lunedì 18 febbraio 2019

pc 18 febbraio - Pastori NO all'accordo... Ma è sempre necessaria analisi di classe - un intervento

Pastori, è l’ora della scelta fra lotta e accordo fasullo!
Ai pastori sardi il pacco è quasi servito. L’accordo fasullo raggiunto finora al tavolo industriali-pastori sul prezzo del latte è una truffa ai danni dei pastori ordita da governo nazionale […]

Ai pastori sardi il pacco è quasi servito. L’accordo fasullo raggiunto finora al tavolo industriali-pastori sul prezzo del latte è una truffa ai danni dei pastori ordita da governo nazionale e rappresentanti di industriali e allevatori.

L’accordo prevede 72 centesimi, Iva compresa, al litro come acconto per il conferimento del prodotto e un saldo ancorato a una griglia che, considerando interventi di Regione e Stato, dovrebbe far sollevare il prezzo vicino a quello richiesto dai pastori, un euro.

Questo accordo-truffa non è ciò che chiedono i pastori (1 € al litro più Iva, subito!) e, per chi ha memoria (e siamo sicuri che i pastori ce l’hanno), ricorda una situazione già vista. Nell’autunno 2010 i pastori sardi erano scesi in strada esattamente per le stesse ragioni di questi giorni: ridotti alla fame dal prezzo di 60 centesimi al litro, chiedevano l’aumento a 1,00 euro al litro. Dopo giorni di manifestazioni, proteste, sversamenti di latte per strada e scontri con poliziotti e carabinieri che sparavano lacrimogeni ad altezza d’uomo (allora non erano vicine le elezioni regionali!), fu raggiunto il seguente accordo: per il prezzo del latte una soglia minima di 0,75 €/litro che poteva salire fino a 0,85 € se il latte veniva commercializzato in forma associata (ma non erano le aziende di trasformazione ad aprire il portafogli, doveva essere la Regione a corrispondere alle industrie incentivi per almeno 10 milioni di euro!); aiuti diretti pari a 3.000 euro per azienda, mentre gli allevatori chiedevano il massimo concesso dall’Ue, cioè 15.000 euro. Le illusioni sulla possibile fine degli effetti della crisi furono presto smentite. L’accordo fu subito rimangiato da un disegno di legge regionale sull’Agricoltura, che ne sviliva i contenuti e assegnava al comparto ovino meno soldi di quelli prima promessi. Nei fatti i pastori si accorsero che i capitalisti industriali e i loro rappresentanti politici e sindacali li avevano raggirati. Non a caso questa volta hanno ricusato il Movimento pastori sardi quale loro rappresentante (come lo era stato nel 2010).

Dopo nove anni i pastori sono stati costretti a nuove azioni eclatanti per farsi vedere e ascoltare, per attirare l’attenzione mediatica sui loro redditi da fame. In nove anni non è cambiato niente nella formazione del prezzo del latte ovino alla stalla. I pastori sardi sono scesi in strada contro gli industriali, che costituiscono, nella cosiddetta filiera del latte, il loro nemico più vicino. Ma il prezzo del latte ovino alla stalla lo formano il capitale industriale, cioè i trasformatori del latte in formaggi, e il capitale commerciale, in sostanza la grande distribuzione organizzata (gdo), che vende i formaggi da esso derivati (Pecorino romano Dop, Pecorino sardo Dop e altri), in Italia e all’estero, nelle sedi di acquisto di massa, i grandi centri commerciali.

Sulla base della quota di profitto che trattiene per sé, il capitale commerciale, forte del suo peso sul mercato, impone o concorda, in base ai rapporti di forza, il prezzo di acquisto del prodotto finito (i formaggi) al capitale industriale. Il capitale industriale, dal prezzo di vendita alla gdo che spunta, detrae la quota di profitto per sé, il resto (pochi centesimi) lo lascia ai pastori, imponendo di fatto un prezzo da fame. Questo è il prezzo attualmente pagato per il latte ovino alla stalla in Sardegna e Sicilia, 60 o poco più miserabili centesimi al litro. La comprensione di come si forma il prezzo è utile per capire che anche questa volta le promesse si riveleranno illusioni.

Il prezzo pagato ai pastori è quindi lo stesso da anni. A seconda della congiuntura economica tale prezzo è oscillato, ma di poco.

Nella fase espansiva del ciclo economico il mercato tira, i consumi crescono, i prezzi al consumo si mantengono stabili a un livello medio-alto o salgono, anche ai pastori toccano alcune briciole, cioè qualche centesimo in più.

Invece nella fase recessiva del ciclo economico, di fronte alla grande quantità di merce prodotta per massimizzare il profitto, il mercato è saturo, i consumi non si espandono: la grande distribuzione spinge in basso i prezzi al consumo per stimolare gli acquisti e taglia i prezzi pagati ai trasformatori industriali che a loro volta scaricano la diminuzione del prezzo sui pastori, erodendo i pochi centesimi in più prima concessi. Ma è tutto inutile. Sul mercato si forma un eccesso di prodotto rispetto alla domanda. I distributori commerciali accusano gli industriali di aver prodotto solo o soprattutto Pecorino Dop. Gli industriali accusano i distributori commerciali di non aver saputo affrontare i mercati. I sindacalisti agricoli ripetono agli uni e agli altri le stesse accuse. Alla fine distributori commerciali e industriali se la cavano, perché riescono sempre ad appropriarsi di una buona quota di profitto, i sindacalisti non perdono il loro lauto stipendio. Invece i pastori vengono ridotti alla fame.

Nel capitalismo poco sviluppato che ha dominato in Sardegna e Sicilia fino a non molti decenni fa i pastori costituivano una classe quasi benestante, di piccoli padroncini proprietari di un gregge, una stalla, una masseria, un pascolo. Una classe superiore a quella dei contadini poveri e senza terra o con poca terra, ancora più elevata rispetto a quella dei braccianti, i manovali della terra a giornata. Essi trasformavano direttamente il latte oppure lo piazzavano presso trasformatori artigianali che riconoscevano loro un prezzo adeguato.

L’irruzione sul mercato prima degli industriali trasformatori professionali e poi dei grandi distributori commerciali ha introdotto nuovi rapporti di produzione e cambiato i rapporti di forza fra le classi. E ciò non solo in Sardegna, ma anche altrove in Italia, come ha dimostrato la solidarietà dei pastori dalla Sicilia alle Marche.

I pastori stessi non sono tutti uguali, fra essi ci sono quelli ricchi, che assumono salariati e offrono molto latte e riescono a strappare condizioni migliori, e quelli poveri. Sono questi ultimi, le centinaia e migliaia di piccoli pastori (che non assumono forza lavoro salariata, ma lavorano direttamente in azienda con la propria famiglia), che si sono imposti alla ribalta nazionale buttando il latte piuttosto che svenderlo. A questi pastori non può non andare l’appoggio degli operai coscienti.

L.R.

Nessun commento:

Posta un commento