venerdì 22 aprile 2011

pc 21-22 aprile - lavoratori immigrati schiavizzati in Puglia


Lavoratori-schiavi
nel fotovoltaico:
9 arresti nel Salento


LECCE - Sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla riduzione e al mantenimento in schiavitù, estorsione, favoreggiamento della condizione di clandestinità di cittadini extracomunitari e truffa aggravata ai danni dello Stato le persone nei confronti delle quali stamane militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Brindisi e agenti della Squadra Mobile della Questura di Lecce hanno eseguito ordinanze di custodia cautelare in carcere nell’ambito di una inchiesta che ha riguardato il settore del fotovoltaico.

Quindici i provvedimenti emessi complessivamente dal gip del Tribunale di Lecce su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia e della Procura della Repubblica di Brindisi. Nove in tutto quelli eseguiti: quattro dalla Squadra Mobile nei confronti di un ghanese, una cubana, un marocchino e uno spagnolo; cinque dal Comando provinciale della Guardia di Finanza di Brindisi a carico di altrettanti cittadini italiani residenti in provincia.

Altri quattro spagnoli e due colombiani sono irreperibili e sono ricercati dalla Polizia di Lecce. Si tratta di soci, amministratori e capicantiere di una nota società italo-iberica di impianti fotovoltaici con sede a Brindisi, responsabili di avere assunto cittadini extracomunitari privi di permesso di soggiorno e di aver favorito la loro permanenza irregolare nel territorio dello Stato occupandoli, in condizione di asservimento alle dipendenze della stessa società. Sono state inoltre sottoposte a sequestro preventivo le quote sociali, l’intero compendio aziendale e tutte le attrezzature, i materiali e i mezzi riconducibili all’impresa. La società, che ha 800 dipendenti, ha realizzato 17 impianti fotovoltaici nel Salento. Infine le fiamme gialle di Brindisi stanno eseguendo sequestri preventivi 'per equivalentè nei confronti di quattro delle persone colpite da ordinanza per un valore complessivo di circa 275 mila euro pari ai contributi previdenziali ed assistenziali evasi.

BRINDISI - Erano costretti a lavorare 12 ore al giorno per due euro l'ora, quando venivano pagati. Non potevano nè ammalarsi nè farsi male, altrimenti perdevano il posto di lavoro.
E non importava se i loro piedi affondavano nel fango o se la loro testa veniva tormentata dal sole cocente. Perchè i lavoratori - secondo l'accusa - erano ridotti in schiavitù. Proprio per liberare glischiavi del fotovoltaico, polizia e guardia di finanza hanno arrestato nel Salento nove persone mentre altre sei sono tuttora ricercate. I 15 indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere, riduzione in schiavitù, estorsione, favoreggiamento della condizione di clandestinità di cittadini extracomunitari e truffa aggravata ai danni dello Stato. Le vittime dei reati sono - stando alle indagini - il 90% degli 800 dipendenti della Tecnova, azienda che nel Salento ha realizzato in subappalto 17 importanti impianti fotovoltaici. Si tratta di cittadini extracomunitari che spesso non avevano neppure il permesso di soggiorno e che, per questo, se osavano lamentarsi o ammalarsi, scattava per loro la minaccia del licenziamento. Erano loro - secondo le procure di Brindisi e Lecce - gli schiavi del fotovoltaico dei quali si sono spesso occupati negli ultimi mesi la stampa e le forze di polizia. L'ordinanza di custodia cautelare riguarda soci, amministratori e capi cantiere dell'azienda spagnola Tecnova, con sede a Brindisi ma facente capo ad una associazione temporanea di imprese, composta da diverse ditte catalane. Una vera e propria scatola cinese, è stato detto in conferenza stampa. Oltre agli arresti, sono state sequestrate le quote sociali, l'intero compendio aziendale e tutte le attrezzature, i materiali e i mezzi riconducibili alla società. Inoltre, sono stati eseguiti sequestri preventivi nei confronti di quattro degli arrestati per un valore complessivo di circa 275.000 euro, pari ai contributi previdenziali ed assistenziali evasi. L'indagine è partita nel novembre 2010 dalla procura di Brindisi dopo le denunce di numerosi lavoratori che operavano nei 17 cantieri di fotovoltaico sparsi tra le province di Brindisi e Lecce. Tra i destinatari del provvedimento restrittivo ci sono l'amministratore unico della Tecnova, il 28enne Luis Miguel Nunez Gutierrez, l'amministratore unico dell'azienda di consulenza Db Consulting, Cosima De Michele, e della factotum della Tecnova, la 24enne brindisina Manuela Costabile.

Ecco i nomi degli arrestati:
Marco Damiano Bagnulo, di 22 anni, di Brindisi
Anna Maria Bonetti, di 27 anni, di Putignano
Manuela Costabile, di 25 anni, di Brindisi
Cosima De Michele, 57 anni, di Brindisi
Martin Denowebu, 34 anni, nato in Ghana e residente a Lecce
Veronica Yanette Guibert Alonso, 34 anni, nata a Marianao (Cuba)
Luiz Manuel Gutierrez Nunez, di 38 anni, nato a Cacabelos-Leon (Spagna)
Brahim Lebhihe, di 26 anni, nato in Marocco
Tatiana Tedesco, di 26 anni, di Brindisi

Gli irreperibili sono:
Luis Miguel Cardenas Castellanos, di 33 anni, nato a Manizales (Colombia)
Laura Martin Garcia, di 32 anni, nata a Zamora (Spagna)
Didier Gutierrez Canedo, nato a Morges (Spagna)
Andres Felipe Higuera Castellanos, di 33 anni, nato in Colombia
Francisco Josè Luque Jimenez, di 35 anni
Josè Fernando Martinez Bascunana, di 38 anni, nato a Cartagena e domiciliato a Brindisi



BRINDISI – Numerosi sono stati i retroscena relativi alla vicenda degli “schiavi del fotovoltaico” e all'operazione che ha portato all'arresto di 13 persone.

I lavoratori non avevano alcun tipo di tutela, come raccontato oggi in conferenza stampa. Non solo non avrebbero ricevuto nessun tipo di assistenza in caso di infortunio o malattia, ma dormivano presso la Caritas di Brindisi così da far risparmiare l'azienda.
Ma il retroscena più agghiacciante riguarda le calzature che gli extracomunitari indossavano per lavorare. I responsabili dell'azienda, infatti, avevano acquistato partite di stivali dalla taglia 40-41, ma si trattava di misure che in molti casi non facevano al caso degli immigrati, molti dei quali portavano un 44-45. Così, alle scarpe veniva tagliata la punta e gli extracomunitari – se non volevano andare a piedi nudi nel fango – erano costretti a indossare scarpe più piccole e completamente rotte.

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