Fiat, premio da 50 milioni a Marchionne
Per lui meno tasse dei suoi dipendenti
Il Lingotto regala al manager italo-canadese un pacchetto di azioni a titolo di compenso supplementare. Alla somma multimilionaria è applicabile un'imposta massima del 30% prevista a norma di legge per i guadagni dei soggetti residenti all'estero (l'ad risiede infatti in Svizzera). Si tratta di un'aliquota inferiore a quella di migliaia di suoi lavoratori di Vittorio Malagutti
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POMIGLIANO, LETTERA DI UN'OPERAIA: "DISCRIMINATA PERCHE' ISCRITTA ALLA FIOM"
Fiat, la lettera di un’operaia iscritta
alla Fiom: “Per questo resto esclusa”
Mi chiamo Carmen Abbazzia, ho 39 anni, sono/ero, operaia carrellista, reparto logistica della Fiat di Pomigliano. Ho sempre amato il mio lavoro. Era dura, turni massacranti a guidare il carrello elevatore sulla catena di montaggio e caricando e scaricando camion. Sono stata assunta nel 2002 e non ho mai subito un provvedimento disciplinare, ho avuto un solo infortunio: un carrello mobile che mi ha fratturato il naso. La vita era dura anche allora senza un marito e i genitori e tre figli da allevare. I 1.800 euro di straordinari erano una sicurezza che oggi ha lasciato posto all’angoscia di dover sopravvivere con 800 euro di cassa integrazione. Con un affitto di 550 euro, restano 250 euro per campare.
E tutto questo perché sono iscritta alla Fiom e ho votato no al referendum sul nuovo contratto di Pomigliano. Da quel giorno non ho più fatto una sola ora di lavoro. I miei due figli più grandi hanno abbandonato gli studi per contribuire con 20-50 euro a settimana a mettere assieme il pranzo con la cena. I professori della più piccola, che fa la terza media, continuano a chiedermi di comperarle i libri perché le fotocopie non possono bastare. Ma i soldi non li ho. Non posso cercarmi un altro lavoro, perderei la cassa integrazione.
Ma non cederò al ricatto di strappare la tessera perché vorrebbe dire smettere di essere un esempio di dignità e coraggio per i miei figli. Mi batterò come una leonessa perché mia figlia possa continuare ad andare a scuola. Mi sono rivolta all’assistente sociale della fabbrica, l’ho supplicata di far presente alla direzione la mia situazione. Ma niente. Sono tornata e lei, un po’ imbarazzata, mi ha risposto che avevo ragione, ma non si erano presentate occasioni per favorire la soluzione del mio caso. Sconvolta le ho replicato: “Mi prende in giro? Io sono una carrellista e posso garantirle che molti miei colleghi lavorano costantemente, la smetta di raccontarmi balle. È forse la mia iscrizione alla Fiom il problema?”. Lei ci è rimasta di stucco: “Ah. Ecco perché non ho avuto risposte dalla Direzione, lei saprà che questo è un problema”. Ho perso il controllo: “Ma come io vengo per avere aiuto e lei giustifica la discriminazione che l’azienda nei miei confronti, solo perché sono una tesserata Fiom”. Poi battendo i pugni sulla scrivania: “Io da qui non mi muovo, lei mi deve far parlare con il Direttore. Sono sempre stata un’operaia modello veramente e questo lo sapete, ma non mi richiamate perché mi ostino a tenere alta la testa!”. La risposta è stata: “Le prometto che la farò parlare con il direttore”.
Sto ancora aspettando. Sono tornata a casa come se mi avessero infilato una lama di coltello nel cuore e sfinita mi sono buttata sul letto. Per i miei figli sono la colonna portante di una Chiesa che se crolla viene giù tutto. Ma strappare la mia tessera in cambio del lavoro comprometterebbe il futuro dei miei figli come uomini liberi
* operaia in cassintegrazione dello stabilimento Fiat di Pomigliano
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Minacce allo stabilimento Fiat di Melfi
“Ti taglio la testa e la metto in piazza”
Servizio pubblico manda in onda un servizio in cui un operaio dello stabilimento registra il proprio responsabile mentre dice: "Ti ho messo in un posto da mongoloide e ti sei infortunato, sei un uomo di merda"
Ivan, operaio allo stabilimento Fiat di Melfi
Ivan lavora allo stabilimento Fiat di Melfi da 15 anni. Rientrato dopo un infortunio è stato relegato in un box per otto ore al giorno. Quando ha chiesto spiegazioni e una postazione dove poter lavorare, è stato affrontato da un suo superiore con miacce gravissime: “Tu hai una particolare attenzione da parte mia, te lo dico adesso, il capo dell’officina sono io. Chi comanda in questo stabilimento su questo turno, è Tartaglia. Tu per me non sei collocabile. Tu ti siedi là e aspetti che io ti dica cosa devi fare. Punto! Però non ti muovere, fuori dalla pause non ti muovere. Se vuoi uscire fuori a denunciarmi come hai detto in giro, vai a denunciarmi, occhio! Ma occhio veramente! Perché qua ci sono delle regole, ma fuori c’è qualcos’altro”. Ivan lo registra, quello che ascolta è troppo assurdo, nessuno gli crederebbe in mancanza di una prova.
L’operaio racconta: “Ha cominciato a minacciarmi di morte dicendomi che mi tagliava la testa e la metteva in piazza, che se io mi fossi avvicinato a casa sua – e nemmeno so dove abita – che mi avrebbe bruciato vivo“.
“Occhio perché io ti stacco la testa, te la metto nella piazza, te la stacco eh! Non è una minaccia, io ti avviso, informati di quale famiglia sono io! Ti consiglio di informarti perché non faccio minacce se non posso mantenerle. Capito? Se ti vedo girare intorno a casa io ti incendio”. E ancora: “Fai tu, fai tu, tu ti attieni qui dentro a disposizioni aziendali che ti do io, né il responsabile, né il sindacato, né nessun altro”. A questo punto il giornalista di Servizio pubblico Claudio Pappaianni chiama Francesco Tartaglia, gestore operativo Sata Melfi che però nega tutto: “Queste non sono le parole che uso io, quindi non so chi gliele abbia dette, non so che registrazione possa fare questa persona. Potrebbe andare benissimo dai carabinieri così mi denuncia: se io ho detto quelle cose, ne rispondo. Se non le ho dette, risponde lui di calunnia”.
“Mi sto solo lamentando perché non ho ancora una postazione”, prova a ribattere Ivan a Tartaglia che però risponde spiegando il motivo di tanto odio: “Tu non hai una postazione perché sei un uomo di merda, perché ti avevo dato una postazione da mongoloide e ti sei fatto un infortunio. Se hai un po’ di dignità, vergognati da solo, tanto a me non mi fai nessun effetto”. A me gente come te, mi fa schifo”
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dossier Fiom accusa
“Discriminati gli operai iscritti al sindacato”
Il sindacato dei metalmeccanici della Cgil raccoglie in un dossier i comportamenti antisindacali registrati nello stabilimento della Fiat dove oggi è stata presentata la nuova Panda. Le tute blu denunciano casi di mobbing, esclusione dal reintegro dei suoi iscritti, e procedure irregolari su infortuni e turni
Se Marchionne festeggia la nuova Panda, la Fiom attacca con un dossier che snocciola punto per punto i diritti negati ai lavoratori. C’è la storia di un operaio lasciato a casa dal referendum del 22 giugno 2010 e richiamato al lavoro solo dopo aver lasciato la Fiom. Quella di due addetti al montaggio che per il loro rifiuto di cambiare sindacato sono ancora in cassa integrazione. Quella di Francesco V., addetto al montaggio della carrozzeria dell’Alfa 147, con cui il direttore della fabbrica di Pomigliano sarebbe stato ancora più esplicito: “Nella selezione del personale da richiamare in Fabbrica Italia – gli avrebbe detto – non perderemo tempo ad esaminare gli iscritti alla Fiom”.
C’è questo e tanto altro nel report che la Fiom sta realizzando – e che ilfattoquotidiano.it ha potuto leggere in esclusiva – dal titolo “La Fiat e i diritti dei lavoratori: ritornano i fantasmi del passato”. Dodici pagine in cui le tute blu, tutte coperte da anonimato, denunciano l’ “atteggiamento discriminatorio” che la dirigenza di Fiat porterebbe avanti nei confronti dei metalmeccanici della Cgil degli stabilimenti della newco di Pomigliano d’Arco, dove ieri Marchionne ed Elkann hanno presentato alla stampa internazionale la nuova Panda.
Con buona pace della sentenza del Tribunale del Lavoro di Torino dello scorso luglio, che nel ricorso presentato contro l’accordo tra Fiat, Cisl e Uil, ha giudicato ‘antisindacale’ il comportamento dell’azienda automobilistica nei confronti di Fiom. “La verità – dicono gli operai – è che già prima che il Tar ci desse ragione siamo stati tenuti in cassa integrazione e comunque fuori dallo stabilimento. Un’assurdità, se si pensa che è solo grazie alla nostra lotta che l’azienda ha deciso di tenere in vita Pomigliano e di portare qui la produzione della nuova Panda. Eppure, la maggior parte di noi dal giorno del referendum non ha più messo piede in fabbrica e ora, con la newco, le prospettive sono ancora più buie. Ad oggi, su circa 500 richiami per la produzione della nuova Panda non c’è nessuno iscritto alla Fiom. Al lavoro tornano solo i capi squadra, alcuni team leader e gli operai segnalati dall’azienda”.
A regime, gli oltre cinquemila operai della vecchia Fiat dovrebbero passare tutti a Fabbrica Italia, ma per produrre le 230mila Panda annunciate da Marchionne – inizialmente dovevano essere 280mila - potrebbero bastarne la metà. È anche per questo che preoccupano non poco le liste di nomi di cui parla nel dossier un operaio addetto al montaggio della 159: le tute blu sarebbero divise in ‘buoni’ da assumere, e in ‘meno buoni’ e ‘cattivi’ per i quali non ci sarebbe spazio nella newco. Tutti o quasi iscritti alla Fiom, che non a caso negli ultimi mesi ha subito un drastico calo degli iscritti: al momento del referendum a Pomigliano erano 850, oggi a essere ottimisti sono la metà.
“Proprio in queste settimane stiamo ripartendo con il tesseramento per avere un dato chiaro sui nostri operai. Il punto è che molti pur di tornare a lavorare hanno lasciato la Fiom senza neanche dircelo”. E senza poterne neppure discuterne sui social network, come sostiene nel documento un altro operaio: “Fui invitato da un delegato sindacale a non postare, taggare o commentare i post dei delegati della Fiom su Facebook. Perché l’azienda attraverso i capi aveva creato una squadra ad hoc per controllare tutti i delegati della Fiom e i lavoratori che dialogavano con loro. Il tutto per ispezionare e stampare sia le frasi che secondo loro potevano essere lesive alla Fiat, sia per conoscere il pensiero più intimo di quei lavoratori perplessi dalle scelte aziendali. Fu così che notai che ai vari link pubblicati sulle pagine Facebook dai delegati della Fiom, sparirono sia le condivisioni che i commenti. Ma gli operai continuavano a dialogare con loro nelle chat private”. Denunciando, spesso, le condizioni di lavoro cui erano costretti. Lo hanno fatto gli operai del reparto montaggio, che nei giorni più freddi hanno chiesto invano al loro capo che fossero attivati i riscaldamenti nello stabilimento. O ancora i tanti che sostengono che in Fabbrica Italia le richieste di andare al bagno al di fuori dell’orario consentito debbano passare al vaglio del team leader, l’unico che ha le chiavi della porta.
“L’impressione – dice Antonio Di Luca, operaio in cassa integrazione del direttivo Fiom di Napoli – è di essere in presenza di qualcosa di molto preoccupante per il nostro paese, che rischia di incidere direttamente non solo sulla qualità del lavoro in fabbrica, ma sulla società tutta. È il toyotismo che esce dalle mura alte e grigie dello stabilimento e diventa parte della vita quotidiana di tutti. A leggere le denunce degli operai sembra di essere di fronte a una struttura autoritaria aziendale che si organizza, come ai tempi di Valletta, secondo le leggi della discriminazione e secondo la disciplina e i principi della caserma”.
Perché se è vero che gli operai Fiom restano a casa, quelli richiamati al lavoro non se la passano meglio. O almeno così sembra, a leggere la denuncia inviata all’Asl e alla Procura di Nola dal segretario generale della Fiom di Napoli, Andrea Amendola, a proposito dell’infortunio subito in fabbrica da Alessandro T. il 26 settembre scorso: una ferita al viso tanto grave da rendere necessario l’accompagnamento dell’operaio al pronto soccorso di Acerra, ma che non sarebbe stata denunciata come infortunio sul lavoro, né in ospedale né all’Inail. Una storia analoga a quella raccontata nel dossier da un operaio addetto alla manutenzione: “Fummo comandati a lavorare con il preciso ordine di non marcare il badge – dice – nel corso della giornata, mentre eravamo intenti a lavorare, un mio collega fu vittima di un grave incidente che poteva avere anche delle conseguenze drammatiche. Segnalammo velocemente l’accaduto, ma anziché ricevere il giusto e tempestivo soccorso, al collega fu intimato di ‘sparire immediatamente e senza lasciare alcuna traccia della sua presenza in fabbrica’. Il mio collega, spaventato dal dolore lancinante al piede e dalla situazione venutasi a creare, telefonò alla moglie per farsi venire a prendere. Dopo ho saputo che si era recato al pronto soccorso (inventandosi un incidente extralavorativo) per farsi fare una radiografia e sincerarsi sulle condizioni del piede che si era incastrato sotto un trasportatore meccanico”.
Per la Fiom di storie simili in Fiat ce ne sarebbero decine, e non solo a Pomigliano. Da qui l’idea di estendere il dossier a tutti gli altri stabilimenti italiani ed esteri di Fiat. “Cominceremo con l’Italia, ma vogliamo raccogliere anche le testimonianze degli operai polacchi e serbi: dall’estero, infatti, arrivano continue denunce sulle condizioni difficili in cui i nostri colleghi sono costretti a lavorare”.
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