In questo primo maggio tantissime operaie e tantissimi operai,
lavoratrici e lavoratori non hanno potuto “festeggiare” la giornata perché le
vertenze aperte, spesso da anni, o non trovano soluzione o si stanno chiudendo negativamente
Alla Isab di Priolo di proprietà dei russi di Lukoil, per
esempio, la tensione per migliaia di dipendenti, diretti e dell’indotto, complessivamente
fino a circa 10 mila dice il Sole24Ore, si fa sempre più alta a causa delle sanzioni
economiche messe in atto dal governo italiano.
E il quotidiano dei padroni ci ricorda quanto sia importante
questo settore: “La Raffineria Isab, che Litasco ha acquistato qualche anno fa
dal Gruppo Erg, lavora (oggi) 10,6 milioni di tonnellate (in media) di
greggio raffinato l’anno (il 13,6% del totale nazionale) ma con una
capacità di raffinazione che, secondo i dati registrati dall’Unem, raggiunge i
19,4 milioni di tonnellate di greggio l’anno pari a poco più del 22,2% del
totale del nazionale.”
E il problema principale adesso nasce dal fatto che “Fino a qualche mese fa Isab acquistava dalla Russia in media il 40% di petrolio, ora invece la totalità del greggio lavorato arriva dalla Russia e in
particolare dai pozzi controllati da Lukoil: le banche non concedono più il credito necessario né le garanzie per acquistare il petrolio fuori dalla Russia e quindi è arrivato il soccorso di Lukoil: ‘Prendiamo il greggio da Lukoil – dice Claudio Geraci, vicedirettore generale di Isab – perché è l’unica società che ci fa credito’. Ecco perché eventuali sanzioni indiscriminate al petrolio russo avrebbero un effetto solo: la chiusura della raffineria e il licenziamento dei lavoratori.”“’Ma facciamo attenzione – dice Mimmo Tringali,
amministratore dei Cantieri Tringali di Augusta – la chiusura della
Raffineria Isab manderebbe a gambe all’aria l’intera area industriale perché
qui tutto si tiene. Per quanto riguarda il solo cluster marittimo sono
in bilico almeno mille posti di lavoro e un giro d’affari di un miliardo con
centinaia di aziende interessate’. Sarebbe la fine, per dire, per il Porto
di Augusta che ‘movimenta ogni anno 38 milioni di tonnellate di merci in cui i
prodotti Isab hanno un peso determinante: su 2600 approdi in un anno sono
almeno 500 quelli Isab’.”
Adesso sono a rischio “… circa diecimila posti di lavoro
di un’area industriale che vale il 51% del Pil della provincia di Siracusa.
‘La classe politica farebbe bene a occuparsi di questo tema e con urgenza
perché qui rischia di scoppiare una bomba sociale senza precedenti’. Perché,
tra l’altro, c’è anche un problema immediato che non si riesce a risolvere: le
banche non concedono più anticipi sulle fatture Isab e dunque le imprese sono
costrette ad aspettare 90 giorni per poter essere pagate per i lavori fatti o
per le forniture: ‘Tutto ciò – dice Giovanni Musso, amministratore delegato
della Irem e presidente della sezione metalmeccanici e installatori di
Confindustria Siracusa – sta creando non pochi disagi anche perché non riguarda
il merito creditizio. In queste condizioni il futuro appare veramente
disastroso: a Roma devono capire che qui non si può perdere tempo anche su un
altro fronte: quello degli investimenti per la transizione ecologica che
escludono le raffinerie’.”
“E la decisione della società di non pubblicare i risultati finanziari al primo trimestre getta ancora più ombre” dice il GdS del 30 aprile.
Ciò aggrava e di molto la crisi preesistente legata innanzi
tutto alla “transizione ecologica”, appunto, degli stabilimenti di raffinazione
(che prevede a sua volta una bonifica di tutta l’area inquinata che di fatto non
è mai cominciata e che potrebbe a sua volta impiegare centinaia di operai), alla
pandemia con i suoi effetti della crisi energetica…
I sindaci dei comuni che racchiudono la grande zona
industriale petrolchimica, sempre preoccupati di perdere consensi e introiti, vista
probabilmente anche l’assoluta inconsistenza dei sindacati confederali (che
denunciano come pappagalli quello che gli altri hanno già detto e ripetuto
senza mai mettere in campo azioni di lotta vere e determinanti), denunciano
anche loro: il sindaco di Priolo, per esempio, “ha scritto al presidente del
consiglio, Mario Draghi, per chiedere la nomina di un commissario straordinario
al posto dell’attuale governance locale di Lukoil e l’attivazione di ‘tutti gli
strumenti finanziari disponibili o realizzabili mediante scostamenti di
bilancio e attraverso l’utilizzo in via ordinaria o straordinario delle risorse
finanziere prevista nell’abito del Pnrr.’”
Una serie di richieste che non possono che cadere nel vuoto
visto che è anche il governo italiano che insiste sulle sanzioni alla
Russia. Così come non trova ascolto l’ipotesi ventilata da qualcuno della “statalizzazione”,
perché, dice il Sole24Ore, l’area è “…considerata asset energetico
fondamentale: lo Stato, secondo questo ragionamento eserciterebbe il Golden
power e potrebbe rimettere sul mercato l’impianto tra un paio d’anni o anche
dopo. Ragionamenti in un territorio che non sa più a che santo votarsi e che si
prepara ad affrontare il peggio.”
Ma il governo Draghi si è buttato a capofitto nella guerra,
i cui effetti si stanno scaricando ogni giorno di più sulla pelle degli operai che
devono impugnare la lotta prima possibile, devono liberarsi dei sindacati confederali,
cercare l’unità con altri settori operai, per fermare non solo queste nefaste
conseguenze della guerra ma anche la guerra stessa.
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