giovedì 17 dicembre 2015

pc 17 dicembre - FORMAZIONE OPERAIA: Rapporto tra “prezzo del lavoro” e “profitto del padrone”; è giusto lottare per la riduzione delle ore di lavoro? Che succede alla giornata di lavoro in un sistema diverso da quello capitalistico?...

In questo quindicesimo capitolo Marx elenca i casi che si possono verificare quando cambia la grandezza nei prezzi della forza lavoro e la grandezza del plusvalore. Sono quei modi “normali” di esistenza del capitalismo, entro i quali si sviluppa la lotta tra il padrone che cerca sempre di estrarre più profitto e l’operaio che resiste a questa pressione. E smonta le falsità e i luoghi comuni usati dai padroni, e da tutta la sfilza dei loro lacchè, dai politici ai sindacalisti, per “convincere” gli operai che la produttività è una cosa buona, che aumentare la produzione e le ore di lavoro fa aumentare anche i salari, che gli interessi degli operai e dei padroni è lo stesso, ecc. ecc. 
A fine capitolo Marx fa l’esempio, invece, di cosa succede alla giornata lavorativa in una società non capitalistica.


VARIAZIONE DI GRANDEZZA NEI PREZZI DELLA FORZA LAVORO E NEL PLUSVALORE

Marx ribadisce che “Il valore della forza-lavoro è determinato dal valore dei mezzi di sussistenza che per consuetudine sono necessari all’operaio medio.” E che “In un’epoca determinata di una società determinata, la massa di questi mezzi di sussistenza è data, benché la sua forma possa variare, e va quindi trattata come grandezza costante. Quello che varia è il valore di questa massa.”


“Noi presupponiamo,” dice Marx:
“1 -  che le merci vengano vendute al loro valore,
“2 -  che il prezzo della forza-lavoro possa certo salire talvolta al di sopra del suo valore, ma non scenda mai al di sotto di esso.
E “Dati questi presupposti, si è trovato che le grandezze relative del prezzo della forza-lavoro e del plusvalore sono determinate da tre circostanze:
“1 - La durata della giornata lavorativa;
“2 - l’intensità normale del lavoro;
“3 - infine la forza produttiva del lavoro, cosicché una stessa quantità di lavoro fornisca, a seconda del grado di sviluppo delle condizioni di produzione, una maggiore o minore quantità di prodotti entro lo stesso tempo.

Delle “possibili combinazioni diversissime … a seconda che l’uno dei tre fattori sia costante e due variabili oppure due fattori siano costanti e uno variabile o infine tutti e tre siano contemporaneamente variabili” Marx presenta le principali:

I. Grandezza della giornata lavorativa e intensità del lavoro costanti (date), forza produttiva del lavoro variabile.

“Dato questo presupposto il valore della forza-lavoro e il plusvalore sono determinati da tre leggi.
Primo: La giornata lavorativa di grandezza data si rappresenta sempre nello stesso prodotto di valore, in qualunque modo vari la produttività del lavoro e con essa la massa dei prodotti e quindi il prezzo della merce singola.”
Cioè, se in una giornata di otto ore si è prodotto un valore complessivo in merci di 100 euro, ma grazie alla forza produttiva si sono prodotte più merci, il valore rimane di 100 euro ma si distribuisce su una massa più grande di merci e quindi il prezzo della merce singola diminuisce.

Secondo: valore della forza-lavoro e plusvalore variano in direzione inversa l’uno nei confronti dell’altro. Una variazione nella forza produttiva del lavoro, il suo aumento o la sua diminuzione, agisce in direzione inversa sul valore della forza-lavoro, e nella stessa direzione sul plusvalore.”
Cioè se aumenta il plusvalore, la parte che spetta al capitalista, deve diminuire il valore della forza-lavoro, e se invece aumenta il valore della forza-lavoro deve diminuire il plusvalore. “È impossibile che diminuiscano o aumentino allo stesso tempo.” Si capisce bene, già così, che l’interesse del capitalista è per forza opposto a quello del lavoratore, e viceversa.
Ma se cambia la forza produttiva, allora, dice Marx: “l’aumento nella produttività del lavoro abbassa il valore della forza-lavoro e con ciò aumenta il plusvalore, mentre, viceversa, la diminuzione della produttività aumenta il valore della forza-lavoro e diminuisce il plusvalore.”

Terzo: Aumento o diminuzione del plusvalore sono sempre conseguenza e mai causa della corrispondente diminuzione e del corrispondente aumento del valore della forza-lavoro.”
Dunque, se la parte del tempo di lavoro necessario per la riproduzione della forza lavoro diminuisce grazie per esempio alla forza produttiva, allora diminuisce anche il valore della forza lavoro, cioè ci vuole meno tempo per la sua riproduzione, ma fino ad un certo limite, che diventa il nuovo limite di valore della forza lavoro oltre il quale, dati i presupposti iniziali, il capitalista non può andare. E appunto: “Il grado della diminuzione, il cui limite minimo è costituito da 3 scellini, dipende dal peso relativo che la pressione del capitale da un lato e la resistenza degli operai dall’altro gettano sulla bilancia.”
La forza produttiva, quindi, permette il variare del valore della forza-lavoro, cioè dei mezzi di sussistenza ma non la massa di questi mezzi, perché questa massa può “crescere contemporaneamente e nella stessa proporzione per l’operaio e per il capitalista, senza che si abbia una variazione di grandezza fra prezzo della forza-lavoro e plusvalore.” E questa sembra una cosa buona. Ma se si guarda al rapporto tra pulsvalore e forza-lavoro, si vede che il valore della forza lavoro scenderebbe in proporzione, “scenderebbe costantemente e così si allargherebbe l’abisso fra le condizioni di vita dell’operaio e quelle del capitalista.”

“II. Giornata lavorativa costante, forza produttiva del lavoro costante, intensità del lavoro variabile.

“Intensità crescente del lavoro presuppone aumento del dispendio di lavoro entro uno stesso periodo di tempo. La giornata di lavoro più intensa s’incarna quindi in più prodotti che la giornata meno intensa d’eguale numero di ore, … s’incarna in un più alto prodotto di valore, e quindi, invariato rimanendo il valore del denaro, in più denaro.” Anche oggi ciò si traduce, per citare solo qualche esempio, in una catena di montaggio sempre più veloce e nel tentativo di abolire definitivamente le pause.
“Se l’intensità del lavoro aumentasse contemporaneamente e uniformemente in tutti i rami d’industria, il nuovo grado d’intensità più elevato diventerebbe il grado normale sociale e comune e cesserebbe con ciò di contare come grandezza estensiva. Tuttavia, anche allora i gradi d’intensità medi rimarrebbero differenti nelle differenti nazioni, e modificherebbero perciò l’applicazione della legge del valore alle differenti giornate lavorative nazionali. La giornata lavorativa più intensa di una nazione si rappresenta in una espressione monetaria più alta che non quella meno intensa di un’altra nazione.”

“III. Forza produttiva e intensità del lavoro costanti, giornata lavorativa variabile.

“La giornata lavorativa può variare in due direzioni. Può essere abbreviata o prolungata.”
1.                  Se la giornata lavorativa viene abbreviata, dice Marx, eguali rimanendo la forza produttiva e l’intensità del lavoro, allora il valore della forza-lavoro e quindi il tempo di lavoro necessario rimane uguale. Ciò che si abbrevia dunque è il lavoro in più, il pluslavoro e con esso diminuisce il plusvalore.

È per questo che è giusta la battaglia senza fine dei lavoratori per abbreviare la giornata di lavoro. E a questa situazione i padroni rispondono provando ad abbassare il prezzo della forza-lavoro “al di sotto del suo valore” è solo così che “il capitalista potrebbe evitare una perdita.”
2. Con il prolungamento della giornata lavorativa, ammettiamo di due ore, afferma Marx, cresce il plusvalore anche se il valore della forza-lavoro rimane uguale. E in questo caso non solo aumenta il plusvalore in senso assoluto, ma anche relativamente al valore della forza lavoro.
Inoltre con la giornata lavorativa prolungata “il prezzo della forza-lavoro può scendere al di sotto del suo valore, benché nominalmente rimanda invariato o anzi salga. Il valore giornaliero della forza-lavoro è infatti valutato, come si ricorderà, in base alla durata media normale ossia al periodo di vita normale dell’operaio” che in queste ore in più di lavoro naturalmente si logora e questo sforzo maggiore deve essere compensato. Ma, aggiunge Marx: “Fino a un certo punto il maggiore logoramento della forza-lavoro, inseparabile dal prolungamento della giornata lavorativa, può essere compensato da maggiore reintegrazione. Al di là di questo punto il logoramento cresce in progressione geometrica, e insieme vengono distrutte tutte le condizioni normali di riproduzione e attività della forza-lavoro. Il prezzo della forza-lavoro e il grado del suo sfruttamento cessano di essere grandezze commensurabili tra di loro.”

“IV. Variazioni contemporanee nella durata, forza produttiva e intensità del lavoro.

Qui il numero delle combinazioni, dice Marx, può essere grande dato che i vari fattori possono variare in diversi modi, e le analisi precedenti aiutano. Per cui adesso “prenderemo ancora nota brevemente solo di due casi importanti.”
1. Forza produttiva del lavoro in diminuzione con prolungamento contemporaneo della giornata lavorativa:
“Quando parliamo di forza produttiva del lavoro in diminuzione – chiarisce Marx - si tratta di rami di lavoro i cui prodotti determinano il valore della forza-lavoro, dunque per esempio di forza produttiva del lavoro in diminuzione a causa di un’aumentata sterilità del terreno e di un corrispondente rincaro dei prodotti del terreno.”
“Quindi, diminuendo la forza produttiva del lavoro e prolungandosi contemporaneamente la giornata lavorativa la grandezza assoluta del plusvalore può rimanere invariata, mentre diminuirà la sua grandezza proporzionale; la sua grandezza proporzionale può rimanere invariata, mentre la sua grandezza assoluta aumenta; e, a seconda del grado di prolungamento, possono aumentare entrambe.”

Un esempio concreto ci dice che “Nel periodo dal 1799 al 1815 l’aumento dei prezzi dei mezzi di sussistenza provocò in Inghilterra un aumento nominale dei salari, benché i salari reali, espressi in mezzi di sussistenza, diminuissero.” Anche in questo caso, dice Marx, gli economisti classici non compresero il fenomeno e quindi gli effetti nella realtà della condizione delle classi che descrive così: “Ma grazie all’aumento dell’intensità del lavoro e al forzato prolungamento del tempo di lavoro, allora il plusvalore era cresciuto, tanto in assoluto che relativamente. Fu quello il periodo in cui il prolungamento smisurato della giornata lavorativa acquistò il diritto di cittadinanza, fu il periodo caratterizzato specificamente da un aumento accelerato qua del capitale, là del pauperismo.”

2. Intensità e forza produttiva del lavoro in aumento e contemporaneo abbreviamento della giornata lavorativa:

Si tratta di due fattori che aumentano la massa dei prodotti in ciascun periodo di tempo e accorciano quindi la parte della giornata lavorativa che serve all’operaio per la produzione dei propri mezzi di sussistenza. La diminuzione di questa parte della giornata lavorativa che Marx definisce costitutiva ma contrattile, ha però un limite assoluto, si può accorciare solo fino ad un certo punto, infatti: “Se tutta la giornata lavorativa si riducesse a quella parte” che serve all’operaio a riprodurre i propri mezzi di sostentamento “il pluslavoro scomparirebbe, il che è impossibile sotto il regime del capitale.”

A questo punto per differenza Marx fa l’esempio di cosa

sarebbe la giornata lavorativa se non esistesse il capitalismo.

“L’eliminazione della forma di produzione capitalistica permette di limitare la giornata lavorativa al lavoro necessario. Tuttavia quest’ultimo, invariate rimanendo le altre circostanze, estenderebbe la sua parte: da un lato, perché le condizioni di vita dell’operaio si farebbero più ricche e le esigenze della sua vita maggiori. Dall’altro lato, una parte dell’attuale pluslavoro rientrerebbe allora nel lavoro necessario, cioè nel lavoro necessario per ottenere un fondo sociale di riserva e di accumulazione.”

E ancora: “Quanto più cresce la forza produttiva del lavoro, tanto più può essere abbreviata la giornata lavorativa, e quanto più viene abbreviata la giornata lavorativa, tanto più potrà crescere l’intensità del lavoro. Da un punto di vista sociale la produttività del lavoro cresce anche con la sua economia. Quest’ultima comprende non soltanto il risparmio nei mezzi di produzione, ma l’esclusione di ogni lavoro senza utilità. Mentre il modo di produzione capitalistico impone risparmio in ogni azienda individuale, il suo anarchico sistema della concorrenza determina lo sperpero più smisurato dei mezzi di produzione sociali e delle forze-lavoro sociali oltre a un numero stragrande di funzioni attualmente indispensabili, ma in sé e per sé superflue.

“Date l’intensità e la forza produttiva del lavoro, la parte della giornata lavorativa sociale necessaria per la produzione materiale sarà tanto più breve, e la parte di tempo conquistata per la libera attività mentale e sociale degli individui sarà quindi tanto maggiore, quanto più il lavoro sarà distribuito proporzionalmente su tutti i membri della società capaci di lavorare, e quanto meno uno strato della società potrà allontanare da sé la necessità naturale del lavoro e addossarla ad un altro strato. Il limite assoluto dell’abbreviamento della giornata lavorativa è sotto questo aspetto l’obbligo generale del lavoro. Nella società capitalistica si produce tempo libero per una classe mediante la trasformazione in tempo di lavoro di tutto il tempo di vita delle masse.”

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