(Corrispondenza)
SE DIVENTEREBBE LUI PREMIER, ALLORA SI' CHE LE COSE CAMBIERESSERO
Il Televideo
Rai di lunedì ventidue gennaio riporta, nella sezione Politica
(pagina 120 e seguenti) una dichiarazione del candidato pentastellato alla
presidenza del Consiglio dei ministri, il napoletano Luigi Di Maio.
Costui, noto per la sua scarsa confidenza con la lingua italiana –
in particolare con la declinazione del modo congiuntivo – afferma che, se il
capo del Governo è ufficialmente in campagna elettorale, dovrebbe dimettersi.
Mi piacerebbe sapere quali effetti potrebbe mai pensare di
ottenere, l’assai poco “onorevole” partenopeo, da eventuali dimissioni della
quarta carica dello Stato: le elezioni sono già state indette, e l’esecutivo è
in carica per i soli affari ordinari.
Secondo quanto prescrive la Legge, il presidente della Repubblica,
accettata la remissione dell’incarico, dovrebbe operare un giro di
consultazioni tra le forze politiche e, in caso di mancato accordo tra queste
su una figura a cui affidare la formazione di un nuovo Governo, dovrebbe indire
le elezioni.
Peccato che questo passaggio sia già stato scavalcato dagli
avvenimenti che hanno portato allo scioglimento delle Camere: a questo punto il
Gentiloni resterebbe comunque in carica, vanificando ogni possibile effetto
pratico delle dimissioni.
Ora sappiamo che il Di Maio, oltre ad essere un profondo
conoscitore della lingua italiana, è anche un fine disquisitore di vicende
legate all’ordinamento costituzionale, che – in qualità di candidato grillino
alla presidenza del Consiglio dei ministri – dovrebbe aver quanto meno letto.
Bosio (Al), 23 gennaio 2018
Stefano Ghio - Proletari Comunisti Alessandria/Genova
Nessun commento:
Posta un commento