La produzione che non si è mai fermata
Caccia F-35, come prima, peggio di prima
di Tommaso Di Francesco
A
Taranto non si fanno mancare nulla. Non solo c’è l’impresa Ilva che
riproduce lavoro e inquinamento mortale. Nelle prime ore di giovedì
scorso la mastodontica portaerei Cavour si è riposizionata con abili
manovre per riguadagnare il suo posto d’ormeggio nella Nuova Stazione
Mar Grande, per prepararsi a solcare l’oceano Atlantico e raggiungere
così gli Stati uniti per caricare lì i cacciabombardieri F35 modello B.
Con
gran vanto di Fincantieri, Arsenale Militare Marittimo e Ministero
della Difesa, perché si è trattato per due anni di riadattare ponte di
volo, hangar, locali tecnici, capacità di imbarco
dell’avio-
combustibile, strumentazione elettronica. Gran vanto, anche
perché a questo punto la Marina Militare italiana, con la Us Navy e la
Royal Navy britannico saranno le uniche Marine al mondo in grado di
dispiegare portaerei che permettono decollo e atterraggio ai micidiali
F35.
A questo punto dunque è chiaro che, per quel che riguarda
l’«eccellenza italiana» della produzione di
armi per le guerre – i
trafficanti di morte che non smette di denunciare, inascoltato è dir
poco, papa Francesco – e l’«innovazione degli F35», tanto cara al nuovo
direttore de la Repubblica Maurizio Molinari, non solo non cambia nulla
ma tutto continua come prima e anzi peggio di prima.
Intanto la
portaerei stessa non è proprio un sistema di difesa conforme al dettato
costituzionale, visto che trasporterà armi d’offesa in giro per i mari
del mondo, ben oltre i confini nazionali.
Ma soprattutto i cacciabombardieri F35 sono un’arma d’offesa, progettati
per il first strike, vale a dire per sparare per primi, con capacità
perfino di montare ogive nucleari. Ma non eravamo nell’epoca degli
interessi comuni e pubblici derivati dal disastro provocato dalla
pandemia di Covid 19 che, tutt’altro che debellata, nel mondo sta
mietendo centinaia di migliaia di vite umane? La domanda allora diventa spontanea: quanto ci costa quest’avventura?
Ecco
la risposta: ogni F35 costa poco più di 100 milioni di euro (156
milioni era quello dei prototipi iniziali), tanto siamo costretti a
pagare per il nuovo modello B, il più costoso perché permette il decollo
corto e l’atterraggio verticale; ma è un costo approssimato perché si
tratta di un «affare» che è un pozzo senza fondo. Una volta comprato
deve continuamente essere aggiornato con nuovi sistemi d’arma e sistemi
elettronici in mano al committente Usa. Un aggravio pesantissimo per un
Paese atlantico come l’Italia la cui spesa militare complessiva ha superato ormai i 70 milioni di euro al giorno.
Ci
si chiede: ma quanti reparti di terapia intensiva, quanti respiratori
polmonari, quanti sistemi scolastici video-integrati potremmo comprare
con la cifra destinata invece da questo governo, come dai governi
precedenti, allo sventurato «affare» degli F35B? La Protezione civile,
costretta alla sottoscrizione tra i cittadini volenterosi, può fare il
calcolo, per favore?
Ora che la corsa folle della Fase 2 si
avvia con dichiarazioni improbabili sulle garanzie di sicurezza, forse
su questa vergogna una voce di sinistra – dentro, fuori e contro il
governo – almeno dovrebbe levarsi. Insieme alla protesta.
Mentre è
probabile che ci stiamo preparando solo ad uno sventolio di bandierine
tricolori di un popolo festante magari munito dal Ministero della Difesa
di mascherine con sopra l’effige d’«eccellenza» degli F35.
Nessun commento:
Posta un commento