Riceviamo da V. del Circolo Proletari Comunisti di Palermo e pubblichiamo
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E’ di qualche giorno fa la notizia che al TAR di Bologna una praticante
avvocato, Asmae Belfakir, 25 anni, di origine marocchina, laureata alla Facoltà
di Giurisprudenza di Modena con il voto di 110 e lode, è stata gravemente
discriminata da uno dei membri componenti il collegio giudicante: un giudice,
tale Mozzarelli Giancarlo, accortosi che la giovane donna indossava il tipico
velo islamico, ha ordinato alla stessa di toglierlo altrimenti sarebbe dovuta
uscire dall’aula. La praticante si è rifiutata orgogliosamente e ha abbandonato
i locali.
Non era la prima volta che Asmae Belfakir entrava in un’aula di
tribunale: la donna, sempre indossando il velo, aveva già preso parte ai fini
della pratica forense ad altre udienze al TAR di Bologna (in qualche occasione
pure con lo stesso Mozzarelli che nulla aveva avuto da obiettare in quelle
circostanze…), ed addirittura anche al Consiglio di Stato, e mai nessuno aveva
avuto nulla da ridire. Stavolta invece, qualcosa è scattato nella testa del
Mozzarelli, che ha accompagnato l’uscita dall’aula di Asmae con la
giustificazione che “si tratta del rispetto della nostra cultura e delle nostre
tradizioni”.
E’ necessario premettere che l’art.129 c.p.c. prevede che l’ingresso
nelle aule di tribunale debba
essere consentito a chi indossi abiti consoni ed a chi, per ovvi motivi di sicurezza, sia identificabile. Nel caso de quo la Dottoressa aveva sicuramente abiti appropriati ed era identificabile, altrimenti gli addetti alla sicurezza presenti agli ingressi esterni, siano essi appartenenti a soggetti privati ovvero alle forze di pubblica sicurezza, ne avrebbero impedito l’entrata (e d’altronde, se si fanno accedere le suore, ammantate dai loro tipici abiti che le rendono difficilmente riconoscibili, non si vede quali problemi avrebbe potuto creare l’abbigliamento di Asmae…).
essere consentito a chi indossi abiti consoni ed a chi, per ovvi motivi di sicurezza, sia identificabile. Nel caso de quo la Dottoressa aveva sicuramente abiti appropriati ed era identificabile, altrimenti gli addetti alla sicurezza presenti agli ingressi esterni, siano essi appartenenti a soggetti privati ovvero alle forze di pubblica sicurezza, ne avrebbero impedito l’entrata (e d’altronde, se si fanno accedere le suore, ammantate dai loro tipici abiti che le rendono difficilmente riconoscibili, non si vede quali problemi avrebbe potuto creare l’abbigliamento di Asmae…).
Occorre poi aggiungere che il nostro Ordinamento è di tipo laico ed
aconfessionale, almeno sulla carta, dopo la riforma dei Patti Lateranensi del 18.02.84.
Detto ciò, è evidente che ci troviamo di fronte all’ennesima
discriminazione che colpisce una donna, in questo caso addirittura doppia: infatti,
Asmae Belfakir è stata discriminata sia in quanto donna, sia per il suo credo
religioso. La gravità del fatto è acuita poi dalla considerazione che la
discriminazione sia stata posta in essere da parte di un alto funzionario dello
stato italiano, incaricato di rispettare le leggi applicandole. Non sappiamo se
riesca ad espletare tale incarico in modo confacente; certo è, però, che non è
suo compito stabilire quale cultura si debba fare rispettare a discapito di
altre, anche perché, in uno Stato laico e democratico, le Culture devono essere
tutte rispettate!
E’ preoccupante che dopo il caso Bellomo un altro giudice finisca agli
onori della cronaca per i suoi atteggiamenti discriminatori nei confronti delle
donne: dalle aule dei tribunali che dovrebbero essere luoghi di Giustizia (e dove
purtroppo spesso le donne vanno per trovare Giustizia per i torti subiti da
uomini che odiano le donne), arrivano invece ulteriori attacchi…così non va!
Urge da parte di tutti, Donne e Uomini, una reale presa di coscienza del
problema e di conseguenza dare forte un segnale di lotta sociale affinchè cessi, una volta per
tutte, l’oppressione a cui continuano ed essere sottoposte le donne, e raggiungere
così un’effettiva parità di genere!
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