venerdì 18 dicembre 2015

pc 18 dicembre - Imperialismo italiano e guerra, L’irresponsabile smania di guerra di un premier piccolo piccolo - da Contropiano




L’irresponsabile smania di guerra di un premier piccolo piccolo

"Con Obama c'è totale consonanza di vedute. L'Italia interverrà non solo in Afghanistan, in Libia, non soltanto in Kosovo, in Somalia e in Iraq, ma anche con un'operazione importante, un intervento nella diga di Mosul, nel cuore di un'area molto molto pericolosa. La diga è seriamente danneggiata e se crollasse sarebbe distrutta Baghdad. Ha vinto la gara una azienda italiana, noi metteremo 450 nostri uomini con il supporto logistico degli americani e metteremo noi a posto la diga".

Per mesi il premier italiano si era fatto notare nel contesto internazionale per i suoi continui richiami ad una posizione italiana di ‘disimpegno’ militare, resistendo ai continui richiami da parte di Washington a ‘fare la sua parte’ nelle aree dove gli interessi statunitensi sono minacciati. Renzi aveva sempre risposto che ‘no, i bombardamenti non sono la soluzione’, attirandosi la simpatia anche di certi settori di opinione pubblica che di fronte alla sua posizione non interventista erano pronti anche
a perdonargli, diciamo così, un lungo elenco di nefandezze sul piano economico e sociale.
Ma martedì il primo ministro ha smentito se stesso, e con una dichiarazione a Porta a Porta non solo ha ricordato che le truppe italiane sono sparse ai quattro angoli del globo – i suoi predecessori, di centrodestra e centrosinistra, non si sono mai tirati indietro quando c’è stato da partecipare a qualche occupazione, a qualche guerra, a qualche ‘missione di pace’ – ma ha annunciato che l’Italia ha deciso di mandare ben 450 militari in zona di guerra.
Ma non per fare la guerra, attenzione. "Noi abbiamo una diga a Mosul che è lesionata, che rischia di distruggere Baghdad e metà dell'Iraq. Non ha senso mettersi a discutere, dire: bombardiamo. Non preoccupiamoci delle esibizioni muscolari ma di cose concrete (…) Solo gli italiani possono mettere a posto quella diga", ha spiegato ieri Renzi.
Insomma una sciocchezza, niente di cui preoccuparsi. Come andare a riempire una buca su una strada provinciale del Molise o della Liguria. O al massimo come in Val Susa, dove per far realizzare una grande opera costosa, dannosa e contestatissima dagli abitanti, lo Stato ha mobilitato l’esercito.
Peccato che il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, visibilmente emozionato da una missione militare che ha più volte annunciato – seppur sul suolo libico – nonostante le continue smentite dal premier, dell’iniziativa italiana abbia dato una lettura assai diversa.
Mentre il ministro della Difesa Roberta Pinotti, forse presa alla sprovvista dalla roboante dichiarazione resa nel salotto di Vespa, rassicurava che i nostri soldati “non andranno a combattere” ma solo “a proteggere il lavoro dell’impresa italiana che compirà il lavori sulla diga”, il suo collega Gentiloni chiariva: «Si tratta di un intervento di importanza strategica in cui i lavori di manutenzione verranno protetti da forze italiane e da peshmerga curdi in una zona del Kurdistan iracheno molto vicina all'area controllata da Daesh».
Perché una missione in zona di guerra? Perché mandare altre truppe in Iraq – alcune ne sono state già inviate mesi fa al seguito di un certo numero di caccia – permetterà al governo italiano di sedersi al tavolo dei potenti che potranno decidere il futuro dell’area dove è in atto un enorme contenzioso geopolitico e militare. Lo spiega sempre il buon Gentiloni: «L' Italia è molto attiva dentro il processo diplomatico sulla Siria, giunto a uno snodo fondamentale (…). La settimana scorsa a Riad si è costituito un cartello delle opposizioni ad Assad. Ci sono le premesse perché a gennaio comincino i negoziati tra il regime e le opposizioni, avvio che dovrebbe coincidere con il cessate il fuoco. (...) Durante questo processo secondo noi dovrebbe esserci l' uscita di scena di Assad, ma al tavolo negoziale non è ancora un esito dichiarato».
Chiaro no? Non vorremo mica arrivare ultimi, a giochi fatti?
Così come è altrettanto chiaro che, al di là delle smanie di protagonismo del governo italiano sulla scena internazionale, le truppe inviate da Roma nel nord dell’Iraq saranno di fatto truppe mercenarie, al servizio di un’azienda, l’emiliana Trevi, che avendo vinto il maxiappalto per la riparazione della diga di Mosul non vuole certo rinunciare al grande affare. E così 450, forse 500 militari italiani saranno utilizzati da una impresa privata per compiti di sicurezza, a spese dei contribuenti italiani e a rischio di mettere l’Italia nel mirino dei jihadisti, che già in alcune dichiarazioni pubblicate sul web hanno avvertito che considereranno la missione come di occupazione.
Sui media qualche analista azzarda l’ipotesi che il maxiappalto sia stato riconosciuto alla ditta di Cesena grazie alla ‘disponibilità’ della Casa Bianca, che da tempo preme sugli alleati affinché facciano uno sforzo militare maggiore nei paesi dove si sta giocando la ridefinizione dei confini e delle aree di influenza delle potenze mondiali e regionali. Della serie: “noi vi diamo l’appalto se voi mandate le truppe”. Del resto che Washington voglia assolutamente evitare che il proprio esercito sia costretto a mettere i piedi a terra nel deserto iracheno o in Siria è più che evidente. Se a sporcarsi gli stivali sono i suoi alleati, tanto di guadagnato.
Non si può non condividere quanto il giornalista Alberto Negri scrive sul suo profilo facebook:
“E' serio un governo che annuncia in una trasmissione tv l'invio di 450 soldati per fare la guardia alla diga di Mosul? Già dimentichi di quanto avvenne a Nassiriya gli italiani tornano in Iraq e in cambio di che cosa? Di un appalto? Sono domande che deve fare il nostro Parlamento dove il governo dovrebbe andare per annunci di questo genere. Questo accade perché i militari sono professionisti e considerati ormai alla stregua di contractors. Ma se questa gente del governo avesse mai messo piede in Iraq come ha fatto il sottoscritto per anni, assistendo a battaglie, attentati e massacri, forse sarebbe meno facilona”.
Di fatto, se la missione verrà confermata, il primo ministro Renzi coinvolgerà l’Italia in una contesa esplosiva, andando a ficcare i militari italiani in un pantano micidiale. Rendendo l’Italia un oggettivo alleato, di nuovo, non solo degli Stati Uniti, ma anche del governo turco che nell’area di Mosul ha inviato una brigata corazzata per allungare i suoi tentacoli sul Kurdistan iracheno. I cui dirigenti, è bene ricordarlo, sono legati a doppio filo anche con Israele oltre che con Ankara, in una cordata che vede il protagonismo crescente dell'Arabia Saudita, capofila di una nuova coalizione sunnita che ha annunciato l'invio di truppe sia in Iraq sia in Siria, dopo le invasioni del Bahrein prima e dello Yemen più recentemente.
Come se non bastasse, il governo italiano si è impegnato ad inviare a Tripoli, disconosciuta capitale di una Libia sfasciata dall’intervento militare del 2011, un grosso contingente nel quadro della missione di stabilizzazione del paese scosso tra la contesa per "interposta potenza" tra i parlamenti di Tripoli e di Tobruk e minacciata dall'espansione del jihadismo islamista.

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