(Di Paolo Colonnello)
Non c’è solo la grana delle presunte tangenti pagate in Nigeria.
Dallo stato africano questa volta a denunciare l’Eni si è alzata
nientemeno che la voce di un Re, il sovrano degli Ikebiri, tribù
composta da diversi villaggi situati sul delta del Niger nello stato di
Bayelsa. Secondo il monarca, la multinazionale petrolifera italiana non
avrebbe pagato il giusto risarcimento per il danno ambientale provocato
dalla rottura di una conduttura petrolifera a 250 metri da un torrente
con sversamenti che hanno inquinato il fiume e gli stagni adiacenti,
fondamentali per la vita dei villaggi, danneggiando la fauna ittica e la
vegetazione, compromettendo in modo irreparabile le fonti di
sostentamento della comunità.
La vecchia storia di Davide (Ikebiri) contro Golia (Eni)
Re e sudditi Ikebiri, grazie all’aiuto di Friends of The Eart, dopo essersi rivolti alla giustizia nigeriana, hanno deciso, attraverso l’avvocato Luca Saltalamacchia, di depositare un esposto anche a Milano, competente sulla sede centrale di Eni a San Donato. E oggi la citazione è stata notificata all’Ente controllato dal Tesoro, chiedendo la bonifica del territorio e un risarcimento “adeguato” pari a due milioni di euro. Si tratta del primo giudizio nel nostro ordinamento introdotto da una comunità straniera nei confronti di una multinazionale italiana.
Le trattative interrotte per un risarcimento
Il 5 aprile del 2010 la conduttura petrolifera, di proprietà della Naoc, società controllata dall’Eni in
Nigeria, è esplosa a 250 metri dal torrente che scorre nella zona settentrionale dei territori della comunità Ikebiri le cui principali attività economiche vanno dalla produzione dell’olio di palma, alla costruzione di canoe, alla pesca e all’agricoltura. Una comunità rurale ma sveglia, visto che ha deciso di promuovere una causa internazionale. Inizialmente gli Ikebiri si erano rivolti all’Eni, ottenendo «un pagamento di due milioni di naira, equivalenti a 6.000 euro attuali e a 10 mila nel 2010», spiega l’avvocato Saltalamacchia. L’offerta iniziale di 4,5 milioni di naira (pari a 13 mila euro attuali e 22 mila nel 2010) è stata rifiutata dal Re, che l’ha giudicata insufficiente. Da allora le trattative si sono interrotte e la comunità ha deciso di rivolgersi agli avvocati anche in Italia. I quali spiegano che «secondo gli standard applicati in passato dalle corti nigeriane, e tenuto conto del tempo trascorso dal 2010 a oggi senza che sia stata effettuata una bonifica, un risarcimento congruo dovrebbe ammontare a poco più di 700 milioni di naira, circa due milioni di euro».
“In molti si sono ammalati”
Spiega Emilia Mattew, residente della comunità Ikebiri che «in questi anni molti di noi si sono ammalati. La pesca, che è sempre stata auna nostra fonte di sostentamento è ormai a rischio. Anche le coltivazioni che comprendono le piante medicinali che usiamo per curarci, sono state compromesse…». Ai giudici milanesi, gli Ikebiri chiedono di «accertare la responsabilità dell’Eni e di Naoc in relazione allo sversamento di petrolio del 2010», di verificare le condizioni attuali del territorio e «condannare le convenute a risarcire tutti i danni patiti dalla comunità e a eseguire la bonifica dell’area inquinata». L’Eni comunque da tempo si è dotata di una serie di strumenti di “due diligence” che applica in generale nella propria attività e nello specifico in quella nigeriana, vincolanti anche per la Naoc. Lo scorso gennaio la multinazionale ha ulteriormente rafforzato la sua partnership in Nigeria contribuendo a promuovere nuove attività in gradi di contribuire in misura significativa allo sviluppo economico e sociale in Nigeria.
da operai contro
La vecchia storia di Davide (Ikebiri) contro Golia (Eni)
Re e sudditi Ikebiri, grazie all’aiuto di Friends of The Eart, dopo essersi rivolti alla giustizia nigeriana, hanno deciso, attraverso l’avvocato Luca Saltalamacchia, di depositare un esposto anche a Milano, competente sulla sede centrale di Eni a San Donato. E oggi la citazione è stata notificata all’Ente controllato dal Tesoro, chiedendo la bonifica del territorio e un risarcimento “adeguato” pari a due milioni di euro. Si tratta del primo giudizio nel nostro ordinamento introdotto da una comunità straniera nei confronti di una multinazionale italiana.
Le trattative interrotte per un risarcimento
Il 5 aprile del 2010 la conduttura petrolifera, di proprietà della Naoc, società controllata dall’Eni in
Nigeria, è esplosa a 250 metri dal torrente che scorre nella zona settentrionale dei territori della comunità Ikebiri le cui principali attività economiche vanno dalla produzione dell’olio di palma, alla costruzione di canoe, alla pesca e all’agricoltura. Una comunità rurale ma sveglia, visto che ha deciso di promuovere una causa internazionale. Inizialmente gli Ikebiri si erano rivolti all’Eni, ottenendo «un pagamento di due milioni di naira, equivalenti a 6.000 euro attuali e a 10 mila nel 2010», spiega l’avvocato Saltalamacchia. L’offerta iniziale di 4,5 milioni di naira (pari a 13 mila euro attuali e 22 mila nel 2010) è stata rifiutata dal Re, che l’ha giudicata insufficiente. Da allora le trattative si sono interrotte e la comunità ha deciso di rivolgersi agli avvocati anche in Italia. I quali spiegano che «secondo gli standard applicati in passato dalle corti nigeriane, e tenuto conto del tempo trascorso dal 2010 a oggi senza che sia stata effettuata una bonifica, un risarcimento congruo dovrebbe ammontare a poco più di 700 milioni di naira, circa due milioni di euro».
“In molti si sono ammalati”
Spiega Emilia Mattew, residente della comunità Ikebiri che «in questi anni molti di noi si sono ammalati. La pesca, che è sempre stata auna nostra fonte di sostentamento è ormai a rischio. Anche le coltivazioni che comprendono le piante medicinali che usiamo per curarci, sono state compromesse…». Ai giudici milanesi, gli Ikebiri chiedono di «accertare la responsabilità dell’Eni e di Naoc in relazione allo sversamento di petrolio del 2010», di verificare le condizioni attuali del territorio e «condannare le convenute a risarcire tutti i danni patiti dalla comunità e a eseguire la bonifica dell’area inquinata». L’Eni comunque da tempo si è dotata di una serie di strumenti di “due diligence” che applica in generale nella propria attività e nello specifico in quella nigeriana, vincolanti anche per la Naoc. Lo scorso gennaio la multinazionale ha ulteriormente rafforzato la sua partnership in Nigeria contribuendo a promuovere nuove attività in gradi di contribuire in misura significativa allo sviluppo economico e sociale in Nigeria.
da operai contro
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