Il ruolo "dimenticato" dell'Unione Sovietica nella Seconda guerra mondiale
Annie Lacroix-Riz | monde-diplomatique.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Articolo pubblicato nel Maggio 2005
Sessant'anni fa, il 57% dei francesi considerava l'URSS la principale vincitrice della guerra. Nel 2004, erano solo il 20%. Amplificata dai media, questa graduale dimenticanza del ruolo di Mosca è anche dovuta alla controversia sulle politiche di Stalin tra il 1939 e il giugno 1941, che le recenti indagini storiche illuminano di nuova luce. Ma, qualunque cosa si pensi del patto germano-sovietico, come si può negare che, per tre anni, i russi sopportarono gran parte della resistenza, poi della controffensiva contro la Wehrmacht? Al costo di 20 milioni di morti.
Due anni dopo la sua vittoria sul nazismo, l'Armata Rossa divenne, per i popoli dell'Occidente, a causa della guerra fredda, una minaccia (1). Sessant'anni più tardi, la storiografia francese, completata la sua mutazione filo-USA, mette alla gogna l'Unione Sovietica tanto per la fase del patto germano-
sovietico che, da lì in poi, per quella della sua "Grande guerra patriottica". I nostri libri di testo, che equiparano il nazismo al comunismo, ignorano gli storici dell'Europa orientale (2). Ma le ricerche originali che alimentano questo aggiornamento dipingono un quadro completamente diverso dell'URSS nella Seconda guerra mondiale.
La principale accusa contro Mosca riguarda il patto germano-sovietico del 23 agosto 1939 e soprattutto, i suoi protocolli segreti: di fatto, l'abbagliante e travolgente vittoria riportata sulla Polonia dalla Wehrmacht diede il segnale per l'occupazione da parte dell'URSS della Galizia orientale (est della Polonia) come dei paesi baltici (3). Volontà espansionista, Realpolitik o strategia difensiva?
Riprendendo la tesi dei prestigiosi storici Lewis B. Namier e Alan John Percivale Taylor, nonché del giornalista Alexander Werth, il nuovo lavoro degli storici anglofoni ha fatto luce sulle condizioni in cui l'URSS è arrivata a questa decisione. Mostrano come, incoraggiata dagli Stati Uniti, l'ostinazione della Francia e della Gran Bretagna nella loro politica di "appeasement" - in altre parole la capitolazione di fronte alle potenze fasciste - rovinò il progetto sovietico di "sicurezza collettiva" dei paesi minacciati dal Reich. Da qui, gli accordi di Monaco (29 settembre 1938), con i quali Parigi, Londra e Roma permisero a Berlino di annettere i Sudeti due giorni dopo. Isolata di fronte a un Terzo Reich ora con le mani libere a est, Mosca firmò con Berlino il patto di non aggressione che la preservava temporaneamente.
Così terminò la missione franco-britannica inviata a Mosca (dal 11 al 24 agosto) per placare le richieste - dopo l'annessione tedesca della Boemia-Moravia e la satellizzazione della Slovacchia - di un fronte comune con l'URSS. Mosca esigeva l'alleanza automatica e reciproca del 1914, che avrebbe dovuto associare Polonia e Romania, roccaforti del "cordone sanitario" anti-bolscevico del 1919 e i paesi baltici, vitali per la "Russia europea" (4). L'ammiraglio britannico Drax e il generale francese Doumenc dovevano far ricadere la colpa del fiasco sulla sola Mosca: bastava semplicemente "lasciare la Germania sotto la minaccia di un patto militare anglo-franco-sovietico e guadagnare così l'autunno o l'inverno, ritardando la guerra'.
Quando, il 12 agosto, il capo dell'Armata Rossa Klement Voroshilov, "preciso e diretto", propose loro un 'esame concreto' dei piani delle operazioni contro il blocco degli stati aggressori", confessarono di non avere il potere di farlo. Parigi e Londra, decise a non fornire alcun aiuto ai loro alleati orientali, avevano delegato il compito all'URSS, rendendolo impossibile: Varsavia (specialmente) e Bucarest avevano sempre negato il diritto di passaggio all'Armata Rossa. Avendo "garantito" la Polonia senza consultarla, Parigi e Londra dichiararono di essere legate dal veto (incoraggiato dietro le quinte) del germanofilo colonnello Josef Beck, che invocava il "testamento" del suo predecessore Josef Pilsudski: "Con i tedeschi rischiamo di perdere la nostra libertà, con i russi perdiamo la nostra anima".
La questione era più semplice. Nel 1920-1921, la Polonia aveva strappato ai sovietici, con l'aiuto militare francese, la Galizia orientale (5). Cieca dopo il 1934 dinanzi agli appetiti tedeschi, temeva che l'Armata Rossa si impossessasse facilmente di questi territori. La Romania temeva di perdere la Bessarabia presa ai russi nel 1918 e conservata grazie alla Francia. Tantomeno l'URSS ottenne garanzia alcuna dai paesi baltici, la cui indipendenza del 1919-1920 e il mantenimento dell'influenza tedesca si dovevano totalmente al "cordone sanitario".
Da marzo e soprattutto da maggio 1939, Mosca fu corteggiata da Berlino, che, preferendo - per esperienza - una guerra su un solo fronte, promise, prima di lanciarsi sulla Polonia, di rispettare la sua sfera d'influenza in Galizia orientale, nel Baltico e in Bessarabia. Mosca cedette all'ultimo momento, ma non all'illusione di rivoluzione mondiale o al "Drang nach Westen" (questa spinta verso l'Ovest cara al pubblicista tedesco di estrema destra Ernst Nolte). Con Londra e Parigi che viziavano Berlino, Mosca rifiutò di "essere lasciata sola in un conflitto con la Germania" - secondo le parole del segretario al Foreign Office, Charles Lindsley Halifax, il 6 maggio 1939. L'Occidente finse stupore di fronte "alla sinistra notizia che esplode sul mondo come una bomba (6)" e denunciò un tradimento. In realtà, francesi e britannici appostati a Mosca giocavano a fare le Cassandre dal 1933: in assenza di Triplice intesa, l'URSS avrebbe dovuto scendere a patti con Berlino per ottenere il necessario respiro che le avrebbe permesso di mettere sul piede di guerra la sua economia e il suo esercito.
Il 29 agosto 1939, il tenente colonnello Luguet, addetto aereo francese a Mosca (e futuro eroe gollista della squadriglia Normandia-Niemen), certifica la buona fede di Voroshilov e descrive Stalin come "glorioso successore (...) di Alexander Nevsky e Pietro il Grande": "Il trattato pubblicato venne integrato da una convenzione segreta, che definiva, lontano dalle frontiere sovietiche, una linea che le truppe tedesche non dovevano attraversare e che sarebbe stata considerata dall'URSS, in una certa misura, come la sua posizione di copertura (7)".
La Germania iniziò il conflitto generale il 1° settembre 1939, in assenza dell'alleanza che, nel settembre 1914, aveva salvato la Francia dall'invasione. Lo storico Michael Carley condanna la politica di appeasement nata dal "timore della vittoria contro il fascismo" dei governi britannico e francese, preoccupati che il ruolo guida promesso all'URSS in una guerra contro la Germania avrebbe esteso il suo sistema a tutti i belligeranti: "l'anticomunismo", decisivo in ogni fase chiave dal 1934 al 1935, fu quindi "una causa importante della Seconda guerra mondiale (8)".
Il 17 settembre, l'URSS, preoccupata per l'avanzata tedesca in Polonia, proclamò la sua neutralità nel conflitto, non senza occupare la Galizia orientale. Nel settembre-ottobre chiese "garanzie" ai paesi baltici, sotto "occupazione 'mascherata', accolta con rassegnazione (9)" da Londra, per la quale il Reich ora inquietava tanto quanto "la spinta russa in Europa". E dopo aver chiesto invano a Helsinki, alleata di Berlino, una rettifica delle frontiere (in cambio di una compensazione), entra in guerra contro la Finlandia, incontrando una serie di resistenze. La propaganda occidentale piangeva la piccola vittima ed esaltava il suo valore. Weygand e Daladier pianificarono - prima come "sogno", poi come "delirio", secondo lo storico Jean-Baptiste Duroselle - una guerra contro l'URSS nell'estremo nord, poi nel Caucaso. Ma Londra applaudì al compromesso finno-sovietico del 12 marzo 1940, nonché alla nuova avanzata dell'Armata Rossa che seguì il crollo francese (occupazione a metà giugno 1940 dei paesi baltici, a fine giugno della Bessarabia-Bucovina settentrionale). Dopo di che, inviò a Mosca Stafford Cripps, l'unico sovietologo dell'establishment: Londra ora preferiva un'avanzata sovietica nel Baltico a una tedesca.
Dopo decenni di polemiche, gli archivi sovietici hanno confermato che circa 5.000 ufficiali polacchi, i cui cadaveri furono scoperti dai tedeschi nel 1943 a Katyn (vicino a Smolensk), furono giustiziati nell'aprile 1940 per ordine di Mosca. Feroci con i polacchi, i sovietici salvarono più di un milione di ebrei delle zone riannesse e organizzarono l'evacuazione prioritaria nel giugno 1941 (10).
Questo periodo, che va dal 23 agosto 1939 al 22 giugno 1941, è oggetto di un altro dibattito, relativo all'attuazione da parte di Stalin del patto germano-sovietico. Alcuni specialisti sottolineano, ad esempio, la fornitura di materie prime sovietiche alla Germania nazista, il cambio di strategia imposto nell'estate del 1940 al Comintern e ai partiti comunisti invitati a denunciare la "guerra imperialista", ecc. Gli storici sopra menzionati indeboliscono, addirittura contestano questa interpretazione (11). Si noti che gli Stati Uniti - anche dopo essere entrati in guerra contro Hitler nel dicembre 1941 - e la Francia, ufficialmente belligerante dal 3 settembre 1939, assicurarono al Reich abbondanti consegne industriali (12).
In crisi dal giugno 1940, le relazioni germano-sovietiche si avvicinarono alla rottura in novembre. "Tra il 1939 e il 1941, l'URSS aveva considerevolmente sviluppato i suoi armamenti terrestri e aerei e concentrato da 100 a 300 divisioni (ossia da 2 a 5 milioni di uomini) lungo o presso i suoi confini occidentali (13)". Il 22 giugno 1941, il Reich lanciò l'assalto annunciato dall'ammassamento delle sue truppe in Romania. Alexander Werth parla di un "crollo militare del 1941", a cui avrebbe fatto seguito (nel 1942-1943) "un soprassalto del regime e della società".
Ma, il 16 luglio, il generale Doyen annunciò a Pétain, a Vichy, la morte del "Blitzkrieg": "Sebbene il Terzo Reich ottenga certi successi strategici in Russia, la svolta presa dalle operazioni non risponde tuttavia all'idea che i suoi dirigenti si erano fatta. Non avevano previsto una resistenza così feroce da parte del soldato russo, un fanatismo così appassionato della popolazione, una guerriglia così estenuante nelle retrovie, delle perdite così gravi, un vuoto così completo davanti all'invasore, così notevoli difficoltà di rifornimento e comunicazioni. (...) Senza preoccuparsi di cosa mangerà domani, il russo brucia i suoi raccolti col lanciafiamme, fa esplodere i suoi villaggi, distrugge il suo materiale rotabile, sabota le sue aziende (14)".
Il Vaticano, la migliore rete di intelligence mondiale, all'inizio di settembre 1941, si allarmava per le difficoltà "dei tedeschi" e per la possibilità di un esito "tale che Stalin sarà chiamato a organizzare la pace di comune accordo con Churchill e Roosevelt". Poneva quindi "la svolta della guerra" prima dell'arresto della Wehrmacht davanti a Mosca (fine ottobre) e ben prima di Stalingrado. Si conferma così il giudizio che aveva dal 1938 l'addetto militare francese a Mosca Auguste-Antoine Palasse sul fatto che la potenza militare sovietica non era stata intaccata, secondo lui, dalle purghe che seguirono il processo e l'esecuzione del maresciallo Mikhaïl Toukhatchevski e dei vertici dello stato-maggiore dell'Armata Rossa, nel giugno 1937 (15).
L'Armata Rossa, scriveva, stava rafforzandosi e sviluppando un "patriottismo" senza precedenti: la posizione dell'esercito, la formazione militare e un'efficace propaganda "mantengono in tensione le energie del paese e le danno l'orgoglio per gli exploit compiuti dai suoi (...) e l'incrollabile fiducia nella [sua] forza difensiva". Palasse aveva richiamato l'attenzione, dall'agosto 1938, sulle sconfitte giapponesi negli scontri alla frontiera URSS-Cina-Corea. La qualità dell'Armata Rossa così attestata servì da lezione: con grande rabbia di Hitler, il Giappone firmò a Mosca il 13 aprile 1941 un "patto di neutralità" che liberava l'URSS dalla sua ossessione - dopo l'attacco alla Manciuria (1931) poi contro tutta la Cina (1937) - di dover sopportare una guerra su due fronti. Dopo aver ripiegato, per molti mesi, sotto l'assalto della formidabile macchina da guerra nazista, l'Armata Rossa era di nuovo in condizioni di passare all'offensiva.
Se nel 1917-1918, il Reich era stato sconfitto in Occidente, soprattutto dall'esercito francese, dal 1943 al 1945, lo fu in Oriente e dall'Armata Rossa. Per alleggerire il peso che essa doveva sostenere, Stalin aveva richiesto, dall'agosto-settembre 1941, l'apertura di un "secondo fronte" (l'invio di divisioni alleate in URSS o lo sbarco sulle coste francesi). Dovette però accontentarsi degli elogi del primo ministro britannico Winston Churchill, presto seguito dal presidente americano Franklin D. Roosevelt, per "l'eroismo delle forze combattenti sovietiche" e di un "prestito garantito" americano (rimborsabile dopo la guerra), che uno storico sovietico stimò in 5 miliardi di rubli, ovvero il 4% del reddito nazionale nel 1941-1945. Il rifiuto di questo secondo fronte e l'emarginazione dell'URSS dalle relazioni interalleate (nonostante la sua presenza al vertice di Teheran, nel novembre 1943) riaccese la sua ossessione del ritorno al "cordone sanitario" e delle "mani libere a Oriente".
La questione dei rapporti di forza in Europa divenne più acuta quando la capitolazione del generale Friedrich von Paulus a Stalingrado, il 2 febbraio 1943, mise all'ordine del giorno la pace futura. Dal momento che Washington faceva affidamento sulla sua egemonia finanziaria per sfuggire alle norme militari di risoluzione dei conflitti, Franklin D. Roosevelt rifiutò di negoziare gli "obiettivi di guerra" presentati a Winston Churchill da Iosif Stalin nel luglio 1941 (ritorno alle frontiere europee dell'antico impero violate nel 1939-1940): una sfera di influenza sovietica come limite di quella americana; il finanziere Averell Harriman, ambasciatore a Mosca, nel 1944 pensava che la concessione di un aiuto economico all'URSS in rovina "avrebbe evitato lo sviluppo di una sfera di influenza (...) sovietica in Europa orientale e nei Balcani".
Ma era necessario fare i conti con Stalingrado, dove si affrontavano dal luglio 1942 "due eserciti di oltre un milione di uomini". Quello sovietico vinse questa "battaglia feroce" - seguita giorno dopo giorno nell'Europa occupata - "che superò in violenza tutte quelle della prima guerra mondiale (...) per ogni casa, ogni cisterna d'acqua, ogni cantina, ogni ammasso di rovine". La sua vittoria "mise l'URSS sulla strada per diventare potenza mondiale", come quella "di Poltava nel 1709 [contro la Svezia] aveva trasformato la Russia in potenza europea".
La vera apertura del "secondo fronte" si protrasse fino al giugno 1944, quando l'avanzata dell'Armata Rossa - oltre i confini sovietici del luglio 1940 - richiedeva la distribuzione di sfere di influenza. La conferenza di Yalta, nel febbraio del 1945, vertice dei successi dell'URSS, belligerante decisiva, non derivò dall'astuzia di Stalin che saccheggiava la Polonia martire contro un impotente Churchill e un morente Roosevelt, ma da un rapporto di forze militari.
Roosevelt allora si mosse velocemente per negoziare una resa della Wehrmacht "agli eserciti anglo-americani e il trasferimento di forze verso est": alla fine di marzo, "26 divisioni tedesche restavano sul fronte occidentale (...) contro 170 divisioni sul fronte orientale (16)", dove i combattimenti sarebbero infuriati fino alla fine. Nel marzo-aprile 1945, l'operazione Sunrise irritò Mosca: il capo dell'Office of Strategic Services (precursore della CIA) a Berna, il finanziere Allen Dulles, negoziò con il generale SS Karl Wolff, capo di stato-maggiore personale di Himmler, responsabile dell'assassinio di 300.000 ebrei, la capitolazione dell'esercito di Kesselring in Italia. Ma fu politicamente escluso che Berlino si sarebbe volta ad Occidente: dal 25 aprile al 3 maggio, le battaglie [del fronte orientale] uccisero altri 300.000 soldati sovietici. Sono l'equivalente delle perdite totali americane (292.000), "unicamente militari", dei fronti europeo e giapponese dal dicembre 1941 all'agosto 1945 (17).
Secondo Jean-Jacques Becker, "a parte il fatto che fu dispiegato in spazi molto più vasti, a parte il costo smodato dei metodi di combattimento obsoleti dell'esercito sovietico, su di un piano strettamente militare, la seconda guerra fu alquanto meno violenta della prima (18)". Questo equivale a dimenticare che la sola URSS ha perso la metà delle vittime dell'intero conflitto del 1939-1945, in particolare a causa della guerra di sterminio che il Terzo Reich aveva pianificato per liquidare, oltre alla totalità degli ebrei, dai 30 ai 50 milioni di slavi (19). La Wehrmacht, un feudo pangermanista agevolmente nazificato, che considerava "i russi [come] 'asiatici' degni del disprezzo più assoluto", ne fu l'artefice principale: la sua ferocia antislava, antisemita e antibolscevica, descritta ai processi di Norimberga (1945- 1946), ma a lungo sepolta in Occidente e recentemente ricordata in Germania da mostre itineranti (20), privò l'URSS delle leggi di guerra (convenzioni dell'Aia del 1907).
Ne sono testimonianza i suoi ordini: il decreto detto del "commissario" del 8 giugno 1941 che prescriveva l'esecuzione dei commissari politici comunisti integrati nell'Armata Rossa; l'ordine "di non fare prigionieri" che causò l'esecuzione sul campo di battaglia, una volta terminati i combattimenti, di 600.000 prigionieri di guerra, ordine esteso a luglio ai "civili nemici"; l'ordine Reichenau di "sterminio definitivo del sistema giudaico-bolscevico", ecc. (21). Pertanto, 3,3 milioni di prigionieri di guerra, ovvero più di due terzi del totale, subirono nel 1941-1942 la "morte programmata" per fame e sete (80%), tifo e lavoro schiavile. I prigionieri "comunisti fanatici" consegnati alle SS furono le cavie per le prime gasazioni allo Zyklon B di Auschwitz, nel dicembre 1941.
La Wehrmacht fu, con le SS e la polizia tedesca, un agente attivo nella distruzione di civili, ebrei e non ebrei. Aiutò le Einsatzgruppen SS incaricate delle "operazioni mobili di uccisione" (Raul Hilberg), come quella perpetrata dal gruppo C nel burrone di Babi Yar, alla fine di settembre 1941, dieci giorni dopo l'ingresso delle sue truppe a Kiev (circa 34.000 morti): uno degli innumerevoli massacri perpetrati, con "ausiliari" polacchi, baltici (lettoni e lituani) e ucraini, descritti dal commovente Libro nero di Ilya Ehrenburg e Vassili Grossman (22).
Slavi ed ebrei (1,1 milioni su 3,3) morirono in migliaia a Oradour-sur-Glane e nei campi. I novecento giorni di assedio di Leningrado (luglio 1941-gennaio 1943) uccisero 1 milione di abitanti su 2,5, inclusi "più di 600.000" durante la carestia dell'inverno 1941-1942. In totale, "1.700 città, 70.000 villaggi e 32.000 imprese industriali sono state rase al suolo". Un milione di Ostarbeiter (lavoratori dall'est) deportati in Occidente furono sfiniti o annientati dal lavoro e dalle sevizie delle SS e dei kapo nei kommando dei campi di concentramento, miniere e fabbriche dei Konzerne e delle filiali dei gruppi stranieri, come Ford, che fabbricava i camion da 3 tonnellate che andavano al fronte orientale.
L'8 maggio 1945, l'URSS esangue aveva già perso il beneficio della "Grande alleanza" che l'enorme contributo del suo popolo, con o senza armi, aveva imposto agli anglo-americani per la loro vittoria. Il containment [contenimento] della guerra fredda, sotto l'egida di Washington, avrebbe potuto ristabilire il cordone sanitario, la prima guerra fredda che Londra e Parigi avevano condotto dal 1919 al 1939.
* Annie Lacroix-Riz, professoressa di storia contemporanea, Università Parigi-VII, autrice dei saggi Le Vatican, l'Europe et le Reich 1914-1944 e Le Choix de la défaite: les élites françaises dans les années 1930, Armand Colin, Paris, 1996 et 2006.
Note
(1) «1947-1948. Du Kominform au "coup de Prague", l'Occident eut-il peur des Soviets et du communisme ?», Historiens et géographes (HG) n° 324, août-septembre 1989, pp. 219-243.
(2) Diana Pinto, «L'Amérique dans les livres d'histoire et de géographie des classes terminales françaises», HG, n° 303, mars 1985, pp. 611-620 ; Geoffrey Roberts, The Soviet Union and the Origins of the Second World War, 1933-1941, Saint Martin's Press, New York, 1995, introduction.
(3) Lire aussi Geoffrey Roberts, op. cit., p. 95-105, et Gabriel Gorodetsky, «Les dessous du pacte germano-soviétique», Le Monde diplomatique, juillet 1997.
(4) Sauf indication, les sources citées ici se trouvent dans les archives du ministère français des affaires étrangères ou de l'armée de terre (SHAT) et les archives publiées allemandes, britanniques et américaines. Quant aux nombreux livres, souvent peu connus en France, sur lesquels s'appuie cet article, le lecteur en trouvera une large bibliographie sur le site.
(5) NDLR : Comme de nombreuses «marches», la Galicie est passée, à travers l'histoire, entre les mains russes, mongoles, polonaises, lituaniennes, autrichiennes et, à nouveau, russes et polonaises. En 1919, lord Curzon avait attribué la Galicie orientale à la Russie (ligne Curzon).
(6) Winston Churchill, Mémoires, vol. I, The Gathering Storm, Houghton Mifflin Company, Boston, 1948, p. 346.
(7) Lettre à Guy de la Chambre, ministre de l'air, Moscou, 29 août 1939 (SHAT).
(8) Michael J. Carley, 1939, The Alliance That Never Was and the Coming of World War 2, Ivan R. Dee, Chicago, 2000, pp. 256-257.
(9) Lettre 771 de Charles Corbin, Londres, 28 octobre 1939, archives du Quai d'Orsay (MAE).
(10) Dov Levin, The lesser of two evils : Eastern European Jewry under Soviet rule, 1939-1941, The Jewish Publications Society, Philadelphia-Jérusalem, 1995.
(11) Lire notamment les ouvrages déjà cités de Geoffrey Roberts et Gabriel Gorodetsky mais aussi Bernhard H. Bayerlin et al., Moscou-Paris-Berlin, 1939-1941, Taillandier, Paris, 2003. La communiste libertaire Margarete Buber-Neumann a accusé, dans ses Mémoires, le régime soviétique d'avoir livré des antifascistes allemands à la Gestapo.
(12) Charles Higham, Trading With the Enemy 1933-1949, Delacorte Press, New York, 1983 et Industriels et banquiers français sous l'Occupation, Armand Colin, Paris, 1999.
(13) Geoffrey Roberts, op. cit., pp. 122-134 et 139.
(14) La Délégation française auprès de la commission allemande d'armistice de Wiesbaden, 1940-1941, Imprimerie nationale, Paris, vol. 4, pp. 648-649.
(15) NDLR. Ces purges sont considérées comme ayant considérablement affaibli l'Armée rouge.
(16) Gabriel Kolko, The Politics of War, Random House, New York, 1969, chap. 13-14.
(17) Pieter Lagrou, dans Stéphane Audoin-Rouzeau et al., dir., La Violence de guerre 1914-1945, Complexe, Bruxelles, 2002, p. 322.
(18) Ibid., p. 333.
(19) Götz Aly et Susanne Heim, Vordenker der Vernichtung, Hoffmann und Campe, Hambourg, 1991, résumé par Dominique Vidal, Les historiens allemands relisent la Shoah, Complexe, Bruxelles, 2002, pp. 63-100.
(20) Edouard Husson, Comprendre Hitler et la Shoah, PUF, Paris, 2000, p. 239-253.
(21) Omer Bartov, German Troops, MacMillan, Londres, 1985, L'Armée d'Hitler, Hachette Pluriel, Paris, 1999 et Tom Bower, Blind Eye to Murder, André Deutsch, Londres, 1981.
(22) Actes Sud, Arles, 1995.
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