estratti dal resoconto di contropiano
Pare essere riuscita oltre le aspettative la manifestazione “La Pace proibita” messa in piedi lunedi sera a Roma da Michele Santoro e Vauro Senesi. Non solo c’era il pienone nella sala del Teatro Ghione ma ci sono state migliaia e migliaia di persone hanno seguito l’iniziativa sui mass media che si sono resi disponibili
Coordinati da un Michele Santoro che ha ritrovato la grinta degli anni migliori, sul palco e in alcuni video si sono alternate personalità della cultura, del giornalismo e dello spettacolo che hanno deciso di opporsi e spezzare la irricevibile ipocrisia del fronte guerrafondaio (maggioritario in Parlamento ma minoritario nel paese) che sta facendo di tutto per costruire consenso intorno al trascinamento dell’Italia nella guerra in Ucraina di Usa e Nato contro la Russia.
Una operazione di consenso alla guerra però niente affatto riuscita – diversamente che nella guerra in Jugoslavia nel 1999 – e contro la quale mano a mano un “campo” si sta dando strumenti di espressione
e di rappresentanza a fronte della blindatura imposta dalla Nato, dal governo Draghi e da un parlamento servile.L’immagine della guerra “giusta”, ma anche dell’Ucraina sdoganata come paese “libero e democratico” mentre così non è affatto, è uscita demolita nelle tre ore di interventi dal palco. Emblematica la scelta di ricordare la strage di Odessa e la crescita di un bubbone neonazista in paese che vuole entrare nella Ue.
Le parole di Gino Strada lette da Elio Germano e le valutazioni illuminanti del gen. Mini (al quale ha prestato la voce Massimo Wertmuller), hanno aperto una serata nella quale state declinate in modi anche diversi le ragioni per opporsi ad una guerra che rischia di diventare permanente, devastante, totale per gran parte del mondo, o meglio, sicuramente per quella parte di mondo – l’Europa – nella quale viviamo e agiamo politicamente.
Abbiamo avuto occasione di apprezzare ancora una volta la schiettezza piena di contenuti di Moni Ovadia e, nuovamente, le parole di Vian nella canzone “Il disertore” affidate a Fiorella Mannoia o le illuminanti storie orali di Ascanio Celestini.
Ma dobbiamo ammettere che l’intervento che meglio di altri ha colto il senso della battaglia “sulle parole della guerra” che si conduce sul fronte mediatico è stata Sabina Guzzanti che ha decostruito in modo magistrale la “propaganda”. Conosce l’argomento, il mestiere e i suoi retroscena e ne ha pagato anche il prezzo, come molti degli ospiti del Teatro Ghione.
Una buco che ci sentiamo di sottolineare è che Santoro ha segnalato un po’ troppo frettolosamente la vicenda di Julian Assange, che nel contesto avrebbe meritato più spazio, così come i portuali di Genova ai quali è stato riservato solo un meritato saluto dal pubblico ma che avrebbe avuto più senso far parlare dal palco per quello che rappresentano come indicazione al paese.
Ma, come direbbe Mao, quando gli elementi positivi sono superiori a quelli negativi occorre saper apprezzare il risultato finale e le sue potenzialità.
Il campo contro la guerra ha preso parola in un contesto di ferro e di fuoco, di demonizzazione delle voci di dissenso e di “ferocizzazione” del dibattito pubblico. L’ampiezza del campo è emersa, ed è un campo sociale che non dispone di rappresentanza. Non ne dispone in un Parlamento vergognosamente appiattito sul governo Draghi e l’interventismo guerrafondaio ed ha la potenzialità per crescere ed aumentare la sua influenza sulla società.....
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