In questi giorni alcuni titoli di quotidiani riportano un aumento
del numero di lavoratrici e lavoratori, anche se subito dopo aggiungono che per
la maggior parte si tratta di lavori quasi tutti precari, ma i titoli sono
costruiti per fare effetto. Un articolo, per così dire controcorrente, lo porta
il quotidiano Italia Oggi in edicola che titola: “Il dato fuorviante dell’occupazione”
e sarebbe meglio dire il dato ingannevole!
Vediamo questi numeri e andiamo un po’ più a fondo al loro
significato: “Il numero degli ‘occupati’ – dice il quotidiano - a marzo 2022 secondo
le rilevazioni dell’Istat è cresciuto ed è tornato sopra quota 23
milioni. Ovviamente è un dato positivo, ma deve essere correttamente
interpretato per non accedere a facili entusiasmi.” E spiega il perché:
1) Il
numero degli occupati, benché in crescita, rimane comunque di poco inferiore
rispetto a quello dei livelli pre-pandemia (gennaio 2020) con 14 mila unità in
meno.
2) Da
un punto di vista statistico ed economico, per convezione internazionale, vengono
considerati “occupati” i soggetti che hanno svolto nella settimana a cui è riferita
l’indagine anche una sola ora di lavoro. Questa definizione è molto
diversa dall’idea che (correttamente e secondo comune buon senso)
abbiamo di una persona occupata.
3) Proprio
tenendo presente la definizione statistica di occupati (basta una sola ora di
lavoro nella settimana) per avere un dato significativo si dovrebbe più
correttamente fare riferimento al “numero delle ore lavorate”.
E inoltre, siccome la produzione non aumenta, cioè: “… ci
troviamo di fronte ad un Pil stagnante” o meglio “… in lieve contrazione
nel primo trimestre 2022 (come sembra orami appurato), appare molto
difficile che possano essere aumentate le ore di lavoro svolte, anche in
presenza di un maggior numero di occupati.”
Ma il quotidiano continua dicendo che nonostante si resta in
attesa di questi dati, cioè del numero di ore lavorate: “… bisogna ricordare
che almeno dal 2013 in poi, anche a fronte di un numero crescente di
occupati, si è registrata una diminuzione delle ore lavorate; questo vuol
dire che ogni occupato, in media, ha lavorato di meno. Questo fenomeno,
(definito tecnicamente lo ‘slack del mercato del lavoro’), è molto negativo e purtroppo
strutturale. Così come sono strutturali e di lungo periodo le altre due
caratteristiche salienti del mercato del lavoro in Italia: la (arcinota) sproporzione
del cuneo fiscale rispetto gli altri paesi europei e la scarsa partecipazione
al mercato del lavoro.” Questa ultima definizione che vuole sostituire la
parola disoccupazione con una frase più “neutrale”!
Per completezza il giornalista aggiunge una “… ultima considerazione.
Il Pil del paese è sostanzialmente pari a quello di 21 anni fa ed è
dunque evidente che mancano le condizioni essenziali affinché l’occupazione
possa crescere in maniera sana, che vorrebbe dire: più ore lavorate,
maggiore produttività, maggiori salari. Pil e occupazione crescono in
parallelo.” Questo non è sempre vero, anzi: la produzione può crescere
anche solo aumentando la cosiddetta produttività e cioè l’intensità con cui i
padroni estraggono più plusvalore allo stesso numero di operai o anche ad un
numero inferiore.
Sembrano cose banali e sotto gli occhi di tutti, ma la
propaganda borghese, con in suoi fiumi di inchiostro e tutti i suoi mezzi a
disposizione, fa di questi “miracoli”!
Il vero “miracolo” in tutto questo è che un numero
relativamente piccolo di operaie e operai, lavoratrici e lavoratori (sempre secondo
l’Istat circa 10 milioni con la qualifica “operaio”) legati alla produzione mantengono
una popolazione di 60 milioni!
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