Nei giorni scorsi, la Fim-Cisl e la stampa padronale – Il Sole 24 ore – hanno dato ampio rilievo alla fuoriuscita dalla Fiom di operai iscritti e delegati Fiom e del passaggio di una parte di questi alla Fim. In particolare fanno riferimento a due situazioni importanti: la Fiat Sata di Melfi e l’Ilva di Taranto – per quest’ultimo stabilimento poi viene dato molto spazio soprattutto ad una lettera di “commiato” di un delegato Ilva, F. Rizzo, componente del direttivo provinciale e regionale Fiom e del Comitato Centrale nazionale della Fiom, indirizzata a Landini e alla Camusso.
Secondo queste notizie e lettera: all’Ilva, 400 lavoratori e 6 Rsu si sarebbero dimessi, di cui 150 e 2 delegati sarebbero passati alla Fim; alla Fiat Sata 200 operai Fiom sarebbero passati alla Fim, mentre tre delegati si sarebbero dimessi
Questa notizia, anche se volutamente amplificata, esprime però una realtà effettiva, che aumenterà nel prossimo futuro, frutto essenzialmente di due questioni.
Da un lato – ed è l’aspetto principale – la politica del “piede in due staffe” della Fiom di Landini: trattata dalla Fiat, dalle aziende metalmeccaniche come e a volte peggio dei cobas, a cui vengono tolti tutti i diritti sindacali ma organicamente impossibilitata a rispondere come i cobas; una Fiom che, a fronte del fascismo padronale che fa carta straccia di regole e diritti democratici, di contratti, di leggi, di Costituzione, chiede “democrazia”, che va alla “guerra dei padroni e del governo” con il codice in una mano e l’ordinaria lotta/manifestazioni innocue dall’altra; una Fiom che ha abbandonato anche ogni precedente elemento critico/conflittuale con la direzione della Cgil con la Camusso che ha ricostruito ‘senza se e senza ma’ - dal famoso accordo del 28 giugno 2011 ai Tavoli odierni sul mercato del lavoro e art. 18 - l’unità con cisl e uil e dichiara la sua indiscussa disponibilità a trattare con governo Monti e Confindustria.
Questa politica è evidente che non può portare nulla di positivo agli operai, ai lavoratori; è un lamentarsi impotente. E la Fiom ne paga le conseguenze in termini di tenuta di iscritti.
Gli operai, le operaie Fiom si oppongono come possono, come sono stati abituati (male) a questa situazione; sono eroici, soprattutto nelle fabbriche Fiat, a Pomigliano, nella resistenza dignitosa e/o arrabbiata che oppongono al piano apertamente fascista, illegale di Marchionne di tenere fuori tutti i lavoratori iscritti Fiom. Ma non basta: in questa guerra vince il padrone e la Fiom non ha né linea, né pratica, né ideologia, né volontà per affrontare questa guerra e trasformarla in guerra di classe.
La Fiom svolge oggettivamente e soggettivamente una funzione di “diga” al necessario straripare della rabbia operaia.
In questo, come abbiamo detto in altre occasioni, la direzione Fiom è un problema non la soluzione del problema; ed è la prima responsabile di questa fuoriuscita di operai e delegati.
Dall’altro, nella crisi, quando il gioco si fa duro, l’opportunismo sindacale rompe le righe, e i passaggi alla Fim, all’Ilva come alla Sata, sono delle prime avvisaglie di una corsa a destra, alla copertura personale di delegati che si trovano da un giorno all’altro, o possono trovarsi tra un po’, scoperti, senza permessi sindacali (usati e abusati), senza quella tutela sindacale accettata dall’azienda. Improvvisamente di fronte al fatto che dovrebbero fare i delegati veri, portare avanti nei contenuti e nei metodi un sindacalismo di classe a cui non sono certo abituati e che non hanno nelle loro corde, preferiscono “abbandonare la nave con tutto l’equipaggio a bordo”. Denunciano in alcuni casi, a giustificazione, la mancanza di democrazia nell’apparato dirigente Fiom, la burocrazia sindacale, ma anche su questo non sono credibili, nel momento in cui – come il delegato Rizzo dell’Ilva – dicono che questa “democrazia” l’avrebbero trovata nella Fim (!?) e tenuto conto che fino a poco fa facevano parte anche essi di questo apparato burocratico.
Proprio il caso Rizzo rende chiaro che si tratta di una scelta coscientemente a destra. Qualche giorno prima questo delegato aveva fatto incontri con lo Slai cobas per il sindacato di classe, partecipato ad una sua assemblea con operai Ilva per costruire il Cobas all’Ilva, assunto impegni in questo senso davanti a decine e decine di suoi compagni di lavoro che non volevano altro che si organizzasse lo slai cobas in fabbrica e che chiedevano al Rizzo di mettere in questo importante lavoro il suo impegno e la sua esperienza.
Ma Rizzo, proprio quando è nato lo Slai cobas in Ilva e si è aperta la possibilità di ridare il sindacato nelle mani degli operai, ha abbandonato i suoi compagni e se n’è andato alla Fim, rivendicando addirittura questo passaggio come “democratico”, e condendolo di vere e proprie sciocchezze su “fine del comunismo”, critica di “stalinismo” alla Fiom – che se rispetto alla Fiom non ci “azzeccano”, dimostrano solo che il passaggio è effettivamente di destra!
In questa fuoriuscita dalla Fiom, anche i lavoratori che passano ai sindacati padronali non sono “innocenti”. Sono responsabili di staccarsi dalla classe per guardare solo al proprio interesse personale; si vendono per un “piatto di lenticchie” dando credibilità ai nemici degli operai.
Nessuna giustificazione può eliminare questa manifestazione personale di trasformismo e opportunismo.
Questo fenomeno pone una situazione di polarizzazione tra sindacato padronale e sindacato riformista, in cui gli operai, i lavoratori, le lavoratrici, subiscono solo conseguenze negative.
La Fiom di Landini può alzare la voce, fare alte denunce, ma non ha alcuna possibilità di riconquistare posizioni perdute.
Ma questa situazione rappresenta anche una opportunità per la battaglia per il sindacato di classe.
Su questo oggi si devono misurare le forze del sindacalismo di base e di classe che avrebbero oggi un’occasione storica di costruire il sindacato di classe nelle fabbriche, per fare della battaglia dei cobas una battaglia della maggioranza dei lavoratori e del loro cuore, gli operai di fabbrica; un’occasione che è anche un dovere, per impedire il passaggio di fette di lavoratori ai sindacati padronali.
La sapranno cogliere questa opportunità?
Guardando la maggioranza delle forze organizzate del sindacalismo di base diremmo di NO, perché la loro linea, la loro ideologia, la loro prassi non guarda alla maggioranza della classe, non è in sintonia con i fenomeni complessi, contraddittori presenti nelle fabbriche, tende ad auto coltivarsi non a fare una battaglia disinteressata per il sindacato di classe, unendo tutte le spinte dei lavoratori in questo senso da qualsiasi parte vengano e comunque ora siano organizzate.
Diverso è lo Slai cobas per il sindacato di classe che è nato, agisce non per auto conservarsi ma per contribuire alla battaglia per il sindacato di classe nelle mani dei lavoratori.
Oggi la questione Fiom, pone a tutti di lavorare in questo senso.
MC proletari comunisti taranto
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