giovedì 21 marzo 2019

pc 21 marzo - Disegno di legge delega sul lavoro - il rischio è una “deriva ungherese” -

Stralci
di VALERIO DI STEFANO
"...è passata del tutto inosservata una decisione del Consiglio dei ministri del 28 febbraio scorso. Il governo, si legge nel comunicato stampa, ha approvato un disegno di legge delega che autorizzerebbe a riformare il mercato del lavoro con il fine di “creare un sistema organico di disposizioni in materia e di rendere più chiari i principi regolatori delle disposizioni già vigenti” e introdurre “un complesso armonico di previsioni di semplice applicazione, a tutela dei diritti dei lavoratori e dei datori di lavoro”.
Chi si chiedesse come pensa, il governo, di mettere in pratica questa impresa titanica troverebbe risposta nello stesso comunicato stampa: “si eliminano i livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti per l’adeguamento alla normativa europea”. Una frase messa alla fine di una lista di provvedimenti sul mercato del lavoro scritti in “burocratese”, per nascondere la portata
enorme di una misura che ridurrebbe le protezioni legali dei lavoratori italiani a quelli dei Paesi in via di sviluppo.
Eliminare ogni disposizione che superi il minimo imposto dal diritto Ue significherebbe infatti
regredire al diritto del lavoro degli anni Cinquanta, se non prima. Il diritto del lavoro Ue si limita a fissare minimi di trattamento che poi gli Stati più avanzati spesso modificano, aumentandoli. Ad esempio, la direttiva Ue sulla protezione delle lavoratrici madri prevede un congedo di maternità minimo di 3 mesi e un congedo obbligatorio di 2 settimane. La legislazione italiana prevede che il congedo obbligatorio sia di 5 mesi. Se il governo decidesse di “pareggiare” il diritto italiano con quello Ue, le lavoratrici italiane si vedrebbero ridotte le tutele in caso di maternità in maniera drastica.
Il diritto Ue, inoltre, non riguarda tutto il diritto del lavoro ma solo una sua parte. Questo significa che, nelle materie non regolate dall’Unione europea, il governo avrebbe mano libera nell’azzerare i livelli di tutela. Tanto per fare degli esempi, il governo potrebbe ridurre al minimo la tutela contro i licenziamenti individuali, le disposizioni sul demansionamento o la disciplina del Tfr, sulle quali la Ue non interviene se non in minima parte. E non sarebbe solo il diritto individuale del lavoro ad essere colpito, ma anche il diritto sindacale, posto che l’Ue molto raramente si occupa dei diritti collettivi dei lavoratori.
Una legislazione del lavoro che si limiti ai minimi Ue non esiste da nessuna parte in Europa, se non, forse, nei Paesi del Centro-Est europeo. Questa “deriva ungherese” del diritto del lavoro avrebbe effetti disastrosi non solo per i lavoratori ma anche per la società in generale. Metterebbe le nostre imprese in condizione di competere con l’estero non in funzione della maggiore produttività e dell’innovazione, ma semplicemente tramite l’abbattimento artificiale delle condizioni di lavoro e dei salari, che verrebbero colpiti dall’abbattimento delle tutele sindacali sui luoghi di lavoro e dal conseguente “azzoppamento” della contrattazione collettiva.
La “deriva ungherese”, ovviamente, sarebbe anche incostituzionale. I giudici ordinari e la Corte costituzionale hanno da lungo tempo interpretato la Carta come fonte e garanzia di tutele sui rapporti individuali e collettivi di lavoro che vanno ben al di là del diritto Ue, basti pensare alla giurisprudenza sulla “giusta retribuzione” ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione. La Carta, inoltre, tutela il diritto di sciopero in misura molto maggiore di quanto non faccia il diritto Ue.
Esistono poi obblighi internazionali, che l’Italia ha assunto liberamente, e che vincolano costituzionalmente il nostro legislatore ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione. Si tratta di obblighi che vanno ben al di là delle tutele minime Ue.
Basti pensare alle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro ratificate dall’Italia, che impongono, ad esempio, di tutelare la libertà sindacale e il diritto alla contrattazione collettiva, di vietare il lavoro minorile, di prevedere congedi obbligatori di maternità più lunghi di quelli del diritto Ue e di proteggere il lavoro domestico.
Sembra quasi che il governo non sia consapevole che i livelli di protezione che il legislatore italiano deve obbligatoriamente rispettare vadano ben oltre i minimi del diritto europeo. E, a questo proposito, è bene ricordare che il diritto “europeo” del lavoro non si ferma alla Ue. Le tutele giuslavoristiche sono garantite anche da strumenti come la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Carta sociale europea che appartengono al sistema del Consiglio d’Europa, che con la Ue non c’entra. Proprio di recente, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali parte delle disposizioni sul licenziamento introdotte dal Jobs Act anche riferendosi alla Carta sociale europea.
Vista la scarsa consapevolezza che il governo ha dimostrato ignorando i vincoli costituzionali e internazionali minimi a tutela del lavoro, la probabilità che riferendosi alla “normativa europea” abbia considerato gli obblighi derivanti da queste fonti europee estranee al diritto Ue è minima.
Insomma, nel silenzio assoluto dei peraltro loquacissimi esponenti di governo e maggioranza, quella che viene preparata è una vera “stangata” alle persone che lavorano..."

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