lunedì 6 febbraio 2012

pc 6 febbraio - ancora un intervento sul movimento dei forconi in sicilia - dalla redazione del blog Redblock

CONTRO IL GOVERNO MONTI, FORCONI O RIVOLTA POPOLARE?
Nelle settimane scorse la Sicilia è stato teatro della cosiddetta rivolta dei forconi e del movimento Forza d’urto. Già dal primo giorno di mobilitazione questi soggetti sono stati capaci di bloccare le principali arterie siciliane: dai caselli autostradali, ai porti delle principali città allo Stretto di Messina.
Il movimento dei forconi ha innescato un ricco e variegato dibattito a differenti livelli, dagli ambienti istituzionali sino all’interno del movimento rivoluzionario in cui alcuni soggetti politici hanno bollato tale movimento come guidato da mafiosi e fascisti, altri invece lo hanno esaltato definendolo movimento popolare.
Ma chi sono i forconi? Quali sono le loro rivendicazioni? E infine, i rivoluzionari come si devono rapportare con essi?

I forconi.

Ai blocchi hanno partecipato attivamente diverse categorie, quella che spicca come determinante nell’attuazione di questa forma di protesta è sicuramente quella degli autotrasportatori a cui si sono aggiunti agricoltori, pescatori e allevatori. In alcune parti della Sicilia i blocchi hanno suscitato l’interesse di alcuni studenti medi che spontaneamente si sono uniti alla protesta. Approfondendo la composizione sociale di questo movimento e le sue rivendicazioni troviamo dei punti di contatto e una certa omogeneità di classe piuttosto che un’eterogeneità solo apparente.
Infatti gli autotrasportatori, gli agricoltori, gli allevatori e i pescatori in questione, sono nella quasi totalità piccoli imprenditori a capo di piccole aziende con pochi dipendenti, a volte nessuno. La confusione sulla natura di classe della protesta può nascere principalmente per gli agricoltori; quando si parla di queste categorie in merito alla protesta dei forconi molti pensano ancora al bracciante agricolo sfruttato dal latifondista che come accadeva qualche decennio fa insorgeva contro il latifondo con l’obiettivo della riforma agraria e della “terra a chi la lavora”, in realtà gli agricoltori in piazza erano principalmente i titolari delle aziende che in un contesto di piccole imprese spesso familiari, i dipendenti e/o familiari sono praticamente costretti a seguire ogni passo del datore di lavoro. La Sicilia non è più il “granaio di Roma” come alcuni ancora potrebbero credere, oggi il settore agricolo e della pesca rappresenta solo il 3,50% dell’attività produttiva siciliana a fronte di un aumento del terzo settore che sfiora l’80%, il resto è industria.
Questo dato quantitativo riflette quello qualitativo: la presenza in questo settore di piccole aziende spesso familiari con a capo padroncini che per loro natura di classe hanno solo interesse che il proprio profitto non diminuisca. Stesso discorso per autotrasportatori e pescatori.
Più che altro l’interclassismo in questa vicenda, che potenzialmente non c’è, è stato introdotto artificialmente dall’esterno da soggetti del movimento che partecipando attivamente ad esso ne esaltano alcuni aspetti attribuendogli anche meriti inesistenti.

Cosa vogliono.

Le richieste principali si possono ricondurre a due: la prima è inerente al costo del carburante troppo elevato su cui gravano le accise introdotte dal governo. Questa richiesta interessa principalmente agli autotrasportatori e i pescatori in quanto diminuisce in maniera netta le loro entrate di guadagno. Per risolvere questo primo punto la richiesta è quella di “riaprire il discorso con lo Stato circa le accise del petrolio, metano e altro estratti in Sicilia che sarebbero dovute rimanere ai siciliani ed invece hanno preso sin dall’inizio la via di Roma”. La seconda richiesta invece è legata alla produzione agricola i cui prodotti subiscono continui deprezzamenti dovuti alla concorrenza estera. Una richiesta generale per entrambi i problemi è la creazione di una zona franca o un’area di libero scambio. A livello mediatico è risaltato anche l’aspetto folkloristico delle rivendicazioni, nelle interviste i manifestanti facevano spesso riferimento al “popolo siciliano” e ad una rivolta antisistemica contro lo stato italiano che da decenni in maniera colonialista sfrutta la Sicilia, prestando il fianco alla riesumazione di gruppuscoli indipendentisti da decenni dormienti sul territorio eccetto in periodi di campagna elettorale quando rispolverano la bandiera giallo-rossa con la Trinacria.

C’è un filo diretto tra composizione di classe dei forconi, il 99% dei manifestanti è riconducibile alla piccola borghesia imprenditoriale, e le loro rivendicazioni.
“Giustamente” dal loro punto di vista, difendono i propri interessi di classe minati dall’azione del governo che invece rappresenta principalmente la grande borghesia legata all’alta finanza. Questa contraddizione interna a frazioni diverse della borghesia rappresentanti interessi economici e poli di potere differenti è stata accentuata dalle politiche del governo. Da ciò, a nostro parere, si spiegano le dichiarazioni del presidente della Confindustria siciliana Ivan Lo Bello che criminalizza il movimento parlando di infiltrazioni mafiose, per demonizzarlo e bollarlo come illegittimo. I blocchi come hanno detto i media locali e nazionali “hanno arrecato un grave danno all’economia siciliana” ciò significa che le merci che non sono arrivate ai banchi dei mercati e supermercati hanno provocato un danno economico ad altri piccoli e medi imprenditori creando una contraddizione all’interno della stessa classe ( è per questo motivo che adesso i forconi sono tentennanti nel proseguire la protesta con le stesse modalità) ma anche della media e grande borghesia che sono rappresentate per l’appunto da Confcommercio e Confindustria.

Circa le infiltrazioni fasciste invece non c’è da soffermarvisi a lungo, ci sono stati dei tentativi principalmente nei blocchi di Catania, Messina e Palermo, ma questo non ci stupisce affatto dato che i fascisti come punto di riferimento “naturale” di classe abbiano la piccola borghesia “ribelle” che quando si accende per l’appunto utilizza sistemi di lotta di questo tipo. Ciò non significa che il movimento dei forconi sia capeggiato da mafiosi e fascisti come molti hanno sostenuto, ma sicuramente le richieste di tipo corporativo quali quelle ricordate sopra sono terreno fertile per il populismo fascista che non a caso ha esaltato la “natura agraria” della protesta.

I forconi respinte le accuse di connivenza con fascisti e mafiosi e allontanato formalmente il leader di Forza Nuova Morsello dal movimento, (uscito dalla porta e rientrato dalla finestra nel corteo del 25 Gennaio) hanno ribadito la loro apoliticità e apartiticità in nome dell’interesse generale di tutto il popolo siciliano e hanno avanzato la richiesta che sia applicato l’esistente Statuto Siciliano che garantisce alla Sicilia in quanto regione autonoma certi sgravi fiscali per i produttori.

Rivolta popolare o piccola borghesia incazzata?

Ogni classe quando si organizza in maniera più o meno strutturata e si muove conseguentemente, persegue i suoi obiettivi di classe. Anche in questo caso è così. Il punto principale è capire se questa mobilitazione può avere punti di contatto con gli interessi del proletariato al fine di organizzare un fronte unito che risponda agli attacchi ripetuti della borghesia rappresentata in questo momento dal governo Monti.

Il governo Monti dopo la prima fase di provvedimenti di austerity che oggettivamente hanno colpito in maniera indiscriminata tutti i settori popolari, dal proletariato alla media borghesia, nella sua seconda fase iniziando con le cosiddette liberalizzazioni è andata a fondo contro gli interessi economici corporativi di tassisti e “forconi”, della piccola borghesia imprenditoriale in generale, a vantaggio del grande capitale, ma questo è solo l’inizio. Il dibattito attuale sulla cancellazione o “modifica” dell’articolo 18 dimostra che a fare principalmente le spese delle politiche di questo governo saranno in primis i lavoratori e gli operai, l’attacco all’articolo 18 non è un passaggio tecnico, racchiude invece l’essenza stessa di questo governo che sta intraprendendo la sua guerra di classe che passa nell’affermazione del principio che per via “tecnica” si possono stravolgere anche le regole del gioco stabilite dalla borghesia stessa.

Ciò che già ha anticipato Marchionne facendo carta straccia degli accordi sindacali, il Governo Monti lo generalizza a politica nazionale per la riforma del mercato del lavoro. Se è vero che questo governo è antipopolare, è ancor più vero che la sua natura è principalmente anti-proletaria, questo si vede anche nei trattamenti di piazza riservata ai manifestanti. Se verso i suoi “figli ribelli” tollera qualche giorno di blocchi limitandosi a minacciare precettazioni nel caso in cui si superasse il limite, ben altro trattamento è riservato agli operai, ultimo caso quello degli operai St e Cogepi che Martedì 31 Gennaio dopo aver bloccato la strada adiacente la prefettura di Caserta in men che non si dica sono stati caricati selvaggiamente dalla polizia, stessa scena che si ripete da decenni quando gli operai, ma anche gli studenti, utilizzano alla pari dei forconi la forma di lotta del blocco di strade, autostrade e stazioni ferroviarie. La differenza sostanziale nei due casi è che nel primo la rivendicazione è parziale, di restaurazione di un privilegio corporativo tutelato dalle associazioni di categoria, nel secondo invece si mette in discussione il nocciolo dell’essenza del capitale che trae profitto principalmente dallo sfruttamento del lavoratore salariato. La borghesia oggettivamente “percepisce” il pericolo rappresentato da differenti rivendicazioni in maniera oggettiva e agisce di conseguenza.

Da che parte stare.

I rivoluzionari devono scegliere da che parte stare, sicuramente sul terreno dello scontro di classe con padroni e governo, cogliendo la sfida e rispondendo colpo su colpo, ma nel farlo devono saper riconoscere, strada facendo e tra le contraddizioni, amici e alleati.
In questa fase dobbiamo lavorare e contribuire a rafforzare le lotte operaie e dei lavoratori in generale per contrastare adeguatamente le azioni messe in campo dal governo. Il primo passo è stato fatto durante lo sciopero generale del 27 Gennaio a Roma dai sindacati di base, l’importanza di questa mobilitazione è principalmente il fatto che è stato il primo sciopero generale contro questo governo che ha visto protagonisti decine di migliaia di lavoratori organizzati dal basso con i sindacati di base. Da qui bisogna continuare, moltiplicando queste forze e potenziandone l’organizzazione su tutti i posti di lavoro, lavorando per un fronte unito contro il governo che abbia al suo centro il proletariato, i giovani ribelli e le donne che riesca a guidare ampi settori del popolo, non viceversa.
Tornando ai forconi siciliani, e sulla questione di un’ipotetica convergenza di interessi di classe tra i loro obiettivi e quelli del proletariato, l’unico terreno comune a nostro avviso è quello riguardante il caro-vita, ma se da un lato è giusto appoggiare le rivendicazioni contro l’aumento di tasse e accise sui carburanti (in quanto colpiscono anche i lavoratori) ciò deve essere fatto in maniera critica e non appiattendosi sulle posizioni di classe della piccola borghesia, abbracciandone in toto le rivendicazioni.

I sostenitori di questo movimento, nel campo rivoluzionario a nostro avviso hanno semplicemente confuso il mezzo con il fine.
È sufficiente appoggiare una lotta prendendo come base di giudizio la forma di lotta messa in pratica (in questo caso i blocchi selvaggi, che adesso tanto selvaggi non sono neanche più)?

Secondo lo stesso principio, è sufficiente definire tale lotta popolare e addirittura con venature “antiglobalizzazione” (quasi anti-imperialista se si entra nella dinamica imperialismo italiano vs popolo siciliano)?

Se la protesta è finalizzata a preservare interessi corporativi e addirittura scendere a compromessi con il potere centrale con la richiesta di zone economiche speciali di cui sicuramente avrebbe beneficio solo il mondo imprenditoriale e non i lavoratori, sicuramente non può esservi punto di contatto con le lotte proletarie che invece entrano in contraddizione con essa se parliamo di tutela del e sul posto di lavoro; i piccoli padroncini (chi detiene i mezzi del proprio lavoro non salariato) protagonisti dei blocchi sarebbero d’accordo a intraprendere una lotta contro il governo per difendere l’art 18 ed estenderlo anche alle loro piccole aziende al di sotto dei 15 dipendenti? Crediamo proprio di no. Si potrebbe dire che molte di queste piccole aziende sono a base familiare ma ciò non intacca la natura del ragionamento, se un lavoratore è impiegato presso un parente stretto perché non dovrebbe avere gli stessi diritti di altri lavoratori?

È sbagliato e fuorviante fare parallelismi forzati tra contesti diversi come rivolta dei forconi e le rivolte dei paesi arabi com’ è stato fatto sia dai manifestanti stessi che da alcuni compagni.
Innanzitutto cambia la composizione sociale, in un paese imperialista come il nostro rispetto a un paese oppresso dall’imperialismo come qualsiasi paese teatro delle rivolte, la piccola borghesia è relativamente maggiore nella composizione di classe rispetto ai paesi arabi. Nelle proteste a piazza Tahrir, a Tunisi, in Marocco e così via sicuramente in piazza stavano anche piccoli imprenditori, commercianti e autotrasportatori, ma non ne erano l’anima della protesta, non erano le loro parole d’ordine a guidarla ma al contrario essi si sono accodati a quelle più generali di pane e lavoro a cui si è aggiunta poco dopo quella della necessità di un cambiamento politico radicale. In Egitto la spina dorsale della protesta che ne spiega anche la sua maggiore tenuta nel tempo rispetto ad altri paesi quali la Tunisia ad esempio è rappresentata dalla classe operaia relativamente sviluppata e organizzata in sindacati che fino a ieri erano illegali, a cui si somma la forza dei giovani proletari e ribelli ultras.

Altra diversità non indifferente è l’appoggio popolare, se è vero che i soggetti sociali che animano i forconi siano una parte del popolo ciò non significa che ne abbiano l’appoggio, loro stessi per mezzo in una recente dichiarazione del leader Ferro, ci dicono che la nuova ondata di blocchi, originariamente prevista per Lunedi 6 Febbraio, da un lato avrebbe interessato solo le raffinerie e non il trasporto di merci “per non colpire il popolo siciliano”, dall’altro non è sicuro che questi blocchi ridimensionati vengano attuati in quanto non si vuole incorrere in misure di precettazione da parte delle questure. O il popolo è parte integrante di un movimento o non lo è. In questo caso sembra che dal movimento stesso venga trattato come oggetto passivo ed esterno ad esso “con cui fare i conti” per evitare di inimicarselo piuttosto che soggetto interno e attivo.

Se è vero che in certe provincie del sud-est la partecipazione ha coinvolto anche interi comuni ciò non ci autorizza ad assurgere un caso particolare a generale e delineante gli aspetti del movimento nel suo complesso, così come se dalle parti di Castelvetrano alcuni giovani inneggiavano al boss latitante Messina Denaro non significa che in piazza erano tutti mafiosi ma ci deve fare ragionare su quanto sia ampio il lavoro da fare tra le masse piuttosto che esaltare tutto ciò che si muove a priori.

Strumentale e controproducente invece è far leva sugli slogan populistici anti-partito e anti-sindacato quando è evidente che essi sono mossi da una sorta di “ricatto” verso i referenti politici di questi settori che notoriamente fanno capo ad ambienti di destra, principalmente lo MPA di Lombardo, finalizzato ad un ritorno economico garantito dal clientelismo elettorale.
La natura populista di tale posizione “apolitica” ci è confermata sempre da Ferro che ha detto ufficialmente di non escludere l’ eventualità che il movimento si costituisca in partito politico, in tal modo qualora i referenti politici nei palazzi regionali non potessero più tutelare queste categorie, si entrerebbe in competizione diretta con essi proprio sullo stesso terreno elettorale e istituzionale, altro che movimento antisistema!

Per concludere, tornando all’obiettivo principale della lotta contro padroni e governo Monti, bisogna evitare di intraprendere scorciatoie di sorta che poi si rivelano solo spreco di tempo e di energie, se si assume un approccio acritico che vede in ogni blocco stradale la rivolta, si rischia di scambiare lucciole per lanterne. Con questo approccio si rincorrono, in maniera velleitaria, soggetti sociali che sanno già cosa vogliono e come lo vogliono ottenere dal loro punto di vista di classe, con l’illusione di prenderne la testa o indirizzarne meglio pratiche e azioni.
Questo approccio che segue il principio che tutto ciò che si muove e arreca disagio è giusto a priori, o addirittura è rivolta popolare, è figlio del movimentismo che dopo trent’anni di messa in pratica dovrebbe essere archiviato in favore di un lavoro politico indirizzato all’organizzazione politica e alla strutturazione delle lotte seguendo una strategia ben precisa per raggiungere l’obiettivo e arricchita da una flessibilità tattica contingente che è cosa ben diversa dal “movimento per il movimento”.
Questo non è un lavoro semplice, chi nella sua attività politica lavora quotidianamente sui posti di lavoro lo sa bene, lo sviluppo attuale del capitale ha creato una serie di contraddizioni da saper maneggiare che hanno a che fare con la parcellizzazione del lavoro, così all’interno di una stessa fabbrica o posto di lavoro si trovano lavoratori facenti capo all’azienda e quelli che invece sono impiegati da ditte esterne con diversi contratti oppure stabilimenti che in un’area geografica producono a pieno regime mentre altri in differenti luoghi hanno tutti i lavoratori in cassa integrazione, stesso discorso tra stabilimento italiano e straniero e ancora la “novità” del caporalato diretto dai sindacati confederali, in primis la cgil nelle cooperative rosse del nord, e così via.

Come si diceva non è semplice ma bisogna “sporcarsi” le mani, oggi l’unica “uscita dalla crisi” possibile è rappresentata da un’azione cosciente che lavori perché questa crisi si aggravi per i padroni, si vada verso il default, si approfondisca la percezione che le masse hanno circa l’illegittimità anche morale del potere e così via.
Il primo passo deve essere necessariamente la rivolta popolare, facendo tesoro dalle più recenti; per evitare che essa finisca per “cambiare tutto e non cambiare niente” bisogna lavorare fin dall’inizio perché la sua direzione sia proletaria, questo passa necessariamente dall’organizzazione operaia e dei lavoratori che sempre più perdono i loro riferimenti politici e sindacali, questo necessita di un lavoro politico rivoluzionario costante e variegato nelle forme che sia capace di divincolarsi tra le molteplici contraddizioni assumendo una flessibilità tattica ma coerente con una fermezza strategica generale.

Pubblicato da RED BLOCK a 07:55

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