domenica 22 luglio 2012

pc 22 Luglio - SULLA FORMAZIONE TEORICA CHE SERVE LA PRATICA RIVOLUZIONARIA. TERZA E ULTIMA PARTE


Al terzo ed ultimo incontro di formazione tenuto dal prof Alberto Lombardo per conto dei compagni del Collettivo Senza Tregua Palermo e della Rete dei Collettivi Studenteschi si è affrontato l’argomento della forma organizzativa di cui necessitano i proletari per abbattere la classe dominante e instaurare una nuova società: il partito comunista, sui sindacati e circa l’organizzazione politica dei giovani.

Il prof parte dal capolavoro leniniano de il “Che fare?” schematizzandolo; si dice giustamente che la Teoria non deve essere astratta ma sempre connessa alla pratica, ovvero la critica che facemmo all’impostazione del primo incontro (vedi post su questo blog), sulla necessità di formare un partito come organizzazione stabile di comunisti.
Si dice anche che l’elemento spontaneo non è la forma embrionale della coscienza.
Vengono poste le seguenti domande: “chi autorizza gli intellettuali a chiamarsi Partito?” “deve essere fatto da operai? O da rivoluzionari di professione?”.
Rispetto agli incontri precedenti il prof è stato più conciso nell’esposizione, molto più scolastico, schematizzando, come si diceva, l’opera leniniana e limitando agli esempi concreti. Subito ha lasciato la parola ai “giovani” appena tornati dall’incontro di Roma che ha visto la nascita del Fronte della Gioventù Comunista in cui si sono sciolti i collettivi Senza Tregua più qualche altro.
Con nostra sorpresa non intervengono i due compagni palermitani andati a Roma a rappresentare il collettivo palermitano bensì un compagno un po’ meno giovane facente parte del partito comunisti-sinistra popolare di Marco Rizzo.

Il compagno fa un intervento che abbraccia innanzitutto la questione del partito sottolineando più volte che in questa fase quest’ultimo deve avere innanzitutto una funzione “formativa” verso i suoi militanti e curarsi di essi. Come detto negli incontri precedenti dal prof Lombardo critica “l’estetica dello scontro” avvenuto il 14 Dicembre 2011 degli studenti a Roma e il 15 Ottobre 2012 sempre a Roma bollando questi due eventi come manifestazioni che non avevano l’obiettivo del “socialismo”, riferendosi in particolare al 15 Ottobre organizzato dal movimento occupy che a suo avviso “è un movimento revisionista”. Quello che invece serve, continua, è un partito organizzato partendo dagli operai che a differenza dei soggetti sociali presenti in piazza in quei due avvenimenti, per propria natura di classe sono saldi nel perseguire l’obiettivo nella lotta, i giovani invece vanno organizzati e  fa accenno all’incontro nazionale di Roma di cui si diceva sopra e non mandati a scontrarsi, “certo, se si viene attaccati bisogna difendersi”.

Interviene il portavoce locale dei Cobas Confederazione che nella sostanza non aggiunge niente di nuovo ma approfitta delle argomentazioni del compagno intervenuto precedentemente per rivendicare l’infame linea di condotta tenuta il 15 ottobre a Roma quasi giustificandosi e dicendo che “quel movimento è morto a Piazza San Giovanni” lasciando intendere sia a causa dell’attacco delle forze dell’ordine ma anche a causa degli “sfasciacarrozze” come  ha definito il suo segretario Piero Bernocchi ovvero le migliaia di giovani e non che hanno resistito valorosamente contro l’apparato repressivo dello stato.

Interveniamo partendo dalla nostra pratica ed esperienza concreta e materiale in quanto compagni impegnati nella costruzione del partito comunista maoista. Innanzitutto il lavoro soggettivo di costruzione del partito deve tenere conto della situazione oggettiva in cui si opera e questo lavoro è una dialettica tra l’alto e il basso, tra direzione soggettiva e accumulazione di forze con il lavoro di massa. Il compagno di CSP parlava di “formazione” ma intendiamoci su quale tipo di formazione ci serve: sicuramente quella teorica, ma i quadri si formano anche sul campo, praticando la lotta di classe e non leggendola solo sui libri, noi usiamo la formula “nel fuoco della lotta di classe e in stretto legame con le masse”, bisogna affermare e praticare il metodo della violenza rivoluzionaria e non della conciliazione. Tutto questo è l’essenza della dialettica tra teoria e pratica rivoluzionaria che è una questione dinamica e non statica. Per questo non possiamo essere d’accordo con le analisi fatte nei due interventi precedenti (discorso a parte circa l’apertura il prof si è limitato a spiegarci il “che fare?” che già conoscevamo e che cerchiamo di applicare). Innanzitutto per le dinamiche proprie del nostro paese non è mai esistito un movimento occupy, a Roma alcuni dei soggetti già organizzati e facenti parte del comitato organizzatore si sono appropriati del nome per capitalizzare ciò che veniva dall’estero. Anche secondo noi questo movimento “è morto a Piazza San Giovanni”, ma non ci riferiamo all’eroica battaglia di migliaia di giovani, lavoratori, operai, precari, in una formula masse popolari. Bensì è morta in partenza, da quando alcune forze revisioniste e opportuniste del comitato organizzatore hanno tradito il volere delle masse che era quello di assediare i palazzi del potere (così come in quella giornata si è fatto in altri paesi) e deviato il corteo verso una modalità da sfilata che doveva concludersi con una festa molto simile ad un comizio elettorale, quanto meno questo epilogo vergognoso non ha avuto luogo. In questo senso i militanti comunisti si formano da un lato nel “grigio lavoro quotidiano” e nel lavoro di massa, e su questo dobbiamo contraddire il compagno sulla questione di come pensano oggi gli operai che non sono da mitizzare ma se si andasse regolarmente alle fabbriche si vedrebbe come il lavoro da fare sia tutt’altro che semplice, seppur necessario a causa anche dell’influenza negativa di decenni di revisionismo del PCI e lavoro di conciliazione con i padroni svolto dai sindacati confederali. E dall’altro come si diceva essendo presenti ovunque vi sia fermento sociale e lotta di classe.
Tornando al concetto di violenza rivoluzionaria, questa è educatrice verso le masse, va contrapposta alla violenza di stato della borghesia, serve per approfondire il distacco tra masse popolari e stato borghese, per sfatare il mito che lo stato è super partes e così via, è una sciocchezza bollare la violenza rivoluzionaria come “violenza da ultras” come fatto dal prof durante uno degli incontri, con tutto il rispetto per gli ultras che tra l’altro come succede spesso prendono posizione contro il potere vedi ultimamente la tifoseria del ST Pauli di Amburgo riguardo il processo-vendetta di Genova 2001 o le tifoserie greche o quelle egiziane contro Mubarak che hanno anche fatto delle belle analisi sociali in alcuni comunicati o ancora la tifoseria italiana circa la lotta in Val Susa contro la costruzione della TAV.
Altra cosa importante è l’internazionalismo e il lavoro internazionale: i comunisti sono per forza di cose internazionalisti e  appoggiare le rivoluzioni in corso (in primis le guerre popolari dirette da partiti maoisti), propagandarne i risultati, fare iniziative, praticare l’internazionalismo scambiandosi le esperienze e idee con compagni di altre parti del mondo è interno alla costituzione di un partito rivoluzionario. In particolare, in questa fase è un dovere rivoluzionario supportare la Guerra Popolare in India la più grande rivoluzione in corso, con una zona liberata abitata da 60 milioni di persone dove si sta costruendo in forma embrionale una nuova società, difende i risultati raggiunti e si espande in nuove zone nonostante l’operazione militare governativa con l’invio di decine di migliaia di paramilitari che utilizzano metodi genocidi.

Conclusioni

In quest’ultimo incontro i nostri dubbi sono stati confermati: a fronte di un’esposizione discretamente chiara e interessante, soprattutto per i più giovani, di temi urgenti quali l’analisi del capitalismo e della crisi, le esperienze storiche di costruzione del socialismo e infine la forma organizzativa quale mezzo per abbattere questa società, il metodo utilizzato non trovando corrispondenza in una pratica rivoluzionaria risulta essere scolastico e dogmatico.
La formazione e la teoria rivoluzionaria così è svilita, si enunciano i principi in forma impeccabile salvo poi contraddirli nella pratica quando si prendono esempi concreti, infatti secondo il prof e i compagni di CSP: il 23 Marzo a Palermo si è inscenata un’estetica del conflitto quando invece si doveva fare una piazza tematica, gli studenti a Roma il 14 dicembre 2011 hanno spento il movimento così come a Palermo a Piazza Indipendenza, il 15 ottobre a Roma gli “sfasciacarrozze anarchici e ultras della violenza” hanno fatto lo stesso.
Tutte posizioni oggettivamente contro-rivoluzionarie e riformiste che conciliano con il potere ed il nemico.
I comunisti devono partecipare alla lotta di classe, non fuggire da essa, i comunisti in questo paese devono stare in prima linea nella Val di Susa, sui posti di lavoro, ovunque vi sia conflitto e portando il proprio contributo, fare pratica rivoluzionaria e rielaborarla in teoria in un processo continuo e dialettico, non giudicare dall’alto e dall’esterno giustificando la propria passività con citazioni dei grandi maestri del socialismo. Questo significa svilire la più grande teoria rivoluzionaria utilizzandone la fraseologia e negandola nei fatti.

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