rivincita sui “papaveri”
del Viminale
La cassazione
corregge la sentenza che il 5 luglio ha condannato 25 poliziotti per
la sanguinosa irruzione alla scuola del G8 di Genova. Per l'ex capo
dei "celerini" romani una sorta di rivincita verso gli alti
gradi della polizia che in questi anni hanno cercato di addossare
tutte le colpe a lui e ai suoi uomini
Per molti anni è
stato il “cattivo”
della Diaz, il poliziotto che al processo di primo grado, nel 2008,
prese la pena più alta: 4 anni per falso,
calunnia,
lesioni
gravi.
Nel frattempo ha rimediato anche una condanna pare aver spruzzato
spray
al peperoncino
in faccia a un avvocato, durante le manifestazioni del G8
di Genova.
Oggi Vincenzo
Canterini,
all’epoca del G8 comandante del Reparto
mobile di Roma,
si vede ricalcolare la pena al ribasso dalla Corte
di Cassazione:
tre anni e tre mesi, perché il reato di lesioni gravi è prescritto.
Una
condanna più lieve rispetto agli
alti dirigenti
di pubblica sicurezza condannati con sentenza definitiva dalla V
sezione penale il 5 luglio 2012: il capo della Direzione centrale
anticrimine Franco
Gratteri e
il dirigente dell’Aisi Giovanni
Luperi
sono stati condannati a 4 anni per falso aggravato, il capo dello Sco
Gilberto
Caldarozzi a
3 anni, per lo stesso reato.
Tutti immediatamente rimossi dal ministro dell’Interno Anna
Maria Cancellieri
data l’interdizione dei pubblici uffici prevista dalla sentenza,
mentre Canterini era già in pensione.
Per il capo dei
“celerini” romani, nei quali era inquadrato il VII
nucleo sperimentale
protagonista della sanguinosa irruzione conclusa con 60
feriti
tra i 93
arrestati,
la Corte ha corretto un errore contenuto nella sentenza del 5
luglio: poiché per il reato di lesioni personali gravi “la
pena è stata dai giudici territoriali determinata in continuazione
con il più grave reato di falso aggravato, in mesi 21 di reclusione
– scrivono i giudici – tale aumento deve essere eliminato dalla
pena complessiva di anni cinque di reclusione inflitti al Canterini,
residuando così a suo carico la pena di anni tre e mesi tre di
reclusione”. La condanna è coperta da indulto,
come per tutti i 25 poliziotti colpiti dalla sentenza definitiva.
Il ricalcolo diventa
anche una sorta di nemesi. Durante il processo Diaz celebrato a
Genova è emersa una frattura tra le difese degli alti dirigenti
della polizia investigativa e i “celerini” seduti sullo stesso
banco degli imputati. Con la tendenza, da parte dei primi, di
addossare tutte le colpe sui secondi. Immagini e le testimonianze,
però, hanno dimostrato che ad abbandonarsi a pestaggi indiscriminati
non furono sono gli uomini del VII Nucleo, ma anche personale che non
faceva parte dei reparti antisommossa, cioè uomini di Squadre
mobili, Sco, Digos…
Opposta anche la
strategia processuale: Canterini ha reso la sua deposizione davanti
ai giudici genovesi, e così il suo vice Michelangelo
Fournier,
comandante del VII, al quale si deve fra l’altro l’ammissione
sulla “macelleria
messicana”
in cui la scuola Diaz si trasformò per una manciata di minuti la
notte del 21 luglio 2011. Gratteri, Luperi, Caldarozzi e molti altri
colleghi hanno scelto invece di avvalersi della facoltà di non
rispondere.
Infine resta agli
atti (dell’inchiesta, ma non del processo) la testimonianza del
prefetto Arnaldo
La Barbera,
spedito a Genova direttamente dal capo della polizia Gianni
De Gennaro
proprio il 21 luglio. La Barbera era davanti alla Diaz al momento
dell’irruzione, ma morì nel 2002, prima dei rinvii a giudizio. Ai
pm Enrico
Zucca
e Francesco
Cardona Albini,
La Barbera raccontò di aver colto l’eccessivo nervosismo della
truppa davanti al cancello della scuola, dopo due giorni di violenti
scontri di piazza (“Ognuno conosce i suoi animali”, sintetizzò
il burbero poliziotto, del quale si conoscerà molti anni dopo il
ruolo di agente del Sisde).
Ma, sempre nella versione di La Barbera, a voler procedere a tutti i
costi con l’irruzione fu proprio Canterini. Che al processo e sui
giornali, però, smentì in toto il prefetto.
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