domenica 21 gennaio 2018

pc 21 gennaio – A 97 anni dalla sua fondazione l’importanza del Partito Comunista d’Italia e della sua guida effettiva: Antonio GRAMSCI

Se in Italia nasce e vive il movimento comunista lo dobbiamo ad Antonio Gramsci.
Della battaglia che fa Gramsci per la fondazione del partito comunista, vogliamo mettere in rilievo tre caratteristiche fondamentali, che sono di grande lezione per i comunisti di oggi, nella battaglia odierna per costruire il partito comunista odierno di tipo nuovo:

- che la nascita/costruzione del partito comunista non è un mero atto organizzativo, ma è frutto di una lotta ideologica, politica, pratica contro le correnti e i loro rappresentanti che ostacolano e deviano questa costruzione;

- che la costruzione del partito comunista avviene nel fuoco della lotta di classe, in stretto legame con le masse;

- che il partito comunista è basato e ha al centro la classe operaia, i suoi dirigenti
sono riconosciuti dalla classe operaia (classe che è viva e vegeta tuttora, al di là delle statistiche interessate della borghesia, che vuole miseramente nascondere e portare confusione su un dato di fondo, materialistico: finché vige il sistema del capitale è la forza-lavoro operaia da cui il capitale tre i suoi profitti; finché ci sono i padroni ci sono gli operai).

Il 21 gennaio 1921 – con il Congresso di Livorno al teatro San Marco avviene la fondazione del Partito Comunista d'Italia, sezione della III Internazionale.
Il congresso di Livorno segnò la presa di coscienza da parte della classe operaia italiana della necessità di affermare la propria autonomia soggettiva, di affermare una chiara posizione di classe, di costruirsi un proprio organismo politico.
Fu un atto di rottura radicale a livello ideologico e quindi organizzativo e politico con la borghesia, soprattutto la piccola borghesia che aveva dominato fino allora il PSI, partito operaio come composizione sociale, ma ideologicamente debole e diviso, aperto a tutte le concezioni e idee borghesi. Fu la rottura storica con il riformismo alla Turati e con l'opportunismo di ogni forma e colore, da quello anarco-sindacalista a quello massimalista. Fu l'affermazione del ruolo dirigente nel processo rivoluzionario, della classe operaia, della necessità della rivoluzione, della esigenza di darsi una strategia ed una tattica per la presa del potere, della supremazia della ideologia proletaria e del suo valore egemonico per unire tutti gli strati del popolo.
Fu il primo atto di unità dei comunisti, dei marxisti-leninisti in Italia e quindi una tappa
fondamentale per l'unità di tutto il popolo, per l'unità storica tra il Nord ed il Sud, fra operai ed intellettuali, sotto la direzione della classe operaia.

A Livorno in definitiva, si sono poste le basi costitutive del Partito di classe del proletariato italiano.
Negli anni dopo, tutta la storiografia ufficiale del Pci, di scuola togliattiana ha affermato l'essere stata la scissione di Livorno un “fatale errore di settarismo che dividendo il “fronte delle sinistre” avrebbe favorito l'avvento del fascismo.
Ma la responsabilità più grande della divisione delle sinistre e dell'avvento del fascismo va al riformismo di Turati ed al massimalismo opportunistico di Serrati. Costoro divisero, disorientarono, disarmarono da ogni punto di vista le masse popolari, ad iniziare dall'abbandono in cui fu lasciato il moto dell'occupazione delle fabbriche nel 1920. La fondazione del Partito Comunista d'Italia anzi rappresenta sempre per usare le parole di Gramsci: “l'unica sconfitta fisica ed ideologica del fascismo e della reazione nei tre anni che vanno dal '20 al '22.
La fondazione del Partito Comunista d'Italia, pur avvenuta in pieno riflusso della classe operaia, rappresenta un momento di coesione nelle file proletarie ormai divise e sulla difensiva, un argine che non si ruppe contro la barbarie fascista, un punto di riferimento essenziale per tutto il movimento operaio. Nel crollo delle strutture del decrepito PSI, nel crollo di tutte le vecchie forme organizzative e associative della classe operaia, il Partito Comunista d'Italia di Gramsci rappresentò, pur con i suoi limiti, la spina dorsale, l'ossatura fondamentale del movimento, piccola, ma suscettibile di divenire l'armatura di una più vasta formazione, di un ben più ampio esercito. E così accadde: quell'ossatura debole e minuscola, ma d'acciaio perché costituita da operai, permeata dalla concezione proletaria del mondo, si sviluppò e divenne l'asse portante della grande resistenza antifascista.
I limiti che accompagnarono la fondazione del Partito furono dovute da un lato a cause oggettive –lo stato di guerra civile e l'offensiva fascista – ma dall'altro a cause soggettive e cioè la prevalenza nel Partito per alcuni anni del dogmatismo di Amadeo Bordiga, che frenò assai la capacità egemonica dei comunisti sulle masse, non permise al Partito di mettere in pratica tutte le direttive della III Internazionale e gli insegnamenti di Lenin, si isolò spesso nell'organizzativismo e nel settarismo, non rivolgendosi fino in fondo a quegli ampi settori della classe operaia che all'atto della scissione non seguirono i comunisti, ma restarono, pur nel più grande disorientamento con i socialisti.
Per questo Gramsci deve condurre nei primi anni della nascita del Partito comunista d'Italia una lotta contro Bordiga. È una dura lotta, combattuta nel fuoco della lotta di classe, perché all'atto della nascita del partito Gramsci è unicamente una delle correnti, il partito è saldamente nelle mani di Bordiga. Gramsci si “prende” il partito, ma c'è Bordiga che porta avanti una linea ideologicamente settaria e nella pratica attendista: i fascisti bruciano le sedi, Gramsci dice: che facciamo, andiamo con gli arditi del popolo? Bordiga dice: dobbiamo prima parlare...
Non c'è nessun dirigente comunista che abbia prodotto una lotta acuta come quella di Gramsci, arrivando nel 1926 ad un risultato storico: le Tesi di Lione, che sono l'applicazione del marxismo-leninismo alla realtà, soprattutto dei paesi imperialisti.

Non c'è stato nessun dirigente dei partiti comunisti nei paesi imperialisti che diviene tale dopo essere stato capo riconosciuto del movimento operaio.
Gramsci è l'inventore della parola: facciamo come in Russia, occupiamo le fabbriche e gli operai lo fanno; Gramsci dice che gli operai devono studiare e gli operai lo ascoltano; Gramsci dice bisogna fare il giornale. Gramsci parla dello sport, di fare le squadre di calcio.
Gramsci è una miniera.

Gramsci, nei fatti, anticipa la “parola d'ordine” (che diventerà carne e sangue centrale nella Rivoluzione culturale proletaria in Cina): la classe operaia deve decidere tutto, la fabbrica come l'università.
L'intreccio tra classe e partito fa sì che Gramsci sia l'unico erede effettivo di Lenin. Lenin
riconosce a Gramsci di essere il referente chiave in Italia, guida sul campo.

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