Nella vicenda della ex-caserma Serena a
Dosson (Treviso) mancava solo l’ultimo tassello perché il delitto fosse
perfetto. E immancabilmente il tassello è andato a posto: 4 immigrati
sono stati arrestati con imputazioni pesantissime – sequestro di
persona, devastazione, saccheggio. A ruota altri 8 (tra cui alcuni
minorenni) risultano indagati. Il giornale di centro-sinistra di
Treviso, La tribuna (20 agosto), ha esultato con la seguente
prosa da fogna: “decapitato il vertice del gruppo di esagitati che hanno
tenuto in scacco un’intera città” .
Ripercorriamo allora la vicenda per vedere
come in realtà siano stati il ministero dell’interno, la prefettura, il
comune, la regione, la magistratura – lo stato nelle sue differenti articolazioni
– a tenere in ostaggio in una prigione-contagio centinaia di immigrati,
rovesciando alla fine su di loro le proprie responsabilità, dopo non
aver alzato per mesi neppure un dito per evitare che il virus si
diffondesse. Lo facciamo anche grazie ad un report che ci è arrivato
dall’interno e dalle vicinanze della caserma stessa, scusandoci con chi
ce lo ha inviato per il ritardo nella pubblicazione.
La ex-caserma Serena è un Cas (Centro di
accoglienza straordinaria) e “ospita”, gli uni ammassati sugli altri,
oltre 300 immigrati. E’ una di quelle strutture in cui il governo Conte 1
Lega-Cinquestalle decise di concentrare i richiedenti asilo; strutture
che sono sotto il diretto controllo delle prefetture
(per i bandi e i regolamenti) e del ministero dell’interno. Questo Cas, come i Cas in genere, è una piccola riserva, un piccolo campo di concentramento, di forza-lavoro a bassissimo costo da super-sfruttare, perché circa il 70% dei reclusi (dato fornito dal locale segretario Pd) ha un lavoro in zona nei più diversi settori, dall’agricoltura alla logistica (alla Brt di Casale, ad esempio), in maggioranza senza contratto (dato nostro)
(per i bandi e i regolamenti) e del ministero dell’interno. Questo Cas, come i Cas in genere, è una piccola riserva, un piccolo campo di concentramento, di forza-lavoro a bassissimo costo da super-sfruttare, perché circa il 70% dei reclusi (dato fornito dal locale segretario Pd) ha un lavoro in zona nei più diversi settori, dall’agricoltura alla logistica (alla Brt di Casale, ad esempio), in maggioranza senza contratto (dato nostro)
In questa struttura semi-carceraria le
docce, la mensa, le cucine, il cortile e, soprattutto, le
camere-dormitori sono comuni (ci sono anche camerate con 8-12 posti
letto), il cibo e l’igiene sono di scarsissimo livello. La “cura” dei
richiedenti asilo è stata opportunamente affidata dalla prefettura ad
un’impresa che si occupa di edilizia (reincarnazione di un’impresa edile
fallita in modo fraudolento), la Nova Facility. Ebbene, in questo luogo ideale per la diffusione del Covid-19,
si è scoperto, l’11-12 giugno scorso, che un operatore, non un
richiedente asilo, era positivo. Lo era già da diversi giorni prima di
essere ricoverato in ospedale perché, temendo di perdere il suo posto di
lavoro, non lo aveva dichiarato. Ne abbiamo parlato in un precedente
post https://pungolorosso.wordpress.com/2020/08/05/finalmente-scoperti-i-portatori-del-covid-19-gli-immigrati/ e non ci ritorniamo su.
Da
quella data (11-12 giugno), per un mese e mezzo non è stata presa
alcuna misura precauzionale di alcun tipo fino a che, a fine luglio,
essendo emersi 3 casi di positività, ad un primo screening di
massa è emerso che 137 immigrati erano positivi, poi saliti a 257. Da
allora prima è arrivata l’imputazione pubblica del solito Zaia, il
leghista dal volto umano: “Senza centri migranti non avremmo focolai di
covid 19” (infatti…); poi sono scattati i sigilli alla ex-caserma: così
da fine luglio gli immigrati sono chiusi dentro, con le uscite
controllate da 3-4 camionette della polizia h24 (nei dintorni erano già
state installate 30 telecamere). Il che ha provocato un aggravamento
della tensione dentro la caserma perché i tanti immigrati senza
contratto hanno perso il lavoro, mentre ai pochi con contratto a tempo
indeterminato sono arrivati sui telefonini insulti e minacce da parte
dei rispettivi padroni/padroncini perché non si presentavano al lavoro.
Per quanto sia difficile da credere, è
vero, e ammesso senza vergogna: in entrambi i periodi, 12 giugno-fine
luglio e fine luglio-24 agosto, positivi, negativi e persone in attesa del tampone sono state tenute nelle stesse camerate. La
cosa è stata talmente scandalosa che nel momento in cui è emersa, è
nato uno scaricabarile pubblico tra il titolare della Nova Facility,
tale Marinese, e la Usl-2 di Treviso nella persona del suo direttore
generale Benassi.
Gli unici a muoversi, in questi tre mesi,
sono stati gli immigrati che più volte hanno protestato in modo
energico, anzitutto per avere notizie precise sugli aspetti sanitari,
notizie che nessuno ha fornito loro (“gli operatori non dicono niente”,
“non sono buoni”, “non ci aiutano” – questo il parere sugli operatori,
gli unici a diretto contatto con gli immigrati); in secondo luogo,
perché nessuno dà loro notizie – da quando sono reclusi – sui loro
rapporti di lavoro; la cosa angoscia molti perché non possono più
mandare soldi alle loro famiglie lontane (e sono costretti a chiederli
in prestito a conoscenti); in terzo luogo perché, specie da quando è
scoppiato il ‘caso Serena’, si sono moltiplicati i tamponi (c’è chi ne
ha subiti anche 4 o 5), ma senza che fosse spiegata loro l’utilità, e
fosse possibile vederla, dato che, comunque, si restava
obbligatoriamente tutti assieme, mescolati, positivi e negativi; ed
infine perché c’è stata in questi mesi un’evidente disparità di
trattamento tra operatori (“prendono medicine e vanno in ospedale”) e
immigrati, che restano comunque in caserma (solo 5 sono stati finora
trasferiti in una piccola struttura) e all’oscuro delle cose più
elementari, ad esempio quanto tempo ci vorrà per conoscere l’esito del
tampone, o perché si debba rifarlo.
Come
trasformare una delle molte “piccole” debacle della sanità del Veneto, e
di tutte le istituzioni statali operanti sul territorio, in
un’operazione di buon governo? Elementare. Indicando come capro
espiatorio, come untori, gli immigrati, e in particolare nei loro
“caporioni” “facinorosi” (è tornato anche questo lessico da ventennio).
Sono stati loro ad impedire di fare i tamponi!!! Sono stati loro a
opporsi al “distanziamento sociale”!!! Quindi, vadano dentro i
responsabili del delitto. E tutto tornerà liscio come l’olio. La
magistratura, corpo notoriamente “indipendente”, ha provveduto a tempo
di record. Lo scoppio del caso-Serena è di fine luglio, subito dopo c’è
la dichiarazione di Zaia, gli arresti scattano all’alba del giorno 19
agosto con misure di sicurezza sul territorio da cattura di super-boss
mafiosi. Ad arresti avvenuti, è scoppiata la festa delle istituzioni,
rigorosamente bi-partizan. Il sindaco leghista di Treviso: “Ora è
necessario continuare nel pugno di ferro per far capire che chi delinque
finisce in carcere, senza se e senza ma”. Il segretario Pd Zorzi:
“segnale molto importante, giustizia è fatta”, e si domanda come mai “si
sia atteso tanto tempo per intervenire, nell’arrestare i facinorosi”.
La dichiarazione del questore Montaruli è letteralmente spettacolare.
Dopo aver lodato la Digos per il suo “eccellente lavoro” e la sua
“indagine certosina che ha comportato un grosso sacrificio”, etc. etc.,
scandisce il seguente concetto: “Voglio sottolineare che il sacrificio
di tutti, polizia, carabinieri, finanza ed esercito, era volto alla
tutela sanitaria della popolazione di Treviso per evitare che i
richiedenti asilo positivi al Covid entrassero a contatto con i
cittadini di tutta la Marca. La speranza è che l’esito di questa
indagine possa indurre altri richiedenti asilo a comportarsi in modo
corretto”.
Spettacolare! Apprendiamo così che la
tutela sanitaria della popolazione di Treviso, oltre che dalle strutture
sanitarie, è tutelata dai corpi separati dello stato che impediscono ai
richiedenti asilo di fare gli untori. Mentre agli stessi richiedenti
asilo non hanno tempo di pensarci, come si è visto, le strutture
sanitarie, se non a contagio già totalmente avvenuto (257 su 297, metodo
Johnson). E quando questi protestano o si ribellano, allora entrano in
azione magistrati, poliziotti, carabinieri, finanza, esercito, gli unici
a fare con gli immigrati, sugli immigrati, contro gli
immigrati (proletari, s’intende) indagini certosine. Indagini penali,
s’intende, non certo sanitarie. A sigillo, la soddisfazione del
padrone-gaglioffo della Nova Facility: “Ora finalmente si potrà lavorare
in pace” e “attuare finalmente le prescrizioni delle autorità sanitarie
con la divisione fra gli ospiti a seconda delle loro condizioni”. Tutto
dimenticato, anche la disputa con l’Usl su chi avesse la colpa del
contagio generalizzato, se l’Usl o l’ennesima squallida cooperativa che
gestisce la vita degli immigrati. Ora il cerchio quadra. L’ordine del
razzismo di stato al servizio dei padroni regna a Dosson.
Succede,
però, a non molti chilometri di distanza, a Vazzola, sempre nella Marca
trevigiana, un po’ più a nord, vicino Conegliano, che esploda in pochi
giorni un focolaio dentro l’Aia, grossa impresa del comparto alimentare:
ad oggi, 25 agosto,184 operai (su 675 operai tra diretti e lavoratori
della Vierre coop) e 38 loro familiari, molti dei quali immigrati (dei
primi 57 contagiati, 52 erano senegalesi). Come mai l’esplosione? Per la
ferrea determinazione del padrone di non chiudere lo stabilimento dopo i
primi contagi, sia quel che sia – non è lui a rischiare la pelle o la
salute. Determinazione che ad oggi continua. Con i responsabili di Uil e
Cisl proni alle decisioni padronali come i cagnolini da salotto, e la
Cgil favorevole, ma senza alcuna iniziativa di lotta, ad una “chiusura
temporanea”. L’unica voce decisa è stata quella del delegato Fiom
Elettrolux (dell’opposizione) Augustin Breda, che ha dichiarato: “L’Aia
di Vazzola andava chiusa subito, dopo la scoperta dei primi casi,
inconcepibile che si sia agito in questo modo”. E chiede controlli a
tappeto anche in altre imprese delle zona, a cominciare dalla Elettrolux
perché molti dei lavoratori e delle lavoratrici della zona convivono
con operaia dell’Aia. Alla stessa Elettrolux, del resto, ci sono sei
lavoratori in isolamento, alla Brt di Casale sul Sile i positivi sono
risultati 24. Insomma, nel migliore dei mondi possibili, la Marca
trevigiana, in tempi di riflusso della pandemia (in Italia), si
moltiplicano i focolai e, guarda la coincidenza, i più esposti al
rischio-malattia sono gli operai, ed in particolare gli operai
immigrati.
Immediata libertà per i 4 richiedenti asilo arrestati alla Serena!
Immediata chiusura delle fabbriche centro di contagio, e loro sanificazione!
Abbasso il razzismo di stato, e i suoi megafoni!
Nessun commento:
Posta un commento