La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari ha chiesto l’archiviazione del procedimento penale aperto nel 2012 in relazione alle ipotesi di reato riguardo l’inquinamento ambientale riscontrato nel poligono militare di Capo Teulada.
Pur accertando il pesante inquinamento (nella “zona bersaglio” della penisoletta Delta vi sono 4 chilometri quadrati pressoché irrecuperabili),
non sarebbe riscontrabile alcun nesso di causalità fra inquinamento e
malattie come neoplasie e linfoma di Hodgkin, né sarebbe possibile
individuare i
responsabili per “errori nell’interpretazione delle prescrizioni sulle bonifiche” da eseguire, per la necessità di procedere agli addestramenti e per la “buona fede” di chi dava gli ordini.
Nel poligono militare, realizzato a partire dal 1956 mediante dopo acquisti e, in parte, esproprio dei terreni, vengono svolte esercitazioni militari da decenni. E l’uso del poligono viene ritenuto irrinunciabile per le esigenze addestrative militari.
Sul piano ambientale per troppo tempo le cose han lasciato a desiderare: dopo l’istanza (2014) dell’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e del Comitato Lecce Bene Comune, sono state avviate e proseguono le procedure di valutazione di incidenza ambientale (V.INC.A.) dei programmi di attività addestrative nei poligoni militari di Torre Veneri, in Comune di Lecce, e di Capo Teulada.[1]
Il quadro era chiaro fin dalla audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell’utilizzo dell’uranio impoverito lo scorso 20 luglio 2016 (qui il verbale integrale).
Sono finanziati e previsti gli interventi di bonifica ambientale, ma finora sono stati parziali e si è lontani dall’ottimismo manifestato dal presidente dell’I.S.P.R.A. Bernardo De Bernardinis secondo cui l’ambiente è tutelato in condizioni ottimali. Sì, non ci sono state speculazioni immobiliari, ben presenti sulle coste di Teulada, ma le bonifiche ambientali sono state solo avviate.
Sono da completare. Ora, non fra cento anni.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
tratto dal sito del Gruppo d’Intervento Giuridico
[1] I due poligoni militari, infatti, interessano i due siti di importanza comunitaria (S.I.C.) “Isola Rossa e Capo Teulada” (codice ITB040024) e “Torre Veneri” (codice IT9150025), appartenenti alla Rete Natura 2000,
che tutela le aree naturali rilevanti ai sensi delle normative
comunitarie per la salvaguardia degli habitat e dell’avifauna selvatica
(direttive n. 92/43/CEE e n. 2009/147/CE). Le attività addestrative
militari – come qualsiasi attività che possa arrecare danno ai siti
protetti – devono essere assoggettati alla procedura di V.INC.A. per
minimizzarne gli impatti e introdurre misure di compensazione
ambientale, come indicato anche dal codice dell’ordinamento militare
(decreto legislativo n. 66/2010 e s.m.i.), procedure che riguardo altri poligoni appaiono regolarmente effettuate.
*****
La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari ha chiesto l’archiviazione del procedimento penale aperto nel 2012 in relazione alle ipotesi di reato riguardo l’inquinamento ambientale riscontrato nel poligono militare di Capo Teulada.
Pur accertando il pesante inquinamento (nella “zona bersaglio” della penisoletta Delta vi sono 4 chilometri quadrati pressoché irrecuperabili), non sarebbe riscontrabile alcun nesso di causalità fra inquinamento e malattie come neoplasie e linfoma di Hodgkin, né sarebbe possibile individuare i
responsabili per “errori nell’interpretazione delle prescrizioni sulle bonifiche” da eseguire, per la necessità di procedere agli addestramenti e per la “buona fede” di chi dava gli ordini.
Nel poligono militare, realizzato a partire dal 1956 mediante dopo acquisti e, in parte, esproprio dei terreni, vengono svolte esercitazioni militari da decenni. E l’uso del poligono viene ritenuto irrinunciabile per le esigenze addestrative militari.
Sul piano ambientale per troppo tempo le cose han lasciato a desiderare: dopo l’istanza (2014) dell’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e del Comitato Lecce Bene Comune, sono state avviate e proseguono le procedure di valutazione di incidenza ambientale (V.INC.A.) dei programmi di attività addestrative nei poligoni militari di Torre Veneri, in Comune di Lecce, e di Capo Teulada.[1]
Il quadro era chiaro fin dalla audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell’utilizzo dell’uranio impoverito lo scorso 20 luglio 2016 (qui il verbale integrale).
Sono finanziati e previsti gli interventi di bonifica ambientale, ma finora sono stati parziali e si è lontani dall’ottimismo manifestato dal presidente dell’I.S.P.R.A. Bernardo De Bernardinis secondo cui l’ambiente è tutelato in condizioni ottimali. Sì, non ci sono state speculazioni immobiliari, ben presenti sulle coste di Teulada, ma le bonifiche ambientali sono state solo avviate.
Sono da completare. Ora, non fra cento anni.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
tratto dal sito del Gruppo d’Intervento Giuridico
[1] I due poligoni militari, infatti, interessano i due siti di importanza comunitaria (S.I.C.) “Isola Rossa e Capo Teulada” (codice ITB040024) e “Torre Veneri” (codice IT9150025), appartenenti alla Rete Natura 2000, che tutela le aree naturali rilevanti ai sensi delle normative comunitarie per la salvaguardia degli habitat e dell’avifauna selvatica (direttive n. 92/43/CEE e n. 2009/147/CE). Le attività addestrative militari – come qualsiasi attività che possa arrecare danno ai siti protetti – devono essere assoggettati alla procedura di V.INC.A. per minimizzarne gli impatti e introdurre misure di compensazione ambientale, come indicato anche dal codice dell’ordinamento militare (decreto legislativo n. 66/2010 e s.m.i.), procedure che riguardo altri poligoni appaiono regolarmente effettuate.
Pur accertando il pesante inquinamento (nella “zona bersaglio” della penisoletta Delta vi sono 4 chilometri quadrati pressoché irrecuperabili), non sarebbe riscontrabile alcun nesso di causalità fra inquinamento e malattie come neoplasie e linfoma di Hodgkin, né sarebbe possibile individuare i
responsabili per “errori nell’interpretazione delle prescrizioni sulle bonifiche” da eseguire, per la necessità di procedere agli addestramenti e per la “buona fede” di chi dava gli ordini.
Nel poligono militare, realizzato a partire dal 1956 mediante dopo acquisti e, in parte, esproprio dei terreni, vengono svolte esercitazioni militari da decenni. E l’uso del poligono viene ritenuto irrinunciabile per le esigenze addestrative militari.
Sul piano ambientale per troppo tempo le cose han lasciato a desiderare: dopo l’istanza (2014) dell’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e del Comitato Lecce Bene Comune, sono state avviate e proseguono le procedure di valutazione di incidenza ambientale (V.INC.A.) dei programmi di attività addestrative nei poligoni militari di Torre Veneri, in Comune di Lecce, e di Capo Teulada.[1]
Il quadro era chiaro fin dalla audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell’utilizzo dell’uranio impoverito lo scorso 20 luglio 2016 (qui il verbale integrale).
Sono finanziati e previsti gli interventi di bonifica ambientale, ma finora sono stati parziali e si è lontani dall’ottimismo manifestato dal presidente dell’I.S.P.R.A. Bernardo De Bernardinis secondo cui l’ambiente è tutelato in condizioni ottimali. Sì, non ci sono state speculazioni immobiliari, ben presenti sulle coste di Teulada, ma le bonifiche ambientali sono state solo avviate.
Sono da completare. Ora, non fra cento anni.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
tratto dal sito del Gruppo d’Intervento Giuridico
[1] I due poligoni militari, infatti, interessano i due siti di importanza comunitaria (S.I.C.) “Isola Rossa e Capo Teulada” (codice ITB040024) e “Torre Veneri” (codice IT9150025), appartenenti alla Rete Natura 2000, che tutela le aree naturali rilevanti ai sensi delle normative comunitarie per la salvaguardia degli habitat e dell’avifauna selvatica (direttive n. 92/43/CEE e n. 2009/147/CE). Le attività addestrative militari – come qualsiasi attività che possa arrecare danno ai siti protetti – devono essere assoggettati alla procedura di V.INC.A. per minimizzarne gli impatti e introdurre misure di compensazione ambientale, come indicato anche dal codice dell’ordinamento militare (decreto legislativo n. 66/2010 e s.m.i.), procedure che riguardo altri poligoni appaiono regolarmente effettuate.
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Disastro ambientale nel poligono militare di Teulada, il pm chiede l’archiviazione.
Indagini partite nel 2012 dopo un esposto di residenti della zona
Il
pubblico ministero di Cagliari Emanuele Secci ha chiesto
l’archiviazione dell’indagine per inquinamento ambientale nell’area del
poligono di Teulada, sulla costa sud occidentale della Sardegna.
L’indagine
era nata nel 2012 quando una ventina di residenti – tutelati dagli
avvocati Giacomo Doglio e Roberto Peara – aveva presentato alcuni
esposti segnalando l’insorgenza di alcune patologie, come il linfoma di
Hodgkin e alcune neoplasie che sarebbero potute essere ricondotte
all’inquinamento causato dalla presenza del poligono. In realtà, la
parte legata all’ipotesi di omicidio colposo era stata stralciata e
quasi subito archiviata per l’impossibilità di dimostrare un nesso
causale tra patologia e alcuni decessi, ma era rimasta in piedi
l’ipotesi di disastro ambientale.
Le
indagini della Procura di Cagliari avrebbero accertato lo stato di
compromissione della cosiddetta “Penisola Delta”, il cuore del poligono
(un tassello di poco più di tre chilometri, ndr) dove nel giro di pochi
anni (dal 2009 al 2014) erano stati sparati quasi 700mila colpi
d’addestramento.
Un’area
– al momento difficilmente bonificabile – dove sarebbero ancora
presenti proiettili, pezzi di bombe e altro materiale legato alle
esercitazioni militari, ma dove vige il divieto assoluto d’ingresso.
L’inchiesta vedeva indagati anche alcuni capi di Stato maggiore che si
sono succeduti dal 2009 al 2014.
A
nessuno di loro – chiarisce il pubblico ministero – può essere imputato
il disastro ambientale a titolo di dolo o di colpa. Ora la parola passa
al Gip.
da La Nuova Sardegna, 20 dicembre 2019
Indagini partite nel 2012 dopo un esposto di residenti della zona
Il pubblico ministero di Cagliari Emanuele Secci ha chiesto l’archiviazione dell’indagine per inquinamento ambientale nell’area del poligono di Teulada, sulla costa sud occidentale della Sardegna.
L’indagine era nata nel 2012 quando una ventina di residenti – tutelati dagli avvocati Giacomo Doglio e Roberto Peara – aveva presentato alcuni esposti segnalando l’insorgenza di alcune patologie, come il linfoma di Hodgkin e alcune neoplasie che sarebbero potute essere ricondotte all’inquinamento causato dalla presenza del poligono. In realtà, la parte legata all’ipotesi di omicidio colposo era stata stralciata e quasi subito archiviata per l’impossibilità di dimostrare un nesso causale tra patologia e alcuni decessi, ma era rimasta in piedi l’ipotesi di disastro ambientale.
Le indagini della Procura di Cagliari avrebbero accertato lo stato di compromissione della cosiddetta “Penisola Delta”, il cuore del poligono (un tassello di poco più di tre chilometri, ndr) dove nel giro di pochi anni (dal 2009 al 2014) erano stati sparati quasi 700mila colpi d’addestramento.
Un’area – al momento difficilmente bonificabile – dove sarebbero ancora presenti proiettili, pezzi di bombe e altro materiale legato alle esercitazioni militari, ma dove vige il divieto assoluto d’ingresso. L’inchiesta vedeva indagati anche alcuni capi di Stato maggiore che si sono succeduti dal 2009 al 2014.
A nessuno di loro – chiarisce il pubblico ministero – può essere imputato il disastro ambientale a titolo di dolo o di colpa. Ora la parola passa al Gip.
da La Nuova Sardegna, 20 dicembre 2019
Il pubblico ministero di Cagliari Emanuele Secci ha chiesto l’archiviazione dell’indagine per inquinamento ambientale nell’area del poligono di Teulada, sulla costa sud occidentale della Sardegna.
L’indagine era nata nel 2012 quando una ventina di residenti – tutelati dagli avvocati Giacomo Doglio e Roberto Peara – aveva presentato alcuni esposti segnalando l’insorgenza di alcune patologie, come il linfoma di Hodgkin e alcune neoplasie che sarebbero potute essere ricondotte all’inquinamento causato dalla presenza del poligono. In realtà, la parte legata all’ipotesi di omicidio colposo era stata stralciata e quasi subito archiviata per l’impossibilità di dimostrare un nesso causale tra patologia e alcuni decessi, ma era rimasta in piedi l’ipotesi di disastro ambientale.
Le indagini della Procura di Cagliari avrebbero accertato lo stato di compromissione della cosiddetta “Penisola Delta”, il cuore del poligono (un tassello di poco più di tre chilometri, ndr) dove nel giro di pochi anni (dal 2009 al 2014) erano stati sparati quasi 700mila colpi d’addestramento.
Un’area – al momento difficilmente bonificabile – dove sarebbero ancora presenti proiettili, pezzi di bombe e altro materiale legato alle esercitazioni militari, ma dove vige il divieto assoluto d’ingresso. L’inchiesta vedeva indagati anche alcuni capi di Stato maggiore che si sono succeduti dal 2009 al 2014.
A nessuno di loro – chiarisce il pubblico ministero – può essere imputato il disastro ambientale a titolo di dolo o di colpa. Ora la parola passa al Gip.
da La Nuova Sardegna, 20 dicembre 2019
Omicidio colposo e disastro ambientale al Poligono di Teulada: chiesta l’archiviazione
Non
ci sono elementi “sufficienti per sostenere” che esista un legame
diretto tra “l’esposizione a sostanze contaminanti e nocive” del
Poligono militare di Teulada e i tumori e le morti del territorio. I
controlli e gli studi eseguiti in questi anni “non consentono di
accertare la data nella quale per la prima volta” sono stati
“compromessi gli ecosistemi” della penisola. Dunque: il “disastro
ambientale” nel Poligono è “avvenuto”, ma non è possibile individuare i
responsabili per “errori nell’interpretazione delle prescrizioni sulle
bonifiche” da eseguire, per la necessità di procedere agli addestramenti
e per la “buona fede” di chi dava gli ordini.
Sono
le conclusioni attraverso le quali il pm Emanuele Secci ha chiesto
l’archiviazione delle accuse a carico di Giuseppe Valotto, Claudio
Graziano, Danilo Errico, Domenico Rossi e Sandro Santroni nell’inchiesta
per omicidio colposo, lesioni colpose e disastro ambientale.
Sono
gli ex capi di stato maggiore dell’Esercito e del Terzo reparto Rif
dell’Esercito, l’ex sottocapo di stato maggiore e l’ex comandante della
Regione Sardegna tra il 2009 e il 2015. Avevano agito “nel convincimento
di adempiere al proprio dovere”, e sparare a Teulada era una “modalità
ritenuta necessaria e imprescindibile”. L’alternativa era “cessare” di
farlo ma “con la deprivazione dell’addestramento”.
Però
il sistema vegetale e faunistico della penisola interdetta è
compromesso “irreversibilmente”. Capo Teulada è stato bersagliato da
terra e mare sin dagli anni ’50, e solo dal 2010 al 2014 è stato
centrato da 686 mila colpi tra “artiglieria pesante, razzi e missili”.
Nel mare ci sono ordigni inesplosi. Si sono verificati un «grave
mutamento della morfologia del territorio con la “manifesta e grave
ripercussione su flora e fauna dell’intera penisola con la perdita della
biodiversità”.
Le
bonifiche sono iniziate. È in corso la caratterizzazione che porterà
all’eliminazione dell’inquinamento; il promontorio non è più il
bersaglio delle esercitazioni, che proseguiranno ma alle quali seguirà
un’immediata bonifica. Ma i parenti di chi ha perso la vita o ha
combattuto con un tumore tra il 2009 e il 2014 si opporrà alla richiesta
di archiviazione.***
da L’Unione Sarda, 20 dicembre 2019
*****
Non
ci sono elementi “sufficienti per sostenere” che esista un legame
diretto tra “l’esposizione a sostanze contaminanti e nocive” del
Poligono militare di Teulada e i tumori e le morti del territorio. I
controlli e gli studi eseguiti in questi anni “non consentono di
accertare la data nella quale per la prima volta” sono stati
“compromessi gli ecosistemi” della penisola. Dunque: il “disastro
ambientale” nel Poligono è “avvenuto”, ma non è possibile individuare i
responsabili per “errori nell’interpretazione delle prescrizioni sulle
bonifiche” da eseguire, per la necessità di procedere agli addestramenti
e per la “buona fede” di chi dava gli ordini.
Sono le conclusioni attraverso le quali il pm Emanuele Secci ha chiesto l’archiviazione delle accuse a carico di Giuseppe Valotto, Claudio Graziano, Danilo Errico, Domenico Rossi e Sandro Santroni nell’inchiesta per omicidio colposo, lesioni colpose e disastro ambientale.
Sono gli ex capi di stato maggiore dell’Esercito e del Terzo reparto Rif dell’Esercito, l’ex sottocapo di stato maggiore e l’ex comandante della Regione Sardegna tra il 2009 e il 2015. Avevano agito “nel convincimento di adempiere al proprio dovere”, e sparare a Teulada era una “modalità ritenuta necessaria e imprescindibile”. L’alternativa era “cessare” di farlo ma “con la deprivazione dell’addestramento”.
Però il sistema vegetale e faunistico della penisola interdetta è compromesso “irreversibilmente”. Capo Teulada è stato bersagliato da terra e mare sin dagli anni ’50, e solo dal 2010 al 2014 è stato centrato da 686 mila colpi tra “artiglieria pesante, razzi e missili”. Nel mare ci sono ordigni inesplosi. Si sono verificati un «grave mutamento della morfologia del territorio con la “manifesta e grave ripercussione su flora e fauna dell’intera penisola con la perdita della biodiversità”.
Le bonifiche sono iniziate. È in corso la caratterizzazione che porterà all’eliminazione dell’inquinamento; il promontorio non è più il bersaglio delle esercitazioni, che proseguiranno ma alle quali seguirà un’immediata bonifica. Ma i parenti di chi ha perso la vita o ha combattuto con un tumore tra il 2009 e il 2014 si opporrà alla richiesta di archiviazione.***
da L’Unione Sarda, 20 dicembre 2019
Sono le conclusioni attraverso le quali il pm Emanuele Secci ha chiesto l’archiviazione delle accuse a carico di Giuseppe Valotto, Claudio Graziano, Danilo Errico, Domenico Rossi e Sandro Santroni nell’inchiesta per omicidio colposo, lesioni colpose e disastro ambientale.
Sono gli ex capi di stato maggiore dell’Esercito e del Terzo reparto Rif dell’Esercito, l’ex sottocapo di stato maggiore e l’ex comandante della Regione Sardegna tra il 2009 e il 2015. Avevano agito “nel convincimento di adempiere al proprio dovere”, e sparare a Teulada era una “modalità ritenuta necessaria e imprescindibile”. L’alternativa era “cessare” di farlo ma “con la deprivazione dell’addestramento”.
Però il sistema vegetale e faunistico della penisola interdetta è compromesso “irreversibilmente”. Capo Teulada è stato bersagliato da terra e mare sin dagli anni ’50, e solo dal 2010 al 2014 è stato centrato da 686 mila colpi tra “artiglieria pesante, razzi e missili”. Nel mare ci sono ordigni inesplosi. Si sono verificati un «grave mutamento della morfologia del territorio con la “manifesta e grave ripercussione su flora e fauna dell’intera penisola con la perdita della biodiversità”.
Le bonifiche sono iniziate. È in corso la caratterizzazione che porterà all’eliminazione dell’inquinamento; il promontorio non è più il bersaglio delle esercitazioni, che proseguiranno ma alle quali seguirà un’immediata bonifica. Ma i parenti di chi ha perso la vita o ha combattuto con un tumore tra il 2009 e il 2014 si opporrà alla richiesta di archiviazione.***
da L’Unione Sarda, 20 dicembre 2019
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“A Teulada inquinamento irreversibile”. Ma per il Pm non ci sono responsabili. (Alessandra Carta)
Paradossi.
Non per la giustizia, ma per chi la cerca. Ovvero i cittadini. In
questo caso malati di cancro. La storia è quella di Teulada. Una storia di morti. Appena una settimana fa, la Procura di Cagliari ha riconosciuto – e si tratta di una novità assoluta – “l‘alterazione irreversibile” in alcune porzioni di poligono. Così ha scritto il pm Emanuele Secci.
Eppure tutto questo non basta per aprire un processo contro i vertici
militari che hanno comandato la base sarda dal 2009. Cioè da quando
esiste un censimento sul materiale bellico che viene sparato nella costa
sud-ovest della Sardegna. Lo stesso pubblico ministero, malgrado
l’accertato inquinamento, ha chiesto l’archiviazione per i capi di Stato
maggiore indagati. Così risulta dall’atto depositato l’11 dicembre.
Parte da lontano la vicenda giudiziaria. È il 2012 quando una ventina di residenti a Teulada – attraverso gli avvocati di Cagliari Giacomo Doglio e Roberto Peara – presenta
altrettanti esposti. Tutti contro ignoti. L’obiettivo è chiaro:
ricostruire la relazione tra i giochi di guerra e i tumori, che da
quelle parti colpiscono come fossero l’influenza. Due le patologie
prevalenti: linfoma di Hodgkin negli uomini e cancro polmonare nei
due sessi. Per i legali Peara e Doglio è da considerarsi certa la
compromissione ambientale nonché probabile la correlazione tra
esercitazioni militari e malattia. Tra inquinamento ambientale e tumori.
Tra contaminazione e morte. Rapporti di salute alla mano.
Le
indagini del magistrato sono finite da pochi giorni. E danno ragione ai
legali delle persone offese, almeno sul fronte dei danni
all’ecosistema. Il pubblico ministero è partito dalla cosiddetta Penisola Delta:
quattro chilometri quadrati (sui 68 di poligono) che sono interdetti da
anni. Quella è molto più di una discarica: è un’area che lo stesso
ministero della Difesa ha messo sotto tutela perché non c’è modo di
salvarla. È classificata come “non bonificabile“. Troppo il materiale bellico che nel tempo si è accumulato.
Nella penisola perduta finivano i colpi delle esercitazioni. Era la ‘zona bersaglio‘, quella. Solo tra il 2009 e il 2014 ne sono stati sparati 686mila.
Tra artiglieria pesante, missili e razzi. Tutto è ‘atterrato’ lì, in
quel lembo di terra dove nessuno può entrare. Né i militari né i civili.
Si aggiungano le discariche: quel paesaggio lunare, dove le bombe hanno
scavato enormi crateri, è disseminato di rifiuti speciali. Il pm elenca
“bossoli, proiettili, bombe intere o in pezzi”. Non solo: anche il
transito dei mezzi militari ha contribuito “ad arrecare danni permanenti
alle matrici ambientali”. I periti nominati dalla Procura hanno messo
nero su bianco anche “il mutamento della morfologia del territorio” che
si rileva, tra le altre cose, attraverso “il disfacimento integrale
degli orizzonti più superficiali del suolo”.
In
quei quattro chilometri di Teulada è consentita unicamente la
possibilità di un volo aereo. O in elicottero. Riporta ancora il Pm, e
si arriva al passaggio chiave: “Si constata un’alterazione irreversibile
riguardante i suoli e la componente floristico-vegetazionale”. Un punto di non ritorno,
è evidente, determinato dal fatto che “le condizioni di criticità”
della Penisola Delta hanno prodotto “l’alterazione dell’ecosistema,
attualmente incapace di recuperare autonomamente le originarie
condizioni di naturalità”.
Sul
fronte della “componente faunistica è emerso che “l’alterazione”
sarebbe anche reversibile, se solo “cessassero esplosioni, inquinamento
acustico ed esercitazioni militari”. Questo riguarda sia “le specie
animali non legate alla componente vegetazionale”, sia quelle tutelate a
livello comunitario. Il primo gruppo include la berta maggiore, il
gabbiano corso, il marangone, il tarantolino e la cheppia; nel secondo
sono citati il falco pescatore, il calandro, la magnanina sarda, la
volpe rossa, la donnola, il cinghiale e il gabbiano reale zampegialle.
La lista degli indagati il pm l’aveva stilata. In base agli atti. Quindi ecco i nomi di Giuseppe Valotto, Claudio Graziano, Danilo Errico, Domenico Rossi e Sandro Santroni.
Ovvero i capi di Stato maggiore che si sono succeduti dal 2009 al 2015.
Ma “a nessuno – ha scritto il Pm nella richiesta di archiviazione – si
può imputare il disastro ambientale a titolo di dolo o colpa”. Secondo
il magistrato, le esercitazioni vengono decise “dall’amministrazione
della Difesa nel convincimento di adempiere al dovere in modo adeguato”.
E in questo solco il Pm fa rientrare pure “il compito di addestrarsi in modo adeguato ed efficace“.
Non è finita: le stesse attività nella penisola Delta “erano ritenute
necessarie e imprescindibili per assicurare la corretta preparazione
tecnica e psicologica del personale militare”, spiega ancora il
magistrato inquirente.
Di qui appunto la richiesta di archiviazione su cui il Gip dovrà esprimersi nei prossimi mesi. Sardinia Post ha
contattato gli avvocati Doglio e Peara, che si limitano a una conferma:
tutti i legali delle persone offese si opporranno alla decisione del
Pm che verrà discussa in camera di consiglio. Si può ipotizzare che il
lavoro degli avvocati sarà incentrato su un presupposto certo: l’esistenza di un disastro ambientale
nel poligono di Teulada. Una condizione, questa, che lo stesso pubblico
ministero ha certificato attraverso i periti. Ma quando in Italia si
apre una battaglia legale contro la Difesa, l’esito sembra già scritto e
quasi mai regala sorprese. Di giustizia.
da Sardinia Post, 20 dicembre 2019
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Una pioggia di fuoco da 860.624 colpi: inquinamento a Teulada, ecco le prove
di Alessandra Carta
Sono
le bombe, i razzi e i proiettili usati per i giochi di guerra. In gergo
militare si chiamano, tutti insieme, munizionamento. Un totale di 860.624 colpi,
tra lanci e spari. Quella pioggia di fuoco è caduta in otto anni, “dal
2008 al primo semestre del 2016” e “rappresenta solo un dato
parziale”. Così ha scritto il pm di Cagliari, Emanuele Secci, nell’atto col quale il pubblico ministero ha però chiesto al Gip di far uscire dall’inchiesta su Teulada i
cinque capi di Stato maggiore indagati. Di fatto i responsabili del
poligono affacciato sulla costa sud-ovest della Sardegna. “Le
esercitazioni”, sebbene siano la causa del disastro ambientale
accertato, sono considerate dal magistrato inquirente “un dovere”
professionale. Quindi a nessuno dei militari “si può imputare” il reato
“per dolo o colpa”.
La posizione del Pm fa discutere da ieri, quando Sardinia Post ha reso pubblica la richiesta di archiviazione,
a chiusura di sette anni di indagine su una trentina di esposti. Nel
2012 li hanno presentati gli stessi malati di cancro (o i parenti) che
abitano a Teulada: una ventina di loro sono difesi dagli avvocati Roberto Peara e Giacomo Doglio; gli altri da Caterina Usala, Gianfranco Sollai e Giuseppe Putzu. I
legali hanno già confermato la decisione di opporsi alla richiesta del
pubblico ministero: setterà poi al Gip, nei prossimi mesi, l’ultima
parola in camera di consiglio.
Quegli 860.624 colpi equivalgono a 556 tonnellate di munizionamento, che hanno devastato la penisola Delta,
lembo di poligono dove il troppo inquinamento ha reso l’area “non
bonificiabile”. Sono in tutto quattro chilometri quadrati di terra
contaminatissima. E infatti chiusa al transito di militari e civili.
Blocco totale, deciso dal ministero della Difesa che a Teulada occupa in
tutto sessantotto chilometri quadrati.
Le
informazioni sul disastro della zona Delta non sono frutto di
un’indagine parallela: si ricavano piuttosto dalla stessa richiesta di
archiviazione firmata dal Pm. Un paradosso. Tuttavia interessante per
delineare i contorni di un pezzo di Sardegna che mai più tornerà come
prima. Il pubblico ministero ha certificato “l‘alterazione irreversibile riguardante
i suoli e la componente floristico-vegetazionale. O, se reversibile – è
il riferimento a diverse specie animali – per la sua eliminazione
occorreranno mezzi e risorse eccezionali”.
Nella
penisola Delta le esercitazioni sono andate avanti per “cinquant’anni”,
è scritto ancora nell’atto del magistrato. Era quella la zona bersaglio “per tutti i sistemi utilizzati dalle Forze armate italiane e straniere (nella
foto di copertina di Contropiano.org)”. Il cuore delle prove di guerra.
L’elenco è da brivido. E si tratta comunque delle sole informazioni a
cui la magistratura ordinaria ha accesso, perché non coperte da segreto
di Stato. Lì sono arrivati “colpi di mortaio e artiglierie; missili filo
guidati; tiri navali contro costa; bombardamento e mitragliamento
aereo; sganci di emergenza (sempre per gli aerei)”.
Per capire la portata dell’inquinamento nella zona Delta basta un dettaglio: lo stesso ministero della Difesa ritiene che “il ripristino ambientale non sia né possibile né conveniente“.
Ancora: “Contrariamente a quanto accaduto” in altre parti del poligono,
“nella penisola Delta non veniva effettuata alcuna operazione di
bonifica dei residui bellici”. Eppure, per il pm Secci nessun capo di
Stato maggiore è responsabile per l’inquinamento a Teulada, visto che
“le esercitazioni rientrano tra i doveri militari”, è scritto nella
richiesta di archiviazione.
Proprio
il disastro ambientale sarà con molta probabilità il presupposto certo
su cui gli avvocati costruiranno le opposizioni da consegnare entro la
fine del mese, per restare nei tempi imposti dal Pm che ha depositato il
proprio atto lo scorso 11 dicembre. Davanti al Gip si preannuncia una
battaglia durissima. In gioco ci sono due pilastri della Costituzione:
il diritto alla giustizia e quello alla salute.
Paradossi.
Non per la giustizia, ma per chi la cerca. Ovvero i cittadini. In
questo caso malati di cancro. La storia è quella di Teulada. Una storia di morti. Appena una settimana fa, la Procura di Cagliari ha riconosciuto – e si tratta di una novità assoluta – “l‘alterazione irreversibile” in alcune porzioni di poligono. Così ha scritto il pm Emanuele Secci.
Eppure tutto questo non basta per aprire un processo contro i vertici
militari che hanno comandato la base sarda dal 2009. Cioè da quando
esiste un censimento sul materiale bellico che viene sparato nella costa
sud-ovest della Sardegna. Lo stesso pubblico ministero, malgrado
l’accertato inquinamento, ha chiesto l’archiviazione per i capi di Stato
maggiore indagati. Così risulta dall’atto depositato l’11 dicembre.
Parte da lontano la vicenda giudiziaria. È il 2012 quando una ventina di residenti a Teulada – attraverso gli avvocati di Cagliari Giacomo Doglio e Roberto Peara – presenta altrettanti esposti. Tutti contro ignoti. L’obiettivo è chiaro: ricostruire la relazione tra i giochi di guerra e i tumori, che da quelle parti colpiscono come fossero l’influenza. Due le patologie prevalenti: linfoma di Hodgkin negli uomini e cancro polmonare nei due sessi. Per i legali Peara e Doglio è da considerarsi certa la compromissione ambientale nonché probabile la correlazione tra esercitazioni militari e malattia. Tra inquinamento ambientale e tumori. Tra contaminazione e morte. Rapporti di salute alla mano.
Le indagini del magistrato sono finite da pochi giorni. E danno ragione ai legali delle persone offese, almeno sul fronte dei danni all’ecosistema. Il pubblico ministero è partito dalla cosiddetta Penisola Delta: quattro chilometri quadrati (sui 68 di poligono) che sono interdetti da anni. Quella è molto più di una discarica: è un’area che lo stesso ministero della Difesa ha messo sotto tutela perché non c’è modo di salvarla. È classificata come “non bonificabile“. Troppo il materiale bellico che nel tempo si è accumulato.
Nella penisola perduta finivano i colpi delle esercitazioni. Era la ‘zona bersaglio‘, quella. Solo tra il 2009 e il 2014 ne sono stati sparati 686mila. Tra artiglieria pesante, missili e razzi. Tutto è ‘atterrato’ lì, in quel lembo di terra dove nessuno può entrare. Né i militari né i civili. Si aggiungano le discariche: quel paesaggio lunare, dove le bombe hanno scavato enormi crateri, è disseminato di rifiuti speciali. Il pm elenca “bossoli, proiettili, bombe intere o in pezzi”. Non solo: anche il transito dei mezzi militari ha contribuito “ad arrecare danni permanenti alle matrici ambientali”. I periti nominati dalla Procura hanno messo nero su bianco anche “il mutamento della morfologia del territorio” che si rileva, tra le altre cose, attraverso “il disfacimento integrale degli orizzonti più superficiali del suolo”.
In quei quattro chilometri di Teulada è consentita unicamente la possibilità di un volo aereo. O in elicottero. Riporta ancora il Pm, e si arriva al passaggio chiave: “Si constata un’alterazione irreversibile riguardante i suoli e la componente floristico-vegetazionale”. Un punto di non ritorno, è evidente, determinato dal fatto che “le condizioni di criticità” della Penisola Delta hanno prodotto “l’alterazione dell’ecosistema, attualmente incapace di recuperare autonomamente le originarie condizioni di naturalità”.
Sul fronte della “componente faunistica è emerso che “l’alterazione” sarebbe anche reversibile, se solo “cessassero esplosioni, inquinamento acustico ed esercitazioni militari”. Questo riguarda sia “le specie animali non legate alla componente vegetazionale”, sia quelle tutelate a livello comunitario. Il primo gruppo include la berta maggiore, il gabbiano corso, il marangone, il tarantolino e la cheppia; nel secondo sono citati il falco pescatore, il calandro, la magnanina sarda, la volpe rossa, la donnola, il cinghiale e il gabbiano reale zampegialle.
La lista degli indagati il pm l’aveva stilata. In base agli atti. Quindi ecco i nomi di Giuseppe Valotto, Claudio Graziano, Danilo Errico, Domenico Rossi e Sandro Santroni. Ovvero i capi di Stato maggiore che si sono succeduti dal 2009 al 2015. Ma “a nessuno – ha scritto il Pm nella richiesta di archiviazione – si può imputare il disastro ambientale a titolo di dolo o colpa”. Secondo il magistrato, le esercitazioni vengono decise “dall’amministrazione della Difesa nel convincimento di adempiere al dovere in modo adeguato”. E in questo solco il Pm fa rientrare pure “il compito di addestrarsi in modo adeguato ed efficace“. Non è finita: le stesse attività nella penisola Delta “erano ritenute necessarie e imprescindibili per assicurare la corretta preparazione tecnica e psicologica del personale militare”, spiega ancora il magistrato inquirente.
Di qui appunto la richiesta di archiviazione su cui il Gip dovrà esprimersi nei prossimi mesi. Sardinia Post ha contattato gli avvocati Doglio e Peara, che si limitano a una conferma: tutti i legali delle persone offese si opporranno alla decisione del Pm che verrà discussa in camera di consiglio. Si può ipotizzare che il lavoro degli avvocati sarà incentrato su un presupposto certo: l’esistenza di un disastro ambientale nel poligono di Teulada. Una condizione, questa, che lo stesso pubblico ministero ha certificato attraverso i periti. Ma quando in Italia si apre una battaglia legale contro la Difesa, l’esito sembra già scritto e quasi mai regala sorprese. Di giustizia.
da Sardinia Post, 20 dicembre 2019
di Alessandra Carta
Sono le bombe, i razzi e i proiettili usati per i giochi di guerra. In gergo militare si chiamano, tutti insieme, munizionamento. Un totale di 860.624 colpi, tra lanci e spari. Quella pioggia di fuoco è caduta in otto anni, “dal 2008 al primo semestre del 2016” e “rappresenta solo un dato parziale”. Così ha scritto il pm di Cagliari, Emanuele Secci, nell’atto col quale il pubblico ministero ha però chiesto al Gip di far uscire dall’inchiesta su Teulada i cinque capi di Stato maggiore indagati. Di fatto i responsabili del poligono affacciato sulla costa sud-ovest della Sardegna. “Le esercitazioni”, sebbene siano la causa del disastro ambientale accertato, sono considerate dal magistrato inquirente “un dovere” professionale. Quindi a nessuno dei militari “si può imputare” il reato “per dolo o colpa”.
La posizione del Pm fa discutere da ieri, quando Sardinia Post ha reso pubblica la richiesta di archiviazione, a chiusura di sette anni di indagine su una trentina di esposti. Nel 2012 li hanno presentati gli stessi malati di cancro (o i parenti) che abitano a Teulada: una ventina di loro sono difesi dagli avvocati Roberto Peara e Giacomo Doglio; gli altri da Caterina Usala, Gianfranco Sollai e Giuseppe Putzu. I legali hanno già confermato la decisione di opporsi alla richiesta del pubblico ministero: setterà poi al Gip, nei prossimi mesi, l’ultima parola in camera di consiglio.
Quegli 860.624 colpi equivalgono a 556 tonnellate di munizionamento, che hanno devastato la penisola Delta, lembo di poligono dove il troppo inquinamento ha reso l’area “non bonificiabile”. Sono in tutto quattro chilometri quadrati di terra contaminatissima. E infatti chiusa al transito di militari e civili. Blocco totale, deciso dal ministero della Difesa che a Teulada occupa in tutto sessantotto chilometri quadrati.
Le informazioni sul disastro della zona Delta non sono frutto di un’indagine parallela: si ricavano piuttosto dalla stessa richiesta di archiviazione firmata dal Pm. Un paradosso. Tuttavia interessante per delineare i contorni di un pezzo di Sardegna che mai più tornerà come prima. Il pubblico ministero ha certificato “l‘alterazione irreversibile riguardante i suoli e la componente floristico-vegetazionale. O, se reversibile – è il riferimento a diverse specie animali – per la sua eliminazione occorreranno mezzi e risorse eccezionali”.
Nella penisola Delta le esercitazioni sono andate avanti per “cinquant’anni”, è scritto ancora nell’atto del magistrato. Era quella la zona bersaglio “per tutti i sistemi utilizzati dalle Forze armate italiane e straniere (nella foto di copertina di Contropiano.org)”. Il cuore delle prove di guerra. L’elenco è da brivido. E si tratta comunque delle sole informazioni a cui la magistratura ordinaria ha accesso, perché non coperte da segreto di Stato. Lì sono arrivati “colpi di mortaio e artiglierie; missili filo guidati; tiri navali contro costa; bombardamento e mitragliamento aereo; sganci di emergenza (sempre per gli aerei)”.
Per capire la portata dell’inquinamento nella zona Delta basta un dettaglio: lo stesso ministero della Difesa ritiene che “il ripristino ambientale non sia né possibile né conveniente“. Ancora: “Contrariamente a quanto accaduto” in altre parti del poligono, “nella penisola Delta non veniva effettuata alcuna operazione di bonifica dei residui bellici”. Eppure, per il pm Secci nessun capo di Stato maggiore è responsabile per l’inquinamento a Teulada, visto che “le esercitazioni rientrano tra i doveri militari”, è scritto nella richiesta di archiviazione.
Proprio il disastro ambientale sarà con molta probabilità il presupposto certo su cui gli avvocati costruiranno le opposizioni da consegnare entro la fine del mese, per restare nei tempi imposti dal Pm che ha depositato il proprio atto lo scorso 11 dicembre. Davanti al Gip si preannuncia una battaglia durissima. In gioco ci sono due pilastri della Costituzione: il diritto alla giustizia e quello alla salute.
Parte da lontano la vicenda giudiziaria. È il 2012 quando una ventina di residenti a Teulada – attraverso gli avvocati di Cagliari Giacomo Doglio e Roberto Peara – presenta altrettanti esposti. Tutti contro ignoti. L’obiettivo è chiaro: ricostruire la relazione tra i giochi di guerra e i tumori, che da quelle parti colpiscono come fossero l’influenza. Due le patologie prevalenti: linfoma di Hodgkin negli uomini e cancro polmonare nei due sessi. Per i legali Peara e Doglio è da considerarsi certa la compromissione ambientale nonché probabile la correlazione tra esercitazioni militari e malattia. Tra inquinamento ambientale e tumori. Tra contaminazione e morte. Rapporti di salute alla mano.
Le indagini del magistrato sono finite da pochi giorni. E danno ragione ai legali delle persone offese, almeno sul fronte dei danni all’ecosistema. Il pubblico ministero è partito dalla cosiddetta Penisola Delta: quattro chilometri quadrati (sui 68 di poligono) che sono interdetti da anni. Quella è molto più di una discarica: è un’area che lo stesso ministero della Difesa ha messo sotto tutela perché non c’è modo di salvarla. È classificata come “non bonificabile“. Troppo il materiale bellico che nel tempo si è accumulato.
Nella penisola perduta finivano i colpi delle esercitazioni. Era la ‘zona bersaglio‘, quella. Solo tra il 2009 e il 2014 ne sono stati sparati 686mila. Tra artiglieria pesante, missili e razzi. Tutto è ‘atterrato’ lì, in quel lembo di terra dove nessuno può entrare. Né i militari né i civili. Si aggiungano le discariche: quel paesaggio lunare, dove le bombe hanno scavato enormi crateri, è disseminato di rifiuti speciali. Il pm elenca “bossoli, proiettili, bombe intere o in pezzi”. Non solo: anche il transito dei mezzi militari ha contribuito “ad arrecare danni permanenti alle matrici ambientali”. I periti nominati dalla Procura hanno messo nero su bianco anche “il mutamento della morfologia del territorio” che si rileva, tra le altre cose, attraverso “il disfacimento integrale degli orizzonti più superficiali del suolo”.
In quei quattro chilometri di Teulada è consentita unicamente la possibilità di un volo aereo. O in elicottero. Riporta ancora il Pm, e si arriva al passaggio chiave: “Si constata un’alterazione irreversibile riguardante i suoli e la componente floristico-vegetazionale”. Un punto di non ritorno, è evidente, determinato dal fatto che “le condizioni di criticità” della Penisola Delta hanno prodotto “l’alterazione dell’ecosistema, attualmente incapace di recuperare autonomamente le originarie condizioni di naturalità”.
Sul fronte della “componente faunistica è emerso che “l’alterazione” sarebbe anche reversibile, se solo “cessassero esplosioni, inquinamento acustico ed esercitazioni militari”. Questo riguarda sia “le specie animali non legate alla componente vegetazionale”, sia quelle tutelate a livello comunitario. Il primo gruppo include la berta maggiore, il gabbiano corso, il marangone, il tarantolino e la cheppia; nel secondo sono citati il falco pescatore, il calandro, la magnanina sarda, la volpe rossa, la donnola, il cinghiale e il gabbiano reale zampegialle.
La lista degli indagati il pm l’aveva stilata. In base agli atti. Quindi ecco i nomi di Giuseppe Valotto, Claudio Graziano, Danilo Errico, Domenico Rossi e Sandro Santroni. Ovvero i capi di Stato maggiore che si sono succeduti dal 2009 al 2015. Ma “a nessuno – ha scritto il Pm nella richiesta di archiviazione – si può imputare il disastro ambientale a titolo di dolo o colpa”. Secondo il magistrato, le esercitazioni vengono decise “dall’amministrazione della Difesa nel convincimento di adempiere al dovere in modo adeguato”. E in questo solco il Pm fa rientrare pure “il compito di addestrarsi in modo adeguato ed efficace“. Non è finita: le stesse attività nella penisola Delta “erano ritenute necessarie e imprescindibili per assicurare la corretta preparazione tecnica e psicologica del personale militare”, spiega ancora il magistrato inquirente.
Di qui appunto la richiesta di archiviazione su cui il Gip dovrà esprimersi nei prossimi mesi. Sardinia Post ha contattato gli avvocati Doglio e Peara, che si limitano a una conferma: tutti i legali delle persone offese si opporranno alla decisione del Pm che verrà discussa in camera di consiglio. Si può ipotizzare che il lavoro degli avvocati sarà incentrato su un presupposto certo: l’esistenza di un disastro ambientale nel poligono di Teulada. Una condizione, questa, che lo stesso pubblico ministero ha certificato attraverso i periti. Ma quando in Italia si apre una battaglia legale contro la Difesa, l’esito sembra già scritto e quasi mai regala sorprese. Di giustizia.
da Sardinia Post, 20 dicembre 2019
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Una pioggia di fuoco da 860.624 colpi: inquinamento a Teulada, ecco le provedi Alessandra Carta
Sono le bombe, i razzi e i proiettili usati per i giochi di guerra. In gergo militare si chiamano, tutti insieme, munizionamento. Un totale di 860.624 colpi, tra lanci e spari. Quella pioggia di fuoco è caduta in otto anni, “dal 2008 al primo semestre del 2016” e “rappresenta solo un dato parziale”. Così ha scritto il pm di Cagliari, Emanuele Secci, nell’atto col quale il pubblico ministero ha però chiesto al Gip di far uscire dall’inchiesta su Teulada i cinque capi di Stato maggiore indagati. Di fatto i responsabili del poligono affacciato sulla costa sud-ovest della Sardegna. “Le esercitazioni”, sebbene siano la causa del disastro ambientale accertato, sono considerate dal magistrato inquirente “un dovere” professionale. Quindi a nessuno dei militari “si può imputare” il reato “per dolo o colpa”.
La posizione del Pm fa discutere da ieri, quando Sardinia Post ha reso pubblica la richiesta di archiviazione, a chiusura di sette anni di indagine su una trentina di esposti. Nel 2012 li hanno presentati gli stessi malati di cancro (o i parenti) che abitano a Teulada: una ventina di loro sono difesi dagli avvocati Roberto Peara e Giacomo Doglio; gli altri da Caterina Usala, Gianfranco Sollai e Giuseppe Putzu. I legali hanno già confermato la decisione di opporsi alla richiesta del pubblico ministero: setterà poi al Gip, nei prossimi mesi, l’ultima parola in camera di consiglio.
Quegli 860.624 colpi equivalgono a 556 tonnellate di munizionamento, che hanno devastato la penisola Delta, lembo di poligono dove il troppo inquinamento ha reso l’area “non bonificiabile”. Sono in tutto quattro chilometri quadrati di terra contaminatissima. E infatti chiusa al transito di militari e civili. Blocco totale, deciso dal ministero della Difesa che a Teulada occupa in tutto sessantotto chilometri quadrati.
Le informazioni sul disastro della zona Delta non sono frutto di un’indagine parallela: si ricavano piuttosto dalla stessa richiesta di archiviazione firmata dal Pm. Un paradosso. Tuttavia interessante per delineare i contorni di un pezzo di Sardegna che mai più tornerà come prima. Il pubblico ministero ha certificato “l‘alterazione irreversibile riguardante i suoli e la componente floristico-vegetazionale. O, se reversibile – è il riferimento a diverse specie animali – per la sua eliminazione occorreranno mezzi e risorse eccezionali”.
Nella penisola Delta le esercitazioni sono andate avanti per “cinquant’anni”, è scritto ancora nell’atto del magistrato. Era quella la zona bersaglio “per tutti i sistemi utilizzati dalle Forze armate italiane e straniere (nella foto di copertina di Contropiano.org)”. Il cuore delle prove di guerra. L’elenco è da brivido. E si tratta comunque delle sole informazioni a cui la magistratura ordinaria ha accesso, perché non coperte da segreto di Stato. Lì sono arrivati “colpi di mortaio e artiglierie; missili filo guidati; tiri navali contro costa; bombardamento e mitragliamento aereo; sganci di emergenza (sempre per gli aerei)”.
Per capire la portata dell’inquinamento nella zona Delta basta un dettaglio: lo stesso ministero della Difesa ritiene che “il ripristino ambientale non sia né possibile né conveniente“. Ancora: “Contrariamente a quanto accaduto” in altre parti del poligono, “nella penisola Delta non veniva effettuata alcuna operazione di bonifica dei residui bellici”. Eppure, per il pm Secci nessun capo di Stato maggiore è responsabile per l’inquinamento a Teulada, visto che “le esercitazioni rientrano tra i doveri militari”, è scritto nella richiesta di archiviazione.
Proprio il disastro ambientale sarà con molta probabilità il presupposto certo su cui gli avvocati costruiranno le opposizioni da consegnare entro la fine del mese, per restare nei tempi imposti dal Pm che ha depositato il proprio atto lo scorso 11 dicembre. Davanti al Gip si preannuncia una battaglia durissima. In gioco ci sono due pilastri della Costituzione: il diritto alla giustizia e quello alla salute.
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