Veniamo da un'estate di sgomberi violenti e guerra ai poveri che ha
trovato il suo momento apicale nella vergogna di piazza Indipendenza,
nelle decine di rifugiati e senzatetto, donne, uomini, bambini, anziani,
portatori di handicap caricati e picchiati senza pietà.
Dieci anni
di crisi economica e di governi dell'austerità hanno disintegrato quel
che restava del welfare e affollato il gradino degli ultimi e dei
penultimi nella gerarchia
dell'ingiustizia sociale. Un disastro fatto di distruzione dei diritti e
tagli sociali, di sudditanza alla furia liberista della BCE che ha
accresciuto a dismisura la forbice di ricchezza tra una minoranza di
privilegiati e i tantissimi che stanno precipitando verso il basso. In
questo quadro l'unica strategia perseguita dai governi e da quasi
tutti i
partiti è stata la costruzione del "nemico pubblico" per dirottare il
malessere sociale nel conflitto orizzontale verso migranti e rom e più
in generale verso i precari, i poveri e quanti non trovano posto in un
ordine sociale fondato sull'esclusione. In particolare verso chi non si
arrende e lotta per difendere i propri diritti calpestati.
Criminalizzare la lotta per la casa ad esempio è stato un obiettivo di
tutti gli ultimi governi, dopo essersi totalmente disimpegnati da ogni
politica per l'abitare. Negare prima la residenza e i diritti
costituzionali e poi lo stesso diritto di esistenza a chi vive in
emergenza abitativa, a chi occupa per avere un tetto. Il ministro
Minniti rappresenta senza dubbio l'apice di questa strategia, prima con
gli accordi sciagurati ai danni di profughi e rifugiati per contendere
il terreno elettorale della xenofobia a Salvini e al M5S, poi cercando
di silenziare con la forza ogni forma di autorganizzazione e di
soggettivazione dal basso nelle città italiane. La posta in palio è il
controllo repressivo ed escludente delle città. L'articolo 11 della
legge Minniti e anche l'ultima direttiva dopo i fatti di piazza
Indipendenza, malgrado il linguaggio ambiguo, mettono al centro un
dispositivo per moltiplicare gli sgomberi di palazzi occupati per
emergenza abitativa e spazi sociali liberati, che ha visto finora a Roma
e Bologna i suoi effetti più feroci. Sotto attacco c'è sicuramente la
lotta per la casa, in particolare quella parte della lotta per la casa
che prova a tenere vivo un discorso pubblico sul diritto all'abitare, ma
anche e più in generale tutte quelle esperienze, dagli spazi liberati
ai beni comuni, che rimettono al centro il diritto alla città tramite la
pratica diretta e dal basso.
Questo vento soffia anche sulla città
di Napoli che registra numeri drammatici per l'emergenza abitativa, che
sembrano invece interessare i media solo dietro gli stereotipi
fuorvianti dell'ordine pubblico senza interrogare le gravi
responsabilità della politica. Ma Napoli in questi anni è stata anche
il luogo di sperimentazione di mutualismo e solidarietà dal basso,
autorganizzazione, riuso e pratiche di riappropriazione. Sono tutte
queste le realtà che invitiamo al confronto ma anche quanti e quante si
rendono conto che in gioco non è "soltanto" il diritto alla casa e
all'accoglienza dei più deboli e discriminati o l'esperienza degli spazi
sociali autogestiti, ma in generale la lotta per una reale democrazia.
Vero una mobilitazione che sappia rispondere a tutto questo sul piano
locale e nazionale!
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