La Fiat procede secondo i suoi piani a Mirafiori come a Pomigliano, alla Sata come alla Bertone: accordi all'insegna del fascismo padronale, costruzione di un blocco neocorporativo padroni/sindacati, isolamento, pressione sulla Fiom per favorirne cedimenti, scissione, commissariamento di fatto, da parte del grande alleato il partito della conciliazione rappresentato dalla Cgil della Camusso.
A fronte di questo disegno chiaro e limpido e di questa marcia, il fronte operaio è assolutamente inadeguato. Gli operai sembra che, sebbene comprendano benissimo, non oppongano una reazione conseguente, nè spontanea nè organizzata.
Invece della linea dello scontro frontale, della resistenza, dell'alzare il tiro dello scontro con blocchi, occupazione, assedio dei padroni, attacco alle sedi sindacali vendute, prevale una prassi assolutamente inconseguente alla gravità della situazione e della denuncia che viene fatta.
Pesa il ricatto occupazionale, naturalmente, il non vedere all'orizzonte nessuna prospettiva alternativa; pesano anni di sindacato unitario ma silente, assente, di complicità e di pura gestione sviluppata da Uilm, Fim e dalla maggioranza Fiom Rsu, in ogni fase e in ogni stabilimento. Certo ci sono state eccezioni.
Ma è nell'ultima fase che le cose vanno sempre peggio. La direzione Fiom è andata sempre più abbassando il tiro e questo favorisce anche al suo interno, intendendo per interno anche la rete dei funzionari e le componenti più attive delle Rsu, fenomeni di oscillazioni, divisioni.
La scelta è stata la via giudiziaria - che è necessaria assolutamente e che il sindacato di base aveva in qualche maniera anticipato - ma affidare la lotta alla via giudiziaria è una strada che resta insufficiente. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: Mirafiori è scomparsa dalle pagine dei giornali e dalla realtà dello scontro di classe, a Torino come in tutto il paese. Il Sì aveva vinto di stretta misura e con il solo aiuto di capi e impiegati il 14 gennaio. Ma dopo questa data il Sì è rimasta l'unica opzione in campo. Che fine ha fatto il fronte del No? Che fine fa l'organizzazione dei cassintegrati? Chi li potrebbe organizzare non li organizza, in primis la direzione Fiom.
Il resto dà vita ad un falso movimento, di "scioperi generali", a bassa partecipazione e con scarso contributo ad una riorganizzazione. E l'autoreferenzialità sostituisce la lotta di classe.
A Pomigliano, la linea dei ricorsi giudiziari è rimasta l'unica opzione dell'opposizione; l'autorganizzazione come riorganizzazione delle forze operaie non è ad essi che può affidare il suo presente e soprattutto il suo futuro.
Comunque, sia a Mirafiori che a Pomigliano i tempi di una ripresa non sono brevi.
Il fronte di lotta si deve necessariamente spostare negli stabilimenti effettivamente operativi e chiave, primo tra tutti alla Fiat Sata.
Qui vi è una prima applicazione con gli operai in fabbrica del piano Marchionne; qui vi è la partita aperta dei licenziamenti repressivi; qui la Fiat da un lato ha alzato il tiro, pause e Ergo Uas effettivamente in opera (vedi articolo sul blog di giorni fa); su diritto di sciopero e malattia ha allentato la presa, anche perchè qui fanno da monito e freno i licenziamenti. Ma l'offensiva padronale punta su isolamento della Fiom, delle parti di essa più inclini alla resistenza e alla lotta, con una politica di accerchiamento che fa leva, oltre che su tutto il resto, sul cavallo di troia nelle fila operaie, la Cgil regionale e l'uomo in fabbrica della Cgil regionale, Cillis, l' "ex eroe" dei 21 giorni, il candidato tornato poi in fabbrica, riaccolto bene dagli operai ma non cogliendo subito che in tutto questo tragitto, questo ritorno non è da fuochista ma da pompiere.
Quindi, la Fiom resta il luogo dello scontro; ma uno scontro che si affidasse all'esito in questo luogo non è in grado nè di fronteggiare il piano Fiat nè di preparare un futuro alternativo al piano Fiat.
Checchè ne pensi tuttora la maggioranza operaia, divisa tra coscienza e sfiducia, la via del sindacato di classe, del circolo operaio per dare una testa e un luogo, al di là delle tessere, a queste battaglie, per contribuirvi, è l'unica proposta oggi necessaria.
Sul piano immediato la linea è facile da tracciare:
contrastare l'applicazione dell'Ergo Uas in termini di diritti, condizioni, sicurezza e salute;
far rientrare i licenziati in fabbrica;
assumere la centralità di Melfi non come aziendalismo produttivista da contrapporre in termini neocorporativi, come vuole il padrone e il sindacato del padrone in tutte le sue vesti, ma come centro di ricomposizione dell'unità di classe degli operai Fiat di tutti gli stabilimenti, da Pomigliano alla Sevel, fino a Mirafiori, non considerando chiusa neanche la partita Termini Imerese.
Serve una rete politica e sindacale di classe che faccia perno sulle avanguardie operaie, ma anche sul lavoro sistematico esterno, altrettanto importante in questa situazione, che, se basato su una analisi strategica corretta, è l'unico che può dare i suoi frutti.
Utili restano a questo proposito l'analisi da noi prodotta, dai 21 giorni fino agli ultimi 2 speciali Fiat, armi della critica per la costruzione.
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