mercoledì 1 settembre 2010

pc quotidiano 1 settembre - La Bolzaneto di Ponte Galeria

Grazie alla segnalazione di Macerie, riportiamo questa testimonianza di
un'ex operatrice della Croce Rossa su stupri e violenze nel lager di Ponte
Galeria, raccolta da Madre Terra Fratello Clandestino.

Angela racconta cosa significa vivere in un lager di stato

Le persone che conoscono direttamente i Cie (centri di identificazione ed
espulsione) e non si esprimono per sentito dire, hanno imparato che non
sono luoghi dove poter fantasticare a occhi aperti. Anzi, sanno benissimo
che sono posti dove i sogni vengono spezzati e dove si puo’ incontrare una
delle più crudeli realtà del XXI secolo. E’ un accumulo di esseri umani,
gettati in una fogna, dove ogni diritto è sospeso.
Lo sa benissimo Miguel, che afflitto dalla disperazione, ingoia due pile e
della candeggina. Non riesce a sopportare di sottovivere in prigione, senza
aver commesso nessun reato. Compie un atto estremo e spera che qualcuno si
accorga di lui, della sua storia, delle sue aspirazioni spezzate.
Eppure, le istituzioni chiamano “ospiti” le persone che entrano
all’interno di questi centri. Qualcuno si sorprende quando vengono chiamati
Lager di stato. Qualcun’altro non resta turbato quando viene a conoscenza
di storie raccapriccianti, perché sa cosa succede all’interno di quelle
celle e qualcun altro ancora, è indifferente e accetta quel che può subire
una persona colpevole di non avere un documento a portata di mano.
Succede che più conosci quella realtà e più scopri racconti incredibili e
persone che vogliono narrare le loro esperienze dirette, vissute da
protagoniste all’interno di quelle gabbie. Ci sono i migranti reclusi (come
Miguel, Adel, Elham, Joy ecc) che ti implorano a scrivere e raccontare di
loro. Ma ci sono anche gli operatori spesso andati via dal centro disumano
e che vogliono raccontare le atrocità subite dai migranti.

NON GRADITA A PONTE GALERIA
Molte volte gli operatori che lavorano nei vari Cie d’Italia mi chiedono
di mantenere segreta la loro identità per paura di perdere il posto di
lavoro o per il timore di essere perseguitati. Questa volta, ci sono Nomi e
cognomi. “Puoi fare tranquillamente il mio nome e anche il cognome se vuoi,
io dico solo la verità” dice Angela, quando gli chiedo se vuole che la sua
identità venga svelata.
Angela Bernardini, ha lavorato nel Lager romano di Ponte Galeria con la
CRI dal 1998 al 1999, con varie mansioni: segreteria, logistica,
ambulatorio. Come un fiume in piena mi ha raccontato ciò che succedeva
all’interno di quel centro disumano sempre esaurito e stracolmo di persone.
“All'epoca - racconta Angela Bernardini - non esistevano nè regole, nè
tanto meno diritti, almeno non codificati da un regolamento. I reclusi
andavano a fortuna, secondo chi era di turno nei vari settori di competenza
o delle forze dell’ordine”. Vi era una estrema difficoltà ad avere colloqui
con gli avvocati e con i familiari. Tutto ciò che avevano, quando venivano
portati al centro, era sequestrato e custodito in alcune cassette. “Non so
se quando uscivano i militari ridavano loro esattamente ciò che avevano
all'inizio della detenzione” dice l’ex operatrice di Ponte Galeria.
“Ho sempre cercato la vicinanza umana con i detenuti, volevo conoscere le
loro storie, sapere della loro vita, aiutarli a restare persone”, perché
spesso come mi hanno raccontato molti ragazzi reclusi in un Cie, è
difficile restare se stessi, quando esci da quell’inferno cambi. “Io voglio
restare me stesso, spero di farcela” mi diceva Miguel prima di essere
espulso.
“Mi ero conquistata la loro fiducia ed il loro rispetto”, tanto che in
un’occasione, Angela, è riuscita ad impedire una rivolta e in un’altra
addirittura volevano fare lo sciopero della fame per lei. Era accaduto che
in mensa un detenuto, “forse impazzito per davvero o forse per finta, mi ha
mollato un cazzotto sulla fronte”, lasciando Angela stordita e dolorante.
“Questo poveraccio – racconta l’ex volontaria della CRI - successivamente è
stato massacrato di botte dai poliziotti, malgrado i miei tentativi di
impedirlo”. Secondo Angela a condurre il pestaggio fu Massimo Pigozzi, che
è uno dei tanti che parteciparono al pestaggio di Bolzaneto, durante il g8
del 2001, secondo le indagini condotte avrebbe dilaniato una mano ad una
ragazza, divaricando le dita fino a quando la pelle si è lacerata. Secondo
le agenzie di stampa, Picozzi è stato accusato anche di aver violentato nel
2005 alcune prostitute romene nella camera di sicurezza della Questura di
Genova. Per precauzione, il comandante aveva deciso che per un pò Angela
non entrasse in contatto con gli “ospiti” e proprio per questo motivo, i
detenuti, “si sono rifiutati di andare alla mensa se non ci fossi stata
io”.

ABUSI E LE VIOLENZE SNERVANTI
Era scomoda Angela, troppo umana per il potere che cinicamente deve
dettare legge e impedire che uscissero fuori le vicende. La sua
"confidenza" non piaceva nè ai responsabili della CRI, nè a quelli delle
forze dell’ordine. “Mi spiavano, mi controllavano, mi seguivano per vedere
se passavo loro droga o facevo favori sessuali”. Forse anche per trovare un
pretesto e poi chiedere il suo silenzio ricattandola, chissà.
Ma ad abusare sessualmente delle detenute erano altri racconta Angela: “
So che alcuni militari, e anche qualche volontario, in cambio di sigarette
e schede telefoniche avevano rapporti sessuali con viados e prostitute”.
Spesso, all’interno del centro, si trovavano preservativi usati che
certamente i detenuti non potevano avere con se, “come non erano certo i
detenuti a far entrare la droga. Io stessa ho tirato fuori da un bagno un
ragazzo in overdose”. C’era sempre qualcuno che abusava della loro
debolezza e chi pagavano erano sempre le donne, con le “normali”
prestazioni sessuali.
Angela comprava le sigarette ai detenuti, ma senza chiedere nulla in
cambio. “A volte non potevo dar loro il cambio della biancheria intima”,
entravano e uscivano praticamente sempre con quello che avevano addosso al
momento del fermo. “Chi protestava veniva sedato, spesso con le botte e
messo in isolamento in una stanza priva di tutto”.
Un giorno, Angela accompagna con l’ambulanza all'ospedale San Camillo un
ragazzo che aveva dei gravi problemi di autolesionismo. “Io riuscii a
convincerlo ed entrai in ambulanza con lui, malgrado non fossi di turno in
ambulatorio”. Il ragazzo, aveva una lametta nascosta in bocca e avrebbe
potuto fare del male a se stesso e ad Angela, ma con calma l’ex operatrice,
cercò di farsi dare la lametta dal detenuto. Al rientro al CPT, “mi beccai
una grande lavata di testa dal comandante e dopo due giorni, ricevetti una
telefonata dal responsabile del mio gruppo, che mi diceva che non dovevo
più presentarmi al Centro, perchè non gradita”.
Sono seguiti giorni da incubo, “ho cercato di parlare con tutti i vertici
della CRI, ma non ci sono riuscita. Mi avevano creato intorno un muro
impenetrabile. Alla fine, mi hanno costretto ad andarmene, in quanto
sottoposta ad un mobbing continuo”.


FACCETTA NERA
Un giorno, uno come tanti, verso l’ora di pranzo, Angela racconta che
mentre alcuni internati uscivano dalla sala mensa, altri invece si erano
intrattenuti ai tavoli per scambiare qualche parola tra loro.
Improvvisamente, "dagli altoparlanti presenti nella sala, si sono diffuse
ad alto volume, le note di Faccetta nera”. Tra il poco stupore degli
ospiti, “che quasi certamente non conoscevano quella marcetta” e lo
sconcerto tra i volontari in servizio, le note ad alto volume continuavano
a cantare tra le risate dei militari.
Angela, chiese dove fosse la centrale che governava gli altoparlanti, e
“mi è stato risposto che era il posto di polizia, sito al secondo cancello
di ingresso, quello che conduceva fisicamente dentro il corpo vivo del
lager”.
Senza pensarci due volte, Angela si è precipitata verso il posto di
polizia: “c’era un poliziotto con davanti a sè un mangianastri e la
custodia di una cassetta dal titolo inequivocabile: Inni e canti del
Ventennio”. Angela chiese al giovane poliziotto se si rendeva conto di
quello che stava facendo, “non solo offendeva i reclusi, ma stava
commettendo anche il reato di apologia di fascismo”.
Incurante di tutto ciò e del potere conferitogli dallo Stato, sorrise e in
maniera ironica “ha preso la cassetta dal mangianastri, l’ha riposta e ne
ha presa un’altra, dicendomi: ma io stavo mettendo Baglioni”. Con coraggio
Angela fece rapporto al funzionario di PS responsabile e il poliziotto fu
successivamente allontanato dal CPT, ma “per molto tempo sono stata
guardata malissimo da tutti i vari addetti delle forze dell'ordine”.
Oggi, al Cie di Ponte Galeria non c’è più la CRI, ma la Cooperativa
auxilium. “Da quello che leggo, non mi pare che le cose siano migliorate".
E effettivamente non lo sono davvero. "Stare a Ponte Galeria mi ha cambiato
per sempre la vita” parola di Angela.

Andrea Onori
27 agosto 2010

Nessun commento:

Posta un commento