Silenzio per Gaza
Mahmoud
Darwish *
Non si
tratta di morte, non si tratta di suicidio.
E' il modo
in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
Da quattro
anni, la carne di Gaza schizza schegge di granate da ogni direzione.
Non si
tratta di magia, non si tratta di prodigio.
E' l'arma
con cui Gaza difende il diritto a restare e snerva il nemico.
Da quattro
anni, il nemico esulta per aver coronato i propri sogni, sedotto dal filtrare
col tempo, eccetto a Gaza.
Perché Gaza
è lontana dai suoi cari e attaccata ai suoi nemici, perché Gaza è un'isola.
Ogni volta
che esplode, e non smette mai di farlo, sfregia il volto del nemico, spezza i
suoi sogni
e ne
interrompe l'idillio con il tempo.
Perché il
tempo a Gaza è un'altra cosa, perché il tempo a Gaza non è un elemento
neutrale.
Non spinge
la gente alla fredda contemplazione, ma piuttosto a esplodere e a cozzare
contro la realtà.
Il tempo
laggiù non porta i bambini dall'infanzia immediatamente alla vecchiaia, ma li
rende uomini al primo incontro con il nemico.
Il tempo a
Gaza non è relax, ma un assalto di calura cocente.
Perché i
valori a Gaza sono diversi, completamente diversi.
L'unico
valore di chi vive sotto occupazione è il grado di resistenza all'occupante.
Questa è
l'unica competizione in corso laggiù.
E Gaza è
dedita all'esercizio di questo insigne e crudele valore che non ha imparato dai
libri
o dai corsi
accelerati per corrispondenza, né dalle fanfare spiegate della propaganda
o dalle
canzoni patriottiche.
L'ha
imparato soltanto dall'esperienza e dal duro lavoro che non è svolto in
funzione della pubblicità
o del
ritorno d'immagine.
Gaza non si
vanta delle sue armi, né del suo spirito rivoluzionario, né del suo bilancio.
Lei offre la
sua pellaccia dura, agisce di spontanea volontà e offre il suo sangue.
Gaza non è
un fine oratore, non ha gola.
E' la sua
pelle a parlare attraverso il sangue, il sudore, le fiamme.
Per questo,
il nemico la odia fino alla morte, la teme fino al punto di commettere crimini
e cerca di affogarla nel mare, nel deserto, nel sangue.
Per questo,
gli amici e i suoi cari la amano con un pudore che sfiora quasi la gelosia e
talvolta la paura, perché Gaza è barbara lezione e luminoso esempio sia per i
nemici che per gli amici.
Gaza non è
la città più bella.
Il suo
litorale non è più blu di quello di altre città arabe.
Le sue
arance non sono le migliori del bacino del Mediterraneo.
Gaza non è
la città più ricca.
(Pesce,
arance, sabbia, tende abbandonate al vento, merce di contrabbando,
braccia a
noleggio.)
Non è la
città più raffinata, né la più grande, ma equivale alla storia di una nazione.
Perché, agli
occhi dei nemici, è la più ripugnante, la più povera, la più disgraziata,
la più
feroce di tutti noi.
Perché è la
più abile a guastare l'umore e il riposo del nemico ed è il suo incubo.
Perché è
arance esplosive, bambini senza infanzia, vecchi senza vecchiaia, donne senza
desideri.
Proprio
perché è tutte queste cose, lei è la più bella, la più pura, la più ricca, la
più degna d'amore tra tutti noi.
Facciamo
torto a Gaza quando cerchiamo le sue poesie.
Non
sfiguriamone la bellezza che risiede nel suo essere priva di poesia.
Al
contrario, noi abbiamo cercato di sconfiggere il nemico con le poesie, abbiamo
creduto in noi
e ci siamo
rallegrati vedendo che il nemico ci lasciava cantare e noi lo lasciavamo
vincere.
Nel mentre
che le poesie si seccavano sulle nostre labbra, il nemico aveva già finito di
costruire strade, città, fortificazioni.
Facciamo
torto a Gaza quando la trasformiamo in un mito perché potremmo odiarla
scoprendo che non è niente più di una piccola e povera città che resiste.
Quando ci
chiediamo cos'è che l'ha resa un mito, dovremmo mandare in pezzi tutti i nostri
specchi e piangere se avessimo un po' di dignità, o dovremmo maledirla se
rifiutassimo di ribellarci contro noi stessi.
Faremmo
torto a Gaza se la glorificassimo.
Perché la
nostra fascinazione per lei ci porterà ad aspettarla.
Ma Gaza non
verrà da noi, non ci libererà.
Non ha
cavalleria, né aeronautica, né bacchetta magica, né uffici di rappresentanza
nelle capitali straniere.
In un colpo
solo, Gaza si scrolla di dosso i nostri attributi, la nostra lingua e i suoi
invasori.
Se la
incontrassimo in sogno forse non ci riconoscerebbe, perché lei ha natali di
fuoco e noi natali d'attesa e di pianti per le case perdute.
Vero, Gaza
ha circostanze particolari e tradizioni rivoluzionarie particolari.
(Diciamo
così non per giustificarci, ma per liberarcene.)
Ma il suo
segreto non è un mistero: la sua coesa resistenza popolare sa benissimo cosa
vuole (vuole scrollarsi il nemico di dosso).
A Gaza il
rapporto della resistenza con le masse è lo stesso della pelle con l'osso e non
quello dell'insegnante con gli allievi.
La
resistenza a Gaza non si è trasformata in una professione.
La
resistenza a Gaza non si è trasformata in un'istituzione.
Non ha
accettato ordini da nessuno, non ha affidato il proprio destino alla firma né
al marchio di nessuno.
Non le
importa affatto se ne conosciamo o meno il nome, l'immagine, l'eloquenza.
Non ha mai
creduto di essere fotogenica, né tantomeno di essere un evento mediatico.
Non si è mai
messa in posa davanti alle telecamere sfoderando un sorriso stampato.
Lei non
vuole questo, noi nemmeno.
La ferita di
Gaza non è stata trasformata in pulpito per le prediche.
La cosa
bella di Gaza è che noi non ne parliamo molto, né incensiamo i suoi sogni con
la fragranza femminile delle nostre canzoni.
Per questo
Gaza sarà un pessimo affare per gli allibratori.
Per questo,
sarà un tesoro etico e morale inestimabile per tutti gli arabi.
La cosa
bella di Gaza è che le nostre voci non la raggiungono, niente la distoglie.
Niente
allontana il suo pugno dalla faccia del nemico.
Né il modo
di spartire le poltrone del Consiglio Nazionale, né la forma di governo
palestinese che fonderemo dalla parte est della Luna o nella parte ovest di
Marte, quando sarà completamente esplorato.
Niente la
distoglie.
E' dedita al
dissenso: fame e dissenso, sete e dissenso, diaspora e dissenso, tortura e
dissenso, assedio e dissenso, morte e dissenso.
I nemici
possono avere la meglio su Gaza.
(Il mare
grosso può avere la meglio su una piccola isola.)
Possono tagliarle
tutti gli alberi.
Possono
spezzarle le ossa.
Possono
piantare carri armati nelle budella delle sue donne e dei suoi bambini.
Possono
gettarla a mare, nella sabbia o nel sangue.
Ma lei: non
ripeterà le bugie.
Non dirà sì
agli invasori.
Continuerà a
farsi esplodere.
Non si
tratta di morte, non si tratta di suicidio.
Ma è il modo
in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
* Silenzio
per Gaza di Mahmoud Darwish 1973
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