamenti ci sono, le navi da costruire anche. Lunedì, tuttavia, gli operai autorizzati saranno meno della metà degli 8.000 presenti normalmente.
Fincantieri ha fretta. Prima del tornado coronavirus le commesse arrivavano al 2026 e le navi da crociera, specialità monfalconese, sembravano doversi moltiplicare all’infinito. Poi il blocco e l’incertezza ma c’è l’appoggio statale e già con il «decreto liquidità» dell’8 aprile scorso sono state fornite allettanti garanzie pubbliche agli armatori. E poi la commessa milionaria dalla Marina militare statunitense di questi giorni.
LA REALTÀ DENTRO I CANTIERI è meno dorata. La smisurata presenza di appalti e subappalti è ancora la questione cruciale, anche a Monfalcone. E, con gli appalti, la questione degli immigrati sui quali il livello di sfruttamento si scarica meglio: tariffe orarie dimezzate rispetto alla paga contrattuale, contratti rari con poche ore sulla carta ma anche quindici al giorno nella realtà, niente malattia, niente ferie. Contratti inesistenti, improponibili, sbugiardati anche in Tribunale. Si sono arrestati imprenditori: caporalato, estorsione, minaccia aggravata, sfruttamento del lavoro e falso.
E poi l’estero vestizione che fa macelleria anche delle imprese serie del territorio. Ma a Fincantieri conviene così. «L’emergenza coronavirus può essere l’occasione per ripensare le modalità di tutto il sistema» avevano detto i sindacati a inizio marzo ma le trattative sono ancora sottotraccia.
Una realtà operaia disarticolata e frammentata. E poi quel migliaio di morti per l‘amianto che ancora oggi continua a mietere vittime senza che se ne veda una fine né un possibile riscatto. La città dei cantieri e delle navi bianche si è ritrovata sgomenta e sfiduciata e dopo 70 anni di governo della sinistra, nel 2016 ha votato Lega. Promettevano di andare da Fincantieri «a muso duro», di rimandare a casa quella marea di bengalesi e di rumeni che erano ormai il 20% della popolazione e di far assumere almeno 400 lavoratori (italiani, ça va sans dire).
Dopo quattro anni i nuovi assunti sono ancora poche decine mentre gli appalti aumentano. Come il senso di disagio dentro il cantiere.
LUNEDÌ MOLTI LAVORATORI tornano in cantiere e dopo il 17 maggio ci saranno tutti. C’è una sorta di fatalismo anche rispetto al coronavirus. «Adesso non è difficile seguire i percorsi obbligati, il distanziamento, siamo poche centinaia. Ma da lunedì saremo duemila e poi sbloccheranno anche le ditte slovene e croate che vuol dire altre centinaia di lavoratori. Sarà complicato».
FUORI, INTANTO, si moltiplicano i divieti: vietato entrare negli esercizi pubblici con addosso il terlis (così si chiama nella Venezia Giulia quella tela blu tipica delle tute degli operai), vietato mangiare fuori dai cancelli durante la pausa-pranzo, vietato usare i mezzi pubblici per recarsi in cantiere. Non ci sono mai stati spogliatoi per tutti? Qui la sindaca leghista di Monfalcone si attribuisce la vittoria e la scorsa settimana annuncia: «dopo una riunione difficile, abbiamo ottenuto che ci saranno spogliatoi per tutti». Sì, vero, Fincantieri ha promesso 2.700 spogliatoi nuovi di zecca. Nel 2021 però.
un centinaio di lavoratori diretti, tornano a lavorare anche le ditte in appalto con residenza regionale. Testati intanto i protocolli anti covid-19: mascherine, termoscanner, percorsi obbligati. Secondo Fincantieri tutto ok: i distanziamenti ci sono, le navi da costruire anche. Lunedì, tuttavia, gli operai autorizzati saranno meno della metà degli 8.000 presenti normalmente.
Fincantieri ha fretta. Prima del tornado coronavirus le commesse arrivavano al 2026 e le navi da crociera, specialità monfalconese, sembravano doversi moltiplicare all’infinito. Poi il blocco e l’incertezza ma c’è l’appoggio statale e già con il «decreto liquidità» dell’8 aprile scorso sono state fornite allettanti garanzie pubbliche agli armatori. E poi la commessa milionaria dalla Marina militare statunitense di questi giorni.
LA REALTÀ DENTRO I CANTIERI è meno dorata. La smisurata presenza di appalti e subappalti è ancora la questione cruciale, anche a Monfalcone. E, con gli appalti, la questione degli immigrati sui quali il livello di sfruttamento si scarica meglio: tariffe orarie dimezzate rispetto alla paga contrattuale, contratti rari con poche ore sulla carta ma anche quindici al giorno nella realtà, niente malattia, niente ferie. Contratti inesistenti, improponibili, sbugiardati anche in Tribunale. Si sono arrestati imprenditori: caporalato, estorsione, minaccia aggravata, sfruttamento del lavoro e falso.
E poi l’estero vestizione che fa macelleria anche delle imprese serie del territorio. Ma a Fincantieri conviene così. «L’emergenza coronavirus può essere l’occasione per ripensare le modalità di tutto il sistema» avevano detto i sindacati a inizio marzo ma le trattative sono ancora sottotraccia.
Una realtà operaia disarticolata e frammentata. E poi quel migliaio di morti per l‘amianto che ancora oggi continua a mietere vittime senza che se ne veda una fine né un possibile riscatto. La città dei cantieri e delle navi bianche si è ritrovata sgomenta e sfiduciata e dopo 70 anni di governo della sinistra, nel 2016 ha votato Lega. Promettevano di andare da Fincantieri «a muso duro», di rimandare a casa quella marea di bengalesi e di rumeni che erano ormai il 20% della popolazione e di far assumere almeno 400 lavoratori (italiani, ça va sans dire).
Dopo quattro anni i nuovi assunti sono ancora poche decine mentre gli appalti aumentano. Come il senso di disagio dentro il cantiere.
LUNEDÌ MOLTI LAVORATORI tornano in cantiere e dopo il 17 maggio ci saranno tutti. C’è una sorta di fatalismo anche rispetto al coronavirus. «Adesso non è difficile seguire i percorsi obbligati, il distanziamento, siamo poche centinaia. Ma da lunedì saremo duemila e poi sbloccheranno anche le ditte slovene e croate che vuol dire altre centinaia di lavoratori. Sarà complicato».
FUORI, INTANTO, si moltiplicano i divieti: vietato entrare negli esercizi pubblici con addosso il terlis (così si chiama nella Venezia Giulia quella tela blu tipica delle tute degli operai), vietato mangiare fuori dai cancelli durante la pausa-pranzo, vietato usare i mezzi pubblici per recarsi in cantiere. Non ci sono mai stati spogliatoi per tutti? Qui la sindaca leghista di Monfalcone si attribuisce la vittoria e la scorsa settimana annuncia: «dopo una riunione difficile, abbiamo ottenuto che ci saranno spogliatoi per tutti». Sì, vero, Fincantieri ha promesso 2.700 spogliatoi nuovi di zecca. Nel 2021 però.
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