- il video del Comitato per l'India circola in tutta italia
Guarda e ascolta il video:
Invitiamo tutti a farlo ampiamente circolare in tutte le maniere,
organizziamo ovunque iniziative, video-assemblee, petizioni e campagne internet
Costruiamo ovunque è possibile comitati popolari di solidarietà
info csgpindia@gmail.com
Il 26 e il 27 gennaio
2018 si tengono a livello internazionale due giornate di iniziative
in solidarietà e per la liberazione dei prigionieri politici
dell’India. L’appello è stato lanciato nella sua ultima riunione
dal Comitato di sostegno alla guerra popolare in India. Si stima
attualmente che ci siano circa 10.000 prigionieri politici nelle
carceri indiane, la maggior parte accusata di appartenere ai
“naxaliti”, che è la definizione più frequente usata dal
governo e dai mezzi di comunicazione di massa al posto di “maoista”,
nome che i governi indiani danno a chiunque si ribelli alle sue
politiche in totale dispregio dei diritti umani e delle stesse leggi
del paese.
Tra i prigionieri
politici negli ultimi tempi è aumentato esponenzialmente, oltre al
numero dei “maoisti”, anche il numero degli intellettuali,
scrittori, giornalisti e professori universitari. Uno di questi è il
Professor GN Saibaba. Si tratta di un professore invalido al 90
percento e sulla sedia a rotelle condannato all’ergastolo. La
condanna all’ergastolo – dice l’associazione dei lavoratori
indiani in Inghilterra - emessa il 7 marzo 2017 dal Tribunale
distrettuale di Gadchiroli, stato del Maharashtra, contro il
Professor G N Saibaba della Delhi University è scandalosamente
ingiusta. La corte lo ha condannato insieme ad altri cinque in base
alla draconiana legislazione antiterrorismo, Unlawful Activities
Prevention Act (UAPA). I cinque condannati insieme a Saibaba sono il
giornalista e
attivista Prashant Rahi, lo studente della Jawaharlal Nehru University Hem Mishra e gli adivasi Pandu Narote, Mahesh Tirki e Vijay Tirki. (i primi cinque sono stati condannati all’ergastolo, Vijay Tirki a 10 anni di carcere).
attivista Prashant Rahi, lo studente della Jawaharlal Nehru University Hem Mishra e gli adivasi Pandu Narote, Mahesh Tirki e Vijay Tirki. (i primi cinque sono stati condannati all’ergastolo, Vijay Tirki a 10 anni di carcere).
“È chiaro che la
sentenza è stata decisa per terrorizzare tutte le voci democratiche
di dissenso contro il governo delle caste superiori Brahmaniche
Hindutva del BJP. Se il giudice afferma che le accuse contro gli
imputati sono state “dimostrate oltre ogni ragionevole dubbio”,
secondo l’avvocato difensore non vi è quasi nessuna prova contro
di loro. Va ricordato che nel 2013 la polizia per due volte perquisì
illegalmente l’abitazione del dottor Saibaba, sequestrando i dischi
rigidi dei suoi computer senza sigillarli (come richiesto dalla
procedura di polizia), gli stessi che hanno poi prodotto in tribunale
come prova. Quei dischi rigidi possono essere stati facilmente
manomessi mentre erano in possesso della polizia. Successivamente,
nell’aprile 2014, la polizia del Maharashtra ha sequestrato lo
stesso professore, costretto su sedia a rotelle, e lo ha incriminato
in base a diversi articoli del UAPA, accusandolo di fare guerra
allo Stato indiano. Nell’aprile 2016 la Corte Suprema ha
concesso a Saibaba la libertà su cauzione incondizionata, motivata
dal suo stato di salute - soffre di disabilità al 90% - e dal fatto
che tutti i testimoni nel processo erano già stati interrogati.
“Durante i due anni
trascorsi in attesa di giudizio nella prigione centrale di Nagpur, a
Saibaba sono state negate terapie e assistenza medica, causando il
rapido peggioramento della sua salute. Dopo la libertà su cauzione,
lo scorso anno, Saibaba è stato in cura per problemi cardiaci,
calcoli alla cistifellea, pancreatite e ipertensione arteriosa. È
stato anche sottoposto a fisioterapia per le varie complicazioni
ortopediche che si erano sviluppate alla schiena e alle spalle mentre
era in prigione. È stato ricoverato in terapia intensiva in un
ospedale di Delhi ed è stato dimesso solo il 28 febbraio 2017. Si
stava preparando a sottoporsi ad intervento chirurgico per la
rimozione della cistifellea, che avrebbe dovuto effettuarsi entro un
mese, quando, il 6 marzo, si è recato al tribunale di Gadchiroli per
assistere alla lettura della sentenza. A Saibaba era stato lasciato
intendere che avrebbe dovuto solo presenziare in tribunale per un
paio d’ore e che sarebbe stato assolto. Invece, all’arrivo in
tribunale Saibaba è stato immediatamente preso in custodia e
condannato al carcere a vita. La corte ha anche illegittimamente
rigettato la richiesta del suo difensore di emettere, sulla base
delle sue condizioni ortopediche e degli altri disturbi, un ordine
aggiuntivo che garantisse in carcere a Saibaba l’assistenza e le
cure mediche per lui vitali.
“Il professor Saibaba
ha sempre lottato per i diritti dei contadini senza terra, delle
popolazioni adivasi (indigeni), dei dalit (intoccabili), della classe
operaia e degli altri settori sfruttati e oppressi della società
indiana. Il professore è stato e resta una voce ascoltata contro la
razzia degli stati centrali e orientali dell'India, dove gli Adivasi
stanno difendendo le loro acque, le foreste e le terre per impedire
che diventino preda dell’avidità delle compagnie minerarie. Ha
instancabilmente denunciato il dispiegamento da parte del governo di
oltre 100.000 forze paramilitari, in tutte le sue forme, dalla
Operazione Green Hunt agli eserciti privati appoggiati dallo stato,
come il Salwa Judum. È questa voce coraggiosa del professor Saibaba
e dei suoi compagni che lo Stato indiano vuole soffocare. La sentenza
del tribunale distrettuale è una prova di quanto docilmente i
tribunali in India sono pronti a piegarsi alle pressioni dello stato
di polizia.
“Condanniamo la
sentenza contro il professor Saibaba, Prashant Rahi, Hem Mishra,
Pandu Narote, Mahesh Tirki e Vijay Tirki. Chiediamo che a tutti sia
concessa la libertà su cauzione, garantito un processo equo, e che
il professore Saibaba, costretto su sedia a rotelle, sia trattato in
modo umano, conformemente alla Convenzione delle Nazioni Unite sui
diritti delle persone con disabilità.”
Una parte del mondo
intellettuale, quindi, si è attivata per richiedere la sua
liberazione, tra questi la nota scrittrice Arundhaty Roy, minacciata
anche lei di essere arrestata per la solidarietà espressa a Saibaba,
ed ha in corso diverse iniziative. Il “caso” è emblematico ed è
stato sottoposto anche all’Unione Europea. La cui risposta, del 4
gennaio di quest’anno, per mezzo della Mogherini, Alto
rappresentante dell'Unione per gli affari esteri, è intrisa di
ipocrisia e cinismo, nonché complicità e copertura di fatto con ciò
che il governo indiano sta attuando in India contro il suo stesso
popolo.
“Come firmataria delle
principali convenzioni internazionali sui diritti umani e dato il suo
impegno nei confronti delle Nazioni Unite (ONU), la Repubblica
dell'India ha compiuto sforzi costanti per progredire nel rispetto
dei diritti umani e dei principi democratici. In connessione con la
sua appartenenza al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite
…, ha promesso ulteriori azioni per migliorare la situazione dei
diritti umani …, con particolare attenzione allo sviluppo
socio-economico e all'eliminazione della povertà.
“L'UE continua a
seguire il caso del professor Saibaba condannato dal tribunale del
distretto di Gadchiroli del Maharashtra nel marzo 2017. Poiché il
professor Saibaba ha presentato un ricorso contro il verdetto con
l'Alta corte di Nagpur, il caso è ancora sub judice. L'UE ha
sollevato il caso per motivi umanitari con le autorità indiane.”
Già in questo caso come
si vede vengono violati tutti i diritti previsti dentro e fuori
dall’India, ma tanti altri casi sono attualmente all’attenzione
di chi nel mondo denuncia i crimini del governo indiano, e si tratta
di quelli di alcuni importanti dirigenti del partito che dirige la
guerra popolare, il PCI (Maoista), come Ajit, responsabile
internazionale e autore di importanti scritti sull’India, Kobad
Gandhy
Il governo indiano, con a
capo attualmente Narendra Modi, rappresentante del fascismo indù e
membro del partito nazionalista reazionario BJP, accusato di aver
preso parte in qualche modo allo sterminio dei musulmani dello Stato
del Gujarat nel 2002 di cui era primo ministro e che per tutto ciò
non ha mai pagato, nega fermamente ogni possibilità di vera
giustizia, calpestando i diritti previsti dall’ordinamento
giuridico indiano, per non parlare dei diritti umani.
Essenzialmente è questa
la risposta del governo responsabile di un vero e proprio genocidio
condotto nei confronti dei contadini soprattutto, appartenenti ad
alcune caste e popolazioni che abitano in particolare le foreste e le
zone più arretrate del Paese. Si tratta di centinaia di milioni di
persone che vengono letteralmente cacciate, non a caso una delle
“operazioni” in corso da parte del governo si chiama Operazione
Caccia Verde (Green Hunt in inglese, mentre la nuova si chiama
Mission 2017!), dalle loro terre e dalle loro case, spesso rinchiuse
poi in veri e propri campi di concentramento per liberare le zone da
vendere alle multinazionali dello sfruttamento minerario, della
costruzione di mega infrastrutture o mega fabbriche anche in assoluto
dispregio dei vincoli ambientali. La distruzione che ne consegue
delle terre, delle acque e delle foreste distrugge al contempo la
natura e l’habitat di queste popolazioni in nome dello “sviluppo”.
Questo è il modo di intendere lo
sviluppo dei vari governi dell’India, ultimo questo di Modi! La
ricerca spasmodica del profitto porta alla distruzione di intere aree
del Paese. In un paese ricchissimo di popolazione (l’India è un
paese grande 10 volte l’Italia, ha oltre un miliardo e 300 milioni
di abitanti, secondo solo alla Cina) e di materie prime, (87
tipi di minerali (di cui 4 combustibili fossili, 10 ferrosi, 47
non-ferrosi, 3 nucleari e 23 minerali minori)
oro,
rame, ferro, piombo, bauxite, zinco e uranio
…carbone, minerali…
la metà della popolazione vive con 50 centesimi di dollaro al
giorno! Cioè fa letteralmente la fame. I contadini in particolare
che rappresentano circa il 70 per cento della popolazione totale
vivono in condizioni di estrema povertà, sono costretti a fare
prestiti per portare avanti la produzione agricola, prestiti che poi
non riescono a pagare, e alla fine si suicidano. Circa 12.000 ogni
anno! C’è il più alto tasso al mondo di suicidi tra i contadini
tra i 30 e i 60 anni (e sono solo (!!!) il 9 per cento dei suicidi
totali!).
I circa 100 milioni di
operai industriali, anche questi spesso molto giovani, sono costretti
a vivere in condizioni da “capitalismo selvaggio”,
supersfruttati, senza alcuna sicurezza sul lavoro e diritti
sindacali, quando ci sono, quasi impossibili da far valere. Il
governo cerca di impedire in tutti i modi la formazione di
organizzazioni sindacali: il caso della fabbrica di automobili Maruti
Suzuki è emblematico, gli operai si erano organizzati perché
volevano essere pagati per il lavoro svolto e invece ricevevano
continui rinvii e perfino licenziamenti; allora hanno iniziato a
lottare dentro e fuori la fabbrica sempre attaccati dai dirigenti
dell’azienda con i loro squadroni armati privati e in più è
arrivato l’esercito che ha caricato più volte per allontanare gli
operai dai cancelli… per questi scontri 13 operai sono ora in
carcere condannati all’ergastolo!
In questo Stato
semifeudale e semicoloniale, in cui la politica della
“globalizzazione imperialista” adottata dal governo indiano nel
1991 come nuova politica economica ha dimostrato che l’analisi dei
compagni che avevano scatenato la Rivolta di Naxalbari era giusta,
analisi che caratterizzava lo Stato come una alleanza di forze
compradore, feudali e imperialiste.
Le multinazionali trovano
in tutto questo un vero paradiso. Possono investire fino al 100 per
cento in tanti rami di produzione e portare via tutti i profitti!
Tanti i paesi imperialisti che investono in India: l’Italia è
presente con colossi come la Fiat, Fincantieri, l’Eni, Ferrero,
Piaggio, Pirelli, Ansaldo, ecc.
È per garantire il
profitto di queste multinazionali, e di quelle interne come la Tata,
Mittal, Mahindra ecc. che il governo dell’India è spietato contro
il proprio popolo, ma quello che fa viene denunciato da tante parti,
dentro e fuori dal Paese: dalle organizzazioni per i diritti umani e
dai tanti comitati sparsi in tutto il mondo.
La politica contro le
masse è fatta con l’uso massiccio di militari ed esercito, di
squadroni della morte, con attacchi generalizzati dei fascisti indù,
contro i dalit e i musulmani, perfino con il divieto di macellazione
dei bovini, con l’evacuazione forzata di intere popolazioni, con
stupri di massa delle donne come arma di guerra, esseri umani
trattati come animali da cacciare, con l’oltraggio delle salme, lo
smembramento dei corpi fino a renderli spesso irriconoscibili… Un
elenco di atrocità a dir poco impressionante che ricorda quelle dei
nazisti…
Una ferocia che si
scarica in particolare contro le masse e i maoisti impegnati nella
guerra popolare.
Una guerra popolare la
cui presenza è attestata, ormai anche dalle stesse fonti
governative, in 16 Stati, in particolare Dandakaranya, Andra Odisha
Border, Jharkhand, Bihar, Ghat occidentali e altri che fa gridare
ogni giorno il governo: “i maoisti sono la più grande minaccia
interna per il paese” . e invece sono gli stessi che guidano oramai
una lotta acutissima e con tutte le armi a disposizione delle masse e
dei contadini, soprattutto delle caste considerate intoccabili, come
gli Adivasi, Dalit ecc., e delle organizzazioni di massa presenti
nelle grandi metropoli; sono i dirigenti e i militanti del Partito
Comunista dell’India (Maoista) un partito di cui le masse indiane
hanno sentito e sentono ogni giorno di più la necessità per
scrollarsi di dosso il peso delle atrocità commesse dal governo
indiano e da tutti i suoi apparati di sicurezza.
Una lotta contro il
governo genocida che si estende oramai in metà del Paese dal nord al
sud.
La risposta del Partito a
questi attacchi senza fine è certo militare ma non solo! Nei suoi
documenti si può leggere che a fronte della repressione oltre
all’aumento delle azioni militari la risposta è mobilitare in
maniera più ampia le masse sui problemi della loro vita quotidiana,
sulle questioni sociali e politiche. Si legge che non tutti i governi
sono uguali, si esaminano le differenti caratteristiche e se ne
tracciano traiettorie ed esiti; che la guerra popolare è di fatto
un’alternativa di sviluppo! L’importante non sono i fucili ma i
principi, gli uomini! E ancora: “Le masse circondano le stazioni di
polizia, assediano gli ufficiali, si riprendono i corpi dei martiri e
gli rendono l’estremo saluto”. Ecco perché la guerra popolare
resiste all’offensiva nemica.
Un capitolo a parte deve
essere dedicato alle donne che subiscono le peggiori e inaudite
violenze e torture ben conosciute oramai a livello mondiale, per le
quali il governo è il concentrato di tutte le oppressioni,
feudal-patriarcali… ma dall’altro le donne sono nel fronte
dell’opposizione più conseguente, radicale e inestirpabile tanto
più quanto più il governo mostra tutto il suo fascismo. Stiamo
parlando delle donne degli organismi di massa ma soprattutto di
quelle che oramai compongono buona parte dell’Esercito Popolare di
Liberazione.
Nel segno della
solidarietà attiva il Partito Comunista dell’India, che nel
frattempo sta sviluppando il nuovo potere (Janatana Sarkar) in cui un
fronte unito autonomo e autosufficiente esercita il potere sui
contadini piccoli medi e ricchi, sostiene la lotta del Kasmir
occupato dall’India e lavora per un fronte unito anche contro
l’espansionismo indiano. Tutto questo crea una “polarizzazione”
di fatto: da un lato il governo e tutti i suoi apparati repressivi
interni ed esterni e dall’altro tutti quelli che contro questo
vogliono lottare.
Davanti a questo scempio
di uomini e cose si è sviluppata e si sviluppa la solidarietà
all’interno del Paese e anche a livello internazionale,
assolutamente necessaria per dare voce, fare informazione,
controinformazione e raccogliere sostegno da tutti coloro che pensano
che sia assolutamente insopportabile una situazione in cui giovani
donne e bambini, uomini e anziane e anziani, prigioniere e
prigionieri politici vengano trattati in maniera disumana, spesso
torturati e uccisi come animali. Tanto più che davanti ad una
situazione di questa ampiezza istituzioni e mezzi di comunicazione di
massa sono sordi e ciechi, di tanto in tanto pubblicano delle notizie
o degli “speciali” e poi il silenzio, per loro è come una di
quelle guerre che definiscono in maniera interessata “dimenticate”.
In questi anni però la
solidarietà alle masse indiane e ai prigionieri politici e alla
guerra popolare si è comunque espressa in varie forme: arriva dai
paesi europei come Italia, Francia, Germania, Galizia, così come dal
Brasile e dai paesi dell’America Latina, e poi dalle Filippine e da
Canada e tanti altri. E per chi vuole oramai ci sono tantissime
immagini e filmati che documentano i fatti: dalla distruzione dei
villaggi, alle accuse e alle incarcerazioni, alle torture agli
stupri, per chiunque non sia d’accordo con i piani di “sviluppo”
del governo.
Le tante manifestazioni
di solidarietà che si sono sviluppate e alle quali facciamo appello
in questi due giorni esprimono con forza la necessità della
liberazione di tutti i prigionieri politici.
Le forme della
solidarietà sono state tante: dalla raccolta delle firme, alla
produzione e distribuzione di dossier, alle manifestazioni pubbliche,
artistiche, davanti alle ambasciate e ai consolati, coinvolgimento di
personalità democratiche, giovani, donne, lavoratori, masse
popolari… è importante anche poter sviluppare comitati in ogni
paese che possano essere coordinati nelle azioni e renderle così più
incisive (come si è fatto per il Vietnam, per fare un esempio). E
ancora coinvolgere personalità democratiche… Invitiamo a
svilupparne tante altre che siano da
contributo effettivo per mettere in pratica la parola d’ordine
della campagna:
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