La
propaganda ideologica del Capitale passa anche attraverso la scuola:
ENI docet. Oltre il danno, la beffa dell'ecologismo di facciata del
capitalismo monopolista. Una ripresa dell'anno scolastico sempre più
all'insegna degli interessi della «razza padrona» contro cui
«ribellarsi è giusto!»
Contrastare
i contenuti dell'insegnamento di una scuola che non serve alla
formazione/sviluppo delle masse ma alla loro
sottomissione/omologazione.
Nei
programmi scolastici per il prossimo anno sarà l'ENI, attraverso la
formazione dei docenti di educazione ambientale, a dare voce
alle "virtù" del Capitalismo tinto di "verde"
attraverso la formazione, la didattica, con una materia che si
chiamerà “sviluppo sostenibile”, di cui l’Italia diventerà il
primo paese al mondo a renderne obbligatorio l’insegnamento, per 33
ore complessive di lezioni.
Già,
proprio l'ENI che a Milano è sotto processo per la tangente di 1,1
miliardi di dollari con cui ha messo le sue mani nell’immenso
blocco petrolifero in Nigeria, nel Golfo di Guinea, per cui i pm
chiedono condanna a 8 anni per i "boiardi", Descalzi e
Scaroni, in quello che viene chiamato il “processo del secolo”
che sta mettendo in luce tutto il "sistema ENI" fatto di
legami (cioè corruzione) con servizi segreti, ministri, governi che
sono i principali azionisti, ambasciatori, magistrati e i governanti
di un paese oppresso al servizio dell'imperialismo complice
della rapina delle proprie risorse che sono un ostacolo allo sviluppo
delle masse oppresse.
Ma
i profitti dell'ENI, il “nemico del clima” e il “campione delle
fonti fossili” come viene
definito, non riguardano solo petrolio
nigeriano, l’ENI va nella direzione opposta a quello che
economisti, politici e giornalisti al soldo della borghesia chiamano
"sviluppo sostenibile", vedi in Basilicata: a Potenza per
esempio è in corso il processo sullo smaltimento illegale di rifiuti
da parte di ENI tramite la reimmissione di acque di processo in
alcuni pozzi in Val d’Agri, dove la multinazionale possiede lo
stabilimento più grande d’Europa su terraferma e a Viggiano le
popolazioni continuano a fare i conti con i danni causati dalla
fuoriuscita di serbatoi di 400 tonnellate di petrolio che hanno
contaminato 26mila metri quadrati di suolo e sottosuolo per cui è
stato arrestato ad aprile dello scorso anno un dirigente di ENI, con
l’accusa di disastro ambientale, abuso d’ufficio e falso
ideologico. La stessa ENI che è stata condannata dall'Antitrust al
pagamento di una multa di 5 milioni di euro per pubblicità
ingannevole sull’ENIDiesel+, o “green diesel” (lo spot racconta
un diesel che “riduce le emissioni gassose fino al 40%”, ma
secondo l’Antitrust questo diesel non può dirsi sostenibile visto
che è prodotto con olio di palma indonesiano causando
deforestazione, quella a cui la letteratura scientifica attribuisce
la responsabilità per lo sconvolgimento ecologico che causa la
diffusione delle pandemie virali).
Anche
il caso di Gela dove ENI nel reparto killer Clorosoda (chiamato "il
mostro") il tumore ha ucciso più della metà degli operai e
dove ENI è accusata di avere inquinato il territorio per decenni ed
è sotto processo per disastro ambientale dove si sta cercando
faticosamente di dimostrare il nesso causale delle emissioni con le
deformazioni, malattie, morti soprattutto di bambini.
E
si potrebbe continuare con l'Equador e altri luoghi dove ENI inquina,
corrompe, sfrutta risorse e operai.
La
riverniciatura di verde del modo di produzione capitalistico viene
chiamato "greenwashing" e, nel caso dell'ENI, si
vuole coprire il fatto che "a oggi opera in 66 paesi, ha 32 mila
dipendenti ed è la più grande azienda italiana per fatturato con 75
miliardi di euro. Nell’ultimo anno ha prodotto 1,9 milioni di
barili di petrolio al giorno — mai così tanti — e veduto 73
miliardi di metri cubi di gas, mentre investe solo l’1% del proprio
fatturato, 142 milioni, in energie rinnovabili.
Eni
però ha impiegato gran parte dei suoi sforzi comunicativi, e dei
suoi soldi destinati al settore, per la narrazione di quelle che sono
voci marginali del suo business, progetti pilota o sperimentazioni
sulle rinnovabili, mentre il core business resta il petrolio. Solo
nel 2019 l’azienda ha speso in pubblicità, promozione e attività
di comunicazione 73 milioni di euro. Questa cifra è circa la metà
di quanto Eni prevede di spendere ogni anno fino al 2023
nell’economia circolare, che è uno dei maggiori oggetti dei suoi
recenti spot. Nell’ultimo anno invece la multinazionale ha
acquisito altri 29.300 kmq di titoli esplorativi distribuiti tra
Messico, Indonesia, Marocco, Libano e Alaska.
Il
CDCA (Centro di documentazione sui Conflitti ambientali) di A Sud
Onlus quest’anno ha pubblicato un corposo dossier dal titolo
esplicativo Follow the green. La narrazione di Eni alla prova dei
fatti nel quale per ogni annuncio, pubblicazione o podcast targato
Eni su un dato tema viene contrapposta la “lente della presbiopia”
con cui vengono inquadrate le cose da più vicino, andando a smentire
le narrazioni con i dati —dati che vengono forniti quasi sempre
dall’azienda stessa" (da Il greenwashing di ENI arriva a
scuola Tommaso Meo AMBIENTELOTTA)
E
adesso l'ENI, come premio, dovrebbe avere pure il compito di formare
gli studenti sull'economia "sostenibile"!
E'
la stessa, di sempre, «razza padrona», dei «boiardi» delle
aziende pubbliche.
Una
politica adottata dai padroni da sempre, basti pensare al denaro
usato dai padroni dell'Eternit per pagare "scienziati" e
propagandisti dell'informazione per parlare bene del minerale-killer
che ha fatto una strage di enormi proporzioni, o al bicarbonato di
sodio della Solvay, o ai giornalisti sul libro paga dell'ex padrone
dell'Ilva di Taranto, Riva, per fare qualche esempio.
Quindi
oltre il danno, dovremmo subirci pure la beffa della propaganda
basata sulle menzogne, funzionale alla legittimazione di un'azienda
di punta del capitalismo di Stato che in nome del profitto inquina,
distrugge, uccide.
Una
ribellione alle "lezioni" di "economia sostenibile"
è la prima cosa da fare da parte degli studenti. Come inizio.
Un
movimento studentesco che critica l'esistente e che non si lascia
irrigimentare dalla visione del mondo della borghesia e del suo modo
di produzione (che, nel caso ENI, è capitalismo monopolista di
Stato, e per questa definizione è necessario assimilare Lenin
nell'Imperialismo) ha il doveroso compito di farlo, ma che si spinga
oltre, con una lotta a tutto campo, che ha bisogno, sì, di
formazione, di teoria, ma di formazione e teoria marxiste, le uniche
capaci di andare al cuore dei problemi di questo sistema sociale e
che indicano la sola via d'uscita: quella di "ribellarsi è
giusto!" contro il sistema del Capitale.
Contrapporre
all'omologazione del pensiero la visione critica che crei un
movimento agente di contestazione.
La
gioventù ribelle ha nelle sue mani un mondo nuovo da conquistare.
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