mercoledì 2 settembre 2020

pc 2 settembre - Via l'ENI dai programmi scolastici! No alla scuola dei padroni!

La propaganda ideologica del Capitale passa anche attraverso la scuola: ENI docet. Oltre il danno, la beffa dell'ecologismo di facciata del capitalismo monopolista. Una ripresa dell'anno scolastico sempre più all'insegna degli interessi della «razza padrona» contro cui «ribellarsi è giusto!» 
Contrastare i contenuti dell'insegnamento di una scuola che non serve alla formazione/sviluppo delle masse ma alla loro sottomissione/omologazione.


Nei programmi scolastici per il prossimo anno sarà l'ENI, attraverso la formazione dei  docenti di educazione ambientale, a dare voce alle "virtù" del Capitalismo tinto di "verde" attraverso la formazione, la didattica, con una materia che si chiamerà “sviluppo sostenibile”, di cui l’Italia diventerà il primo paese al mondo a renderne obbligatorio l’insegnamento, per 33 ore complessive di lezioni. 
Già, proprio l'ENI che a Milano è sotto processo per la tangente di 1,1 miliardi di dollari con cui ha messo le sue mani nell’immenso blocco petrolifero in Nigeria, nel Golfo di Guinea, per cui i pm chiedono condanna a 8 anni per i "boiardi", Descalzi e Scaroni, in quello che viene chiamato il “processo del secolo” che sta mettendo in luce tutto il "sistema ENI" fatto di legami (cioè corruzione) con servizi segreti, ministri, governi che sono i principali azionisti, ambasciatori, magistrati e i governanti di un paese oppresso al servizio dell'imperialismo complice della rapina delle proprie risorse che sono un ostacolo allo sviluppo delle masse oppresse.
Ma i profitti dell'ENI, il “nemico del clima” e il “campione delle fonti fossili” come viene
definito, non riguardano solo petrolio nigeriano, l’ENI va nella direzione opposta a quello che economisti, politici e giornalisti al soldo della borghesia chiamano "sviluppo sostenibile", vedi in Basilicata: a Potenza per esempio è in corso il processo sullo smaltimento illegale di rifiuti da parte di ENI tramite la reimmissione di acque di processo in alcuni pozzi in Val d’Agri, dove la multinazionale possiede lo stabilimento più grande d’Europa su terraferma e a Viggiano le popolazioni continuano a fare i conti con i danni causati dalla fuoriuscita di serbatoi di 400 tonnellate di petrolio che hanno contaminato 26mila metri quadrati di suolo e sottosuolo per cui è stato arrestato ad aprile dello scorso anno un dirigente di ENI, con l’accusa di disastro ambientale, abuso d’ufficio e falso ideologico. La stessa ENI che è stata condannata dall'Antitrust al pagamento di una multa di 5 milioni di euro per pubblicità ingannevole sull’ENIDiesel+, o “green diesel” (lo spot racconta un diesel che “riduce le emissioni gassose fino al 40%”, ma secondo l’Antitrust questo diesel non può dirsi sostenibile visto che è prodotto con olio di palma indonesiano causando deforestazione, quella a cui la letteratura scientifica attribuisce la responsabilità per lo sconvolgimento ecologico che causa la diffusione delle pandemie virali).
Anche il caso di Gela dove ENI nel reparto killer Clorosoda (chiamato "il mostro") il tumore ha ucciso più della metà degli operai e dove ENI è accusata di avere inquinato il territorio per decenni ed è sotto processo per disastro ambientale dove si sta cercando faticosamente di dimostrare il nesso causale delle emissioni con le deformazioni, malattie, morti soprattutto di bambini.
E si potrebbe continuare con l'Equador e altri luoghi dove ENI inquina, corrompe, sfrutta risorse e operai. 
La riverniciatura di verde del modo di produzione capitalistico viene chiamato "greenwashing"  e, nel caso dell'ENI, si vuole coprire il fatto che "a oggi opera in 66 paesi, ha 32 mila dipendenti ed è la più grande azienda italiana per fatturato con 75 miliardi di euro. Nell’ultimo anno ha prodotto 1,9 milioni di barili di petrolio al giorno — mai così tanti — e veduto 73 miliardi di metri cubi di gas, mentre investe solo l’1% del proprio fatturato, 142 milioni, in energie rinnovabili.
Eni però ha impiegato gran parte dei suoi sforzi comunicativi, e dei suoi soldi destinati al settore, per la narrazione di quelle che sono voci marginali del suo business, progetti pilota o sperimentazioni sulle rinnovabili, mentre il core business resta il petrolio. Solo nel 2019 l’azienda ha speso in pubblicità, promozione e attività di comunicazione 73 milioni di euro. Questa cifra è circa la metà di quanto Eni prevede di spendere ogni anno fino al 2023 nell’economia circolare, che è uno dei maggiori oggetti dei suoi recenti spot. Nell’ultimo anno invece la multinazionale ha acquisito altri 29.300 kmq di titoli esplorativi distribuiti tra Messico, Indonesia, Marocco, Libano e Alaska.
Il CDCA (Centro di documentazione sui Conflitti ambientali) di A Sud Onlus quest’anno ha pubblicato un corposo dossier dal titolo esplicativo Follow the green. La narrazione di Eni alla prova dei fatti nel quale per ogni annuncio, pubblicazione o podcast targato Eni su un dato tema viene contrapposta la “lente della presbiopia” con cui vengono inquadrate le cose da più vicino, andando a smentire le narrazioni con i dati —dati che vengono forniti quasi sempre dall’azienda stessa" (da Il greenwashing di ENI arriva a scuola Tommaso Meo AMBIENTELOTTA)
E adesso l'ENI, come premio, dovrebbe avere pure il compito di formare gli studenti sull'economia "sostenibile"!
E' la stessa, di sempre, «razza padrona», dei «boiardi» delle aziende pubbliche.
Una politica adottata dai padroni da sempre, basti pensare al denaro usato dai padroni dell'Eternit per pagare "scienziati" e propagandisti dell'informazione per parlare bene del minerale-killer che ha fatto una strage di enormi proporzioni, o al bicarbonato di sodio della Solvay, o ai giornalisti sul libro paga dell'ex padrone dell'Ilva di Taranto, Riva, per fare qualche esempio.
Quindi oltre il danno, dovremmo subirci pure la beffa della propaganda basata sulle menzogne, funzionale alla legittimazione di un'azienda di punta del capitalismo di Stato che in nome del profitto inquina, distrugge, uccide. 
Una ribellione alle "lezioni" di "economia sostenibile" è la prima cosa da fare da parte degli studenti. Come inizio. 
Un movimento studentesco che critica l'esistente e che non si lascia irrigimentare dalla visione del mondo della borghesia e del suo modo di produzione (che, nel caso ENI, è capitalismo monopolista di Stato, e per questa definizione è necessario assimilare Lenin nell'Imperialismo) ha il doveroso compito di farlo, ma che si spinga oltre, con una lotta a tutto campo, che ha bisogno, sì, di formazione, di teoria, ma di formazione e teoria marxiste, le uniche capaci di andare al cuore dei problemi di questo sistema sociale e che indicano la sola via d'uscita: quella di "ribellarsi è giusto!" contro il sistema del Capitale.
Contrapporre all'omologazione del pensiero la visione critica che crei un movimento agente di contestazione. 
La gioventù ribelle ha nelle sue mani un mondo nuovo da conquistare.

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