Con una soluzione “a sorpresa” il ministro Zanonato ha annunciato che gli stabilimenti del nord di Riva Acciai in cui lavorano 1400 operai da lunedì riapriranno.
La cosa è stata salutata con notevole soddisfazione dagli operai che erano in lotta appunto per chiedere la ripresa del lavoro. Nello stesso tempo i padroni per bocca del presidente della Confindustria hanno dichiarato che l'accordo è molto positivo e il loro organo di stampa Sole 24 Ore in un editoriale parla di “cambiamento di clima”, di “svolta”.
La soluzione è stata trovata in una intesa con le Banche da parte del custode amministratore giudiziario Tagarelli, con la quale si dice che i crediti di Riva Acciai non saranno sequestrati ma una volta che diverranno liquidità potranno essere usati per le necessità delle aziende. Su questa base le Banche hanno riaperto le linee di credito e questo dovrebbe consentire a Riva Acciai di riaprire le fabbriche e garantire gli stipendi.
Questa è la notizia, che innanzitutto dimostra che la chiusura delle fabbriche da parte di Riva era ed è un ricatto per costringere a stornare fondi del sequestro in questa direzione. D'altra parte la Procura di Taranto aveva espresso subito con una presa di posizione un orientamento che non negava la continuità della produzione dopo i sequestri.
Sulla base di questo noi avevamo espresso il dissenso rispetto ad una mobilitazione operaia guidata dai sindacati confederali che andava nella direzione dei voleri di Riva e governo. Così avevamo espresso una netta contrarietà ad un'ennesimo decreto pro Riva che Zanonato era pronto a fare.
Si è quindi trattato di una tempesta in un bicchiere d'acqua in cui si è fatto un "gioco delle parti", dove, come al solito, sotto al direzione dei sindacati confederali, gli operai hanno fatto la parte del "padrone".
In realtà si tratta di un'ennesimo passo volto a ristabilire la proprietà e i poteri dell'azienda in un quadro generale in cui i dati di partenza di tutta la vicenda vengono complicati e oscurati per non fare emergere la sostanza dello scontro di classe.
La questione di fondo è che Riva e la sua famiglia sono sotto inchiesta, con i suoi uomini ancora in arresto e uno dei Riva "custode della cassa" ancora latitante.
In realtà, i fondi accumulati dalla produzione sono stati stornati nei mille rivoli delle società offshore distribuite nei paradisi fiscali, con un assetto societario costruito per sottrarre principalmente i fondi dall'Ilva di Taranto, lo stabilimento più produttivo, e nasconderli in altre attività; con l'ultima operazione dell'estate scorsa che ha puntato a separare l'Ilva dalle altre collegate di Riva Fire, Riva Acciai compreso, per metter queste al riparo dall'azione giudiziaria. Quindi queste aziende se funzionano bene non è tanto per le capacità produttive di esse ma per il gioco delle tre carte di padron Riva. Questo gioco delle tre carte non può trovare ora una sorta di ratifica ufficiale.
Come si sa i sequestri avviati dalla Procura trovano una loro giustificazione nell'essere il risultato, non tanto dell'attività industriale dei Riva, quanto dell'utilizzo dei fondi accumulati attraverso una violazione sistematica delle norma su sicurezza e salute. In sostanza, queste somme requisite o requisibili sono o dovrebbero essere finalizzate alla messa a norma dello stabilimento di Taranto e, secondo il principio di "chi inquina paga", al fondo per bonifiche e risarcimenti.
Questa è la sostanza del problema su cui gli operai comunque devono essere uniti, o almeno dovrebbero, da Taranto a Lesegno.
Invece ci troviamo di fronte ad un percorso che non è questo. Perchè da un lato si dice che i fondi provenienti da Riva Acciai sono di Riva Acciai, e anche se sono sotto sequestro possono essere utilizzati in questo senso e dall'altro si dice che gli altri fondi sequestrati continuano ad essere raccolti nel fondo Giustizia; ma, a differenza della nettezza usata per Riva Acciai, non è stato ancora chiarito se saranno messi a disposizione per messa a norma e bonifica. Mentre per messa a norma e bonifica, e soprattutto per quest'ultima, vengono destinati quattro soldi, e per di più quelli per la messa a norma sono gestiti sempre da Riva per interposta persona, l'ineffabile commissario Bondi.
Questa non è la soluzione che operai e popolazione di Taranto possono accettare.
Ma diciamo anche un altra cosa. Si è evitata in questa occasione una strada che era quasi tracciata, consistente in un nuovo decreto e in un'estensione dei poteri del commissario Bondi anche per quanto riguardava Riva Acciai - soluzione che noi comunque contrastiamo perchè in continuità con i precedenti decreti pro Riva; ma la soluzione che viene, con tutto il rispetto per la Procura di Taranto, è una sorta di "se non è zuppa è pan bagnato", perchè assegna al custode giudiziario Tagarelli la gestione dei fondi stessi per continuare la produzione gestita a sua volta da Riva e i suoi uomini, quindi Tagarelli fa le veci di Bondi.
E' questo che viene rilevato dagli uomini dei padroni come "svolta e cambiamento di clima", come avvio di una "composizione di un conflitto".
Il Sole 24 Ore scrive chiaramente che l'intesa scongela i 60 milioni di euro sequestrati e mette al riparo dal sequestro quelli che Riva Acciai dovrà incassare.
Se questo è l'arrosto, il fumo è che Riva si sarebbe impegnato ad accantonare e restituire i fondi sequestrati alla Riva Acciai, tanto è vero che il Sole 24 Ore gli fa un monumento, dicendo che i Riva, nonostante i guai collegati allo scandalo ambientale dell'Ilva e ai problemi connessi alle società offshore, per non perdere la componente elettrosiderurgica del loro regno non si sono sottratti all'impegno di garantire i 60 milioni di euro di liquidità in cassa ora riportati nella disponibilità dei dirigenti.
Insomma, Stato e padroni ne escono alla grande dalla situazione attuale e la lotta operaia, qualunque siano le esigenze degli operai stessi, è stata indirizzata dai sindacati confederali, Fiom compresa, solo in questo senso.
L'aria fritta delle parole d'ordini su "commissariamento", "nazionalizzazione" copre la natura dello scontro di classe reale, di cui ancora non si vede l'ombra, tranne che nella posizione dello Slai cobas per il sindacato di classe.
A Taranto, intanto, questo scontro su Riva Acciai è stato vissuto dagli operai come spettatori, ma è uno scontro che gli si ritorcerà contro.
L'azienda qui è ridivenuta attiva sul fronte dell'applicazione dell'AIA, in particolare con l'annuncio dell'introduzione di un'innovazione che riprende modelli già in atto negli stabilimenti di Lins e Donawitz dell'austriaca Voestalpine, con il passaggio dalla carica di minerali preparata in agglomerato al preridotto di ferro e dal carbon coke al gas. Questo porterebbe l'Ilva a ridimensionare parchi minerali, agglomerato e batterie cok. Per questo viene fermato un altoforno e 4 batterie. La cosa porta a 4/500 operai in esubero.
Innanzitutto va detto che questo è semplicemente un annuncio, il piano è lungo e va ben oltre i tempi dell'Aia, tutto il 2015 e forse anche fino al 2017; così come viene già spostata la tempistica dello stop dell'Altoforno 5, da luglio a settembre.
Inoltre, sul problema degli esuberi l'azienda fa la solita affermazione: "non costituiranno esuberi in quanto ricollocati in altre aree produttive"; cosa che già in occasione del fermo all'Altoforno 1, si rilevò una promessa non rispettata.
Quindi, nessuna fiducia nelle dichiarazioni aziendali.
Peraltro il piano industriale Bondi lo ha annunciato per novembre ed esso non rispecchierà solo i problemi legati all'Aia, ma le questioni legate all'assetto dello stabilimento, della produzione e all'assetto dell'Ilva nel mercato mondiale; quindi ristrutturazione e tagli.
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