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aggiornamento: 26 settembre, ore 12:01
Palermo -
(Adnkronos) - Il pm di Matteo:"La
testimonianza del Capo dello Stato è certamente pertinente e rilevante in
questa sede dibattimentale". E poi aggiunge:
"Dialogo occulto tra parti delle istituzioni e i vertici di Cosa nostra
proseguì anche dopo la strage di via D'Amelio"
Palermo, 26 sett.- (Adnkronos) - "La testimonianza del
Capo dello Stato Giorgio Napolitano al processo per la trattativa tra Stato e
mafia è certamente pertinente e rilevante in questa sede dibattimentale".
Lo ha detto il pm Nino Di Matteo durante
la relazione introduttiva del processo per la trattativa che si sta celebrando
davanti alla Corte d'assise di Palermo all'aula bunker del carcere Ucciardone.
Era stata la Procura a inizio processo a chiedere di potere ascoltare il
Presidente della Repubblica. Di Matteo si riferisce in particolare a una
telefonata intercettata tra l'ex consigliere giuridico di Napolitano Loris
D'Ambrosio, morto un anno fa, e l'ex ministro Nicola Mancino, tra gli imputati
del processo. Nella telefonata del 5 aprile 2012, tra l'altro, all'indomani
della lettera inviata dal Colle al Procuratore generale della Cassazione, dopo
che Mancino aveva trasmesso per iscritto alcune rimostranze, D'Ambrosio disse a
Mancino: "Il Presidente condivide la sua preoccup... cioé, diventa una
cosa... inopportuna...". E Mancino aveva replicato: "Questi si
dovrebbero muovere al più presto". Ma ci sono anche altre telefonate
intercettate. in un'altra telefonata, del 25 gennaio, D'Ambrosio parlò con
Mancino della sua nomna al Viminale nel luglio '92, al posto di VIncenzo
Scotti. "E' importante ascoltare Napolitano - ha detto Di Matteo - perché
è l'unica possibilità per approfondire i timori espressi da D'Ambrosio".
Le altre telefonate di Mancino,
intercettate per caso dalla Procura, con Giorgio Napolitano, sono state
distrutte nei mesi scorsi.
"Intendiamo dimostrare che
il dialogo occulto tra parti delle istituzioni e i vertici di Cosa nostra
proseguì anche dopo la strage di via D'Amelio del luglio del '92, dopo l'arresto di di
Vito Ciancimino del dicembre dello stesso anno e dell'arresto del boss Toto'
Riina avvenuto nel gennaio del 1993".
Con queste parole il pm aveva pochi minuti prima iniziato la sua relazione
introduttiva del processo . A prendere la parola con Di Matteo sono anche i pm
Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene.
"Questo dialogo occulto
proseguì anche attraverso durissime missive ricattatorie, la più importante
delle quali ad opera di sedicenti parenti di detenuti per mafia - ha proseguito
Di Matteo - La
minaccia proseguì con l'attentato di Roma che coinvolse anche Maurizio Costanzo,
l'attentato di via dei Georgofili del maggio '93 e gli attentati di Milano e
Roma per intimidire ulteriormente le istituzioni per attenuare il trattamento
pentitenziario dei detenuti piu' pericolosi". "Intendiamo dimostrare - ha detto ancora Di
Matteo - come ci siano stati inequivocabili segnali di cedimento di soggetti
per il trattamento penitenziario". E ha parlato della mancata proroga di
334 decreti di carcere duro, il cosiddetto 41 bis, per altrettanti mafiosi.
"In quel periodo c'e' stato l'avvicendamento del ministro Claudio Martelli
alla Giustizia con Giovanni Conso e l'avvicendamento tra il capo del Dap
Niccolo' Amato con il duo Adalberto Capriotti e Francesco Di Maggio". Poi
ha annunciato che la Procura "intende dimostrare la certa individuazione
del Ros dell'allora latitante Nitto Santapaola nell'aprile del '93 e la mancata
attivazione per la cattura del latitante".
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