Riportiamo un breve stralcio di uno
scritto di Luca Mandara “Stiamo tutti sullo stesso barcone”
(contenuto nel libro “Crisi, governance, imperialismo), che spiega
(utilizzando anche un testo del Prof. G.A. Di Marco: Migranti ed
emancipazione umana nel mercato mondiale - ricordiamo che Di
Marco spesso collabora sia con scritti che con “lezioni” dirette
ai lavoratori, lavoratrici alla nostra Formazione operaia) come la
presenza dei migranti nelle cittadelle dell'imperialismo è una
inevitabile conseguenza delle stesse leggi del capitale e una
necessità per mantenere il saggio medio di profitto; ma come nello
stesso tempo anche la questione migranti non fa che mettere in luce
la contraddizione irrisolvibile del capitale e il suo necessario
superamento.
Questa faccia dell'immigrazione, spesso
celata dagli Stati, dai governi, dai mass media borghesi, e che crea
a volte anche contrasti tra l'interesse politico dei governi e quello
economico dei capitalisti, è importante anche per comprendere come
non ha alcuna base reale la “guerra tra poveri” creata dal
sistema.
*****
“... le bombe (delle guerre - ndr)
hanno uno strano potere contrattuale nell'aprire nuovi mercati e
nuovi orizzonti di espansione ai capitali delle potenze dominanti. La
mobilità della forza lavoro, inoltre, è una condizione soddisfatta
dalla soppressione di tutti i vincoli che impediscono lo spostamento
di manodopera da un ramo all'altro della produzione (flessibilità)
o da un luogo all'altro (mobilità); l'indifferenza del
lavoratore verso il tipo specifico di lavoro che dovrà compiere; la
semplificazione del lavoro e altre. Anche in questo caso la guerra ha
la sua funzione, in quanto ha come effetto di generare il lavoratore
mobile per eccellenza: “il migrante della globalizzazione sembra
incarnare quella necessità suddetta di un rapido movimento della
forza-lavoro, gettabile da una sfera di produzione all'altra affinchè
più rapidamente si livellino le differenti composizioni organiche
dei capitali nel saggio medio del profitto. Infatti, in particolare
la forza-lavoro migrante è indifferente, ovvero è ridotta e
costretta all'indifferenza, verso il contenuto del suo lavoro (…).
E i
capitali stessi spostandosi da una sfera della produzione
all'altra a seconda di dove i saggi di produzione sono più alti,
ovvero nell'incessante movimento di livellamento dei saggi di
profitto, sono sempre più indifferenti a questa o quella
composizione materiale o valore d'uso della merce prodotta. Così il
migrante deve fornire per la più gran parte lavoro semplice...”
(Di Marco).
Che queste condizioni non coinvolgano
solo i migranti ma che siano vissute quotidianamente dalla
maggiorparte di noi, è ben espresso dalla figura del precario e del
disoccupato... Che allora tra migranti e non-migranti, cioè tra
lavoratori, venga meno ogni barriera, sta nella realtà delle
cose...”
“...Il problema della concorrenza tra
lavoratori e della divisione dei lavoratori... (sono - ndr) fenomeni
funzionali alla sopravvivenza del capitalismo, un sistema di
produzione basato sullo sfruttamento delle classi lavoratrici...
“come i disoccupati residenti e i migranti che premono alle
frontiere sono essi stessi dei potenziali operai sempre a
disposizione del capitale, anche se non sono comandati immediatamente
nel processo lavorativo, allo stesso modo gli operai occupati,
residenti e immigrati-”integrati”, sono sempre potenziali
disoccupati grazie al loro stesso lavoro, poiché quel capitale, che
essi hanno creato con la loro forza produttiva, li rende
rimpiazzabili in qualsiasi momento grazie alla riserva dei potenziali
occupati che preme. Dunque, l'avversario degli occupati non è
costituito dai disoccupati, né dai migranti, ma è il capitale
l'avversario di entrambi. E poiché il capitale è vorace di
pluslavoro, ecco che l'interesse comune di occupati e disoccupati,
migranti regolari e irregolari, consiste nel cooperare per maturare
la comune indisponibilità a dare al capitale il novantanove per
cento della propria vita in tempo di lavoro non pagato” (Di Marco)
“... Il processo di produzione di
ricchezza che si fonda sulla presenza di forza lavoro umana, produce,
nella forma capitalistica, una manodopera eccedente a causa della
legge di accumulazione che implica l'aumento della produttività.
Bisogna ricordare che, essendo la classe lavoratrice la fonte della
produzione di valore e, quindi, di ricchezza sociale, sono gli stessi
lavoratori a produrre la proprie eccedenza al processo di produzione
e a generare il proprio ulteriore immiserimento, con la pressione dei
lavoratori disoccupati sulla manodopera occupata ora più flessibile
alle richieste di sfruttamento del capitale pur di non perdere il
lavoro e, con esso, i mezzi di sussistenza:Come la sovrapproduzione
vale per le merci-valore d'uso, così essa vale per la
merce-lavoratore. Questa sovrapproduzione determina l'abbassamento
del costo di questa particolare merce, l'uomo, tutto a favore delle
grandi imprese capitalistiche che hanno bisogno di immense quantità
di forza lavoro a prezzi bassi, data la dimensione delle loro
produzioni e per l'esigenza continua di accrescere la produzione.
Sono queste funzioni superiori della classe dominante, che trovano
negli organismi finanziari internazionali la loro somma espressione,
a consentire, previa regolamentazione statale, all'apertura delle
frontiere...
...il capitale deve, al tempo stesso,
produrre una sovrappopolazione senza mezzi di sussistenza come leva
della sua accumulazione e la tempo stesso, per poterla mantenere in
vita come leva dell'accumulazione, dovrebbe nutrirla, cioè negare
proprio quella condizione di povertà che la fa essere una tale leva
(…). Questa contraddizione insormontabile dimostra che il capitale,
più diventa la forma di produzione dominante, più è incapace di
dominare e quindi deve essere superato (Di Marco)...”
“...l'immigrato senza lavoro accresce
ulteriormente quella sovrappopolazione di cui la classe borghese ha
sì bisogno per aumentare la pressione sui lavoratori già occupati,
ma che è costretta a nutrire o in stato di libertà o in prigione.
Questo ci spiega la legislazione volta alla lotta all'immigrazione
clandestina, lotta a sua volta che ha un costo...
“...Per noi comunisti le lotte
interne alla classe dominante, che vediamo emergere sul problema
delle migrazioni, rappresentano un'occasione politica per forzare
ulteriormente le contraddizioni che il processo di produzione
borghese porta come propria dote nella forma di crisi economiche,
disoccupazione, sfruttamento, espropriazione di spazi pubblici,
guerra e, innuna parola, miseria. Tale azione pratica, costituendosi
come prassi di liberazione dell'uomo dai vincoli che ne impediscono
lo sviluppo, non è utopistica perchè è il capitalismo stesso a
portare in seno le condizioni del proprio superamento...”
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