Quando
arriviamo a Caserta, in Piazza Garibaldi il presidio non è ancora
imbastito. Un gruppo di poliziotti si posizione all'uscita della
stazione centrale, uno di loro vede arrivarci, si sistema il cappello e
la cintola e ci chiede i documenti, mentre quattro digossini in polo e
tracolla fotografano con prontezza di riflessi chi si avvicina, chi dà
una mano a mantenere lo striscione, a distribuire bottigliette d'acqua.
C'è
stato un momento, a interventi avviati, di lieve tensione, quando un
paio di loro hanno tentato invano di identificare qualcuno tra i
partecipanti, un lavoratore, un bracciante, mentre un militante del Si
Cobas ricordava dal megafono che lo sfruttamento, la schiavitù del
caporalato non solo sono congeniali a questo sistema ecomico-politico,
ma si alimentano, come sempre si sono alimentati, dei flussi migratori,
della disperazione di chi ha dovuto lasciare tutto per assecondare la
necessità di avere qualcosa. I compagni cominciano a raccogliersi
intorno allo striscione di apertura: "Bossi, Fini,
Salvini: noi lavoratori clandestini, voi padroni assassini".
Salvini: noi lavoratori clandestini, voi padroni assassini".
Così
il corteo sceglie di fermarsi e di dare seguito alla rabbia sentita da
tutti e tutte i presenti, di scagliare parole piene di rivalsa e di
dignità contro chi lucra – economicamente e politicamente – in questa
terribile situazione. Dai tempi di Di Vittorio e di Placido Rizzotto la
condizione dei lavoratori poco è cambiata: la grande distribuzione
mostra ancora la sua anima padronale, questa si alimenta della logica
inumana del caporalato e ancora una volta si fa discorso di stato,
trovando nel razzismo la leva retorica per istituzionalizzarsi. Sono le
11.30 e i primi a intervenire sono stati proprio i lavoratori dei campi.
Ibra ha preso subito la parola, lavora per il sindacato, denuncia
l'ipocrisia di chi crede, o fa finta di credere, che la soluzione per
far cessare questa guerra continua e infame ai poveri sia soltanto da
ricercare nell'inasprimento delle pene, nell'aumento delle unità degli
uomini delle forze dell'ordine sul territorio. Accanto a Ibra c'è Marì,
in piazza con il figlio nato da pochi mesi. Ci parla in inglese,
preferisce, ma conosce l'italiano, sebbene quello turpe e arrogante dei
suoi sfruttatori e della polizia. Lei è in Italia da anni ormai. Né lei,
né il figlio possono essere italiani, non hanno documenti, e ci
racconta del suo calvario, della difficoltà di andare in ospedale, di
trovare un impiego, di programmare un minimo di futuro. Iamin è invece
più vecchio, prende il megafono e ci dice che è a Castel Volturno da
venti anni, bloccato, che ne ha viste tante, che la violenza non si è
mai affievolita, che gli uomini continuano a morire raccogliendo
pomodori, le donne a essere schiave della prostituzione. Accanto a loro
ci sono i licenziati della fu FIAT di Pomigliano, gli esodati di
Marchionne, l'incensato manager che ha salvato l'azienda diminuendo
drasticamente l'occupazione, spostando la produzione, i capitali, la
ricchezza.
Il messaggio che lega
gli sfruttati tra loro e che salda questo legame contro chi li sfrutta è
chiaro: se l'unica ricchezza concepibile da parte di un lavoratore,
lungo la catena di montaggio, nei campi di pomodori o nei capannoni e
sulle strade del sistema della logistica, è quella che deriva della
riappropriazione del frutto del proprio lavoro, allora l'unica lotta che
dobbiamo organizzare è quella che dai cortei e dai presidi si volge
all'esautorazione dei padroni, all'appropriazione della ricchezza
prodotta dalla cooperazione sociale.
Nei
prossimi giorni cercheremo di aprire uno squarcio sulla realtà dei
fatti, di lavorare a un reportage che descriva la diversa e tragica
articolazione che le forme di sfruttamento capitalistico hanno assunto
nel recente periodo in provincia di Caserta, e che si affiancano a una
situazione cronica di abusi e di devastazione dei territori, di gestione
camorristica dei flussi di denaro. Dobbiamo rispondere all'emergenza
che questa stagione sta portando con sé con rinnovata consapevolezza,
con strumenti di conoscenza ancor più radicali, per riorientare il modo
di intervenire su questi territori, per far cessare questa strage
silenziosa, per smettere di contare i morti tra le fila dei dannati
della terra, per smettere di contare i morti tra le nostre fila.
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