Non
ci sarà nessuno sgombero: alla fine la sentenza della Cassazione in
merito al paventato sgombero del Tempo Rosso è stata storica, non solo
per noi. Una sentenza che a chiare lettere riconosce la leggittimità
costruita in 20 anni di lotte a difesa del territorio da speculazione e
devastazione. Al di là della gioia con la quale apprendiamo che la
vicenda dello sgombero, cominciata a inizio 2018, si è conclusa nel
migliore dei modi, ci preme in ogni caso rilasciare alcuni nostri punti
di vista in merito a
quella che è stata la campagna #temporossononsitocca, a difesa del nostro spazio.
quella che è stata la campagna #temporossononsitocca, a difesa del nostro spazio.
Premettiamo
subito che nella nostra comunità c’era grande attesa per questa
sentenza e che tutte e tutti, nessun escluso, eravamo pronti anche in
caso di sentenza con esito negativo a prepararci a una ulteriore fase di
conflitti proprio per difendere la struttura e non abbandonarla. Tempo
Rosso è il frutto e la risorsa di una comunità libera, solidale e
conflittuale che in nessun caso avrebbe fatto un passo indietro sulle
conquiste di questi anni, a cominciare proprio dalla struttura che
ospita il centro sociale.
Ci preme in ogni caso sottolineare che la vittoria riportata in Cassazione è di portata storica e non solo per la nostra esperienza, ma in generale per quanti ad oggi in Italia si ritrovano nelle stesse nostre condizioni, sotto attacco di istituzioni e poteri forti. La notizia infatti ha da subito fatto il giro del paese grazie a una diffusione capillare su tutti i mezzi di comunicazione, dai siti, ai quotidiani, dalla tv alle radio, il tutto partito da un paesino di poche anime ai piedi dell’appennino campano. In tanti si sono cimentati in dichiarazioni (molti dei quali è doveroso precisarlo davvero non hanno capito nulla della sentenza della Cassazione, a cominciare dalla onorevole Meloni), articoli, tweet, stati sui social. Per noi tutto questo è motivo di grande orgoglio: se ci guardiamo alle spalle, se guardiamo a 20 anni fa, vediamo un gruppo di ragazzi in un piccolissimo paese dell’entroterra casertano, occupare senza alcuna esperienza uno stabile abbandonato per restituirlo alla fruizione sociale, qui in una provincia desertificata, un luogo da dove di solito si scappa perchè non c’è nulla. E in questi anni abbiamo costruito percorsi comunitari e ribelli, difeso le nostre terre dagli attacchi degli speculatori, assediato comuni e bloccato autostrade, abbiamo portato la conflittualità sociale per l’emancipazione e il riscatto delle classi subalterne li dove da sempre regnava la pacificazione e l’omertà. Scelte che in tanti abbiamo pagato sulla pelle con emarginazione, licenziamenti, minacce, ma non abbiamo mai fatto un passo indietro, non abbiamo mai gettato la spugna. Oggi quella comunità è una comunità viva, libera, quel pugno di ragazzi è diventato moltitudine, anche l’avvocato che ci ha con grande professionalità e intelligenza difesi, Giovanni Merola, non è un professionista preso nel mucchio, non lo è, il nostro avvocato è uno degli occupanti della struttura: la nostra leggittimità l’abbiamo costruita quotidianamente con le lotte versando un grande tributo in termini di tranquillità, processi, denunce, repressione, ma non ci siamo mai fermati.
Oggi ci ritroviamo a commentare quella che è unanimamente riconosciuta come una sentenza storica per tutta la galassia che molte volte con superficialità viene etichettata con il termine “centri sociali” e cioè per tutte quelle esperienze libere, autonome e autogestite che da inizio anni ’90 in Italia giocano un ruolo importante nella costruzione della conflittualità sociale e dell’emancipazione delle classi subalterne. Non siamo stati certo i primi a far nascere un Centro Sociale, ma ci conosciamo e riconosciamo nelle storie e nelle lotte di chi ha cominciato questo percorso tanti anni fa, come i nostri fratelli di Segnali di Accelerazione ad Acerra, una delle prime occupazioni in Italia. Riteniamo che la vicenda Tempo Rosso sia un punto di arrivo non solo limitatamente alla nostra esperienza, ma in termini più generali per quanto è cominciato oltre 30 anni fa con le prime occupazioni. La leggittimità dei nostri percorsi, che mai coincide con la legalità che è esclusivo strumento di controllo e dominio, spalanca le porte a una nuova fase di assalto, la sentenza della Cassazione non ci fa dormire sonni tranquilli, anzi ci offre ancora di più la spinta per continuare nella costruzione di quella che da anni definiamo la Zona Ribelle. Non solo. Se guardiamo al panorama politico nazionale, il nuovo governo Pentastellato sta mettendo in campo politiche securitarie e cultura razzista, a mezzo dei latrati quotidiani del ministro dell’Interno Salvini, che non perde occasione per attaccare gli oppressi, i subalterni, i migranti, gli ingovernabili. La sentenza della Cassazione ci da la spinta per cominciare a costruire senza timori anche la risposta a questo governo.
La Cassazione ci riconosce una sorta di “utilità sociale”, ci preme però dare la nostra traduzione di “utilità sociale” che non è fatta per nulla di civismo e buonismo, anzi se in questi anni siamo stati davvero utili a qualcosa e a qualcuno, lo siamo stati nella misura in cui ci siamo posti come argine ai progetti di devastazione, quando ci siamo scontrati a testa bassa contro quelli che a loro volta ci venivano presentati come progetti di “utilità sociale”, allora abbiamo deciso che bisognava tracciare dal basso e in autonomia i percorsi che indicavano quali davvero erano i bisogni delle comunità in cui viviamo: non ci serviva in ogni caso il “placet” dei giudici dello Stato italiano per essere consci di quali strade seguire con i nostri passi. Nè dall’altro lato ci siamo mai preoccupati di rendere compatibile, dal punto di vista istituzionale e legalitario, la nostra esistenza impelagandoci in discorsi sul neomunicipalismo e i beni comuni: quello che abbiamo è quello che ci siamo presi e quello che ci siamo presi in questi 20 anni è solo una piccola parte di quello di cui abbiamo bisogno, quindi non è il tempo di cantare vittoria, anzi è il tempo di ripartire all’assalto.
In questi 20 anni quel pugno di ragazzi è cresciuto in età, in numero, in bisogni e seppur la tranquillità di questa vittoria ci accarezza, sappiamo che ancora più importante è la libertà. E l’essere liberi qui ed ora non passa esclusivamente attraverso uno spazio sociale, oggi la nostra libertà passa attraverso la bonifica dei territori inquinati, cure gratuite e specifiche per le vittime del biocidio, case per chi non le ha, reddito incondizionato per tutte e tutti slegato dalla schiavitù del lavoro salariato, lotta alla corruzione e alle clientele che tolgono a tutti per dare a pochi, accoglienza per chi scappa da guerre e fame, accoglienza per chi gira il mondo rompendo i confini, perchè il mondo è la nostra casa. Chi pensa che la vittoria in Cassazione possa essere oggi una via che possa portarci alla pacificazione si sbaglia di grosso, anzi la vittoria di oggi ci da una consapevolezza: quella di continuare ad osare, osare sempre, osare per vincere e oggi non ci servono solo 4 mura dove poter sperimentare, ci servono i soldi, le case, ci serve rispedire a casa questo governo fascista e razzista e la lotta per il soddisfacimento di questi bisogni la facciamo partire di nuovo da qui, senza paure, da un paesino di cinquemila anime abbandonato nel nulla della provincia di Caserta.
Dalla provincia morta, vita in movimento!
Le compagne e i compagni del Tempo Rosso e tutta la comunità ribelle dell’Agro Caleno
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