Le voci dei detenuti e dei loro familiari sono state raccolte in questo video grazie all'impegno della RETE
EMERGENZA CARCERE, un rete formata dall'Associazione Yairahia Onlus di
Cosenza, dall'Osservatorio Repressione, dal Legal Team Italia, da
LasciateCIEntrare, e dall'Associazione Bianca Guidetti Serra.
Il 26 febbraio 2020, con l'emergere dell'epidemia di coronavirus nel nord Italia, una circolare del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria dispone le misure da adottare nelle carceri.
In particolare viene prevista la sospensione dei colloqui dei detenuti con i familiari, la sospensione
del lavoro esterno, dei permessi premio, delle semi libertà, delle attività interne al carcere dei volontari.
L'obiettivo dichiarato è quello di evitare che il virus venga portato all'interno nelle carceri, ma non si considera che sia gli agenti di polizia penitenziaria, sia il personale addetto alle infermerie delle prigioni, entra ed esce comunque, e non viene dunque eliminato ogni veicolo di contagio.
Le misure adottate sono solo quelle con carattere vessatorio nei confronti dei detenuti, che privano di reddito chi prima aveva il lavoro esterno, e sostituiscono i colloqui settimanali di un'ora con telefonate di 10 minuti, in una situazione dove è forte la preoccupazione dei reclusi anche per la salute delle proprie famiglie.
La paura che cresce, è quella di poter morire di coronavirus dentro una cella, senza assistenza - viste le gravi carenze della sanità penitenziaria già in tempi normali - e senza poter mai più vedere i propri cari.
La tensione sale perché nulla, invece, viene deciso contro il sovraffollamento, condizione ideale per l'espandersi di un'epidemia. Nessuna misura per contenerlo mandando a casa, per esempio, chi ha poco da scontare, o i detenuti malati o anziani.
Anzi, le misure adottate lo peggiorano.
L'otto marzo queste misure vengono ratificate per decreto ed estese a tutto il territorio nazionale, facendo esplodere in 40 carceri italiane proteste e rivolte, sedate con le truppe antisommossa.
In questo contesto, fra l'otto e l'undici marzo muoiono quattordici detenuti delle carceri in rivolta di Modena, Bologna e Rieti.
Sono Ghazi Hadidi, Hafedh Chouchane, Lofti Ben Masmia, Alì Bakili, Erial Ahmadi, Slim Agrebi, Artur Isuzu, Salvatore Cuono Piscitelli, Abdellah Rouan, Haitem Kedri, Marco Boattini, Ante Culic, Carlo Samir Perez Alvarez e un 14° detenuto di cui non si conosce ancora neanche il nome, morto in ospedale dove era stato trasportato in seguito alla rivolta nel carcere di Rieti.
La versione ufficiale parla, per ognuno di loro, di morte per overdose di farmaci e metadone, ancor prima che venga effettuata una qualsiasi autopsia.
Incredibile che detenuti che non si conoscono, posti in carceri diverse e lontane, abbiano deciso di suicidarsi tutti e tutti insieme nella stessa identica maniera.
Ma oltre ai detenuti morti, ci sono quelli pestati, umiliati, sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.
La situazione delle carceri italiane è esplosiva. Le ragioni sono note da sempre: sovraffollamento, violenza, condizioni igieniche, di prevenzione e cura inadeguate, alle quali si aggiunge, ora, la pandemia da Coronavirus.
Chi ha la responsabilità della gestione dei detenuti non ha il diritto di trasformare le pene detentive in delle condanne a morte.
Chiediamo con forza la sospensione della pena per tutte le persone detenute ammalate ed anziane ed un provvedimento di Amnistia che riduca sensibilmente la popolazione detenuta.
Facciamo sentire la nostra voce, facciamo sentire alle persone detenute che non sono sole, che una condanna e la detenzione non possono coincidere con l'annullamento di tutti i diritti fondamentali della persona.
In particolare viene prevista la sospensione dei colloqui dei detenuti con i familiari, la sospensione
del lavoro esterno, dei permessi premio, delle semi libertà, delle attività interne al carcere dei volontari.
L'obiettivo dichiarato è quello di evitare che il virus venga portato all'interno nelle carceri, ma non si considera che sia gli agenti di polizia penitenziaria, sia il personale addetto alle infermerie delle prigioni, entra ed esce comunque, e non viene dunque eliminato ogni veicolo di contagio.
Le misure adottate sono solo quelle con carattere vessatorio nei confronti dei detenuti, che privano di reddito chi prima aveva il lavoro esterno, e sostituiscono i colloqui settimanali di un'ora con telefonate di 10 minuti, in una situazione dove è forte la preoccupazione dei reclusi anche per la salute delle proprie famiglie.
La paura che cresce, è quella di poter morire di coronavirus dentro una cella, senza assistenza - viste le gravi carenze della sanità penitenziaria già in tempi normali - e senza poter mai più vedere i propri cari.
La tensione sale perché nulla, invece, viene deciso contro il sovraffollamento, condizione ideale per l'espandersi di un'epidemia. Nessuna misura per contenerlo mandando a casa, per esempio, chi ha poco da scontare, o i detenuti malati o anziani.
Anzi, le misure adottate lo peggiorano.
L'otto marzo queste misure vengono ratificate per decreto ed estese a tutto il territorio nazionale, facendo esplodere in 40 carceri italiane proteste e rivolte, sedate con le truppe antisommossa.
In questo contesto, fra l'otto e l'undici marzo muoiono quattordici detenuti delle carceri in rivolta di Modena, Bologna e Rieti.
Sono Ghazi Hadidi, Hafedh Chouchane, Lofti Ben Masmia, Alì Bakili, Erial Ahmadi, Slim Agrebi, Artur Isuzu, Salvatore Cuono Piscitelli, Abdellah Rouan, Haitem Kedri, Marco Boattini, Ante Culic, Carlo Samir Perez Alvarez e un 14° detenuto di cui non si conosce ancora neanche il nome, morto in ospedale dove era stato trasportato in seguito alla rivolta nel carcere di Rieti.
La versione ufficiale parla, per ognuno di loro, di morte per overdose di farmaci e metadone, ancor prima che venga effettuata una qualsiasi autopsia.
Incredibile che detenuti che non si conoscono, posti in carceri diverse e lontane, abbiano deciso di suicidarsi tutti e tutti insieme nella stessa identica maniera.
Ma oltre ai detenuti morti, ci sono quelli pestati, umiliati, sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.
La situazione delle carceri italiane è esplosiva. Le ragioni sono note da sempre: sovraffollamento, violenza, condizioni igieniche, di prevenzione e cura inadeguate, alle quali si aggiunge, ora, la pandemia da Coronavirus.
Chi ha la responsabilità della gestione dei detenuti non ha il diritto di trasformare le pene detentive in delle condanne a morte.
Chiediamo con forza la sospensione della pena per tutte le persone detenute ammalate ed anziane ed un provvedimento di Amnistia che riduca sensibilmente la popolazione detenuta.
Facciamo sentire la nostra voce, facciamo sentire alle persone detenute che non sono sole, che una condanna e la detenzione non possono coincidere con l'annullamento di tutti i diritti fondamentali della persona.
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