Il documento-appello della “Rete catanese contro il G7” di Taormina
No al G7 di Taormina
Il 26 e 27 maggio prossimi, si svolgerà a Taormina il G7, la riunione dei capi di stato e di governo delle sette maggiori potenze mondiali (U.S.A., Canada, Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia). La riunione servirà a definire e coordinare linee comuni di intervento sui problemi fondamentali della politica e dell’economia mondiale. In un mondo nel quale gli 8 uomini più ricchi dispongono di risorse uguali alla somma di quelle a disposizione di 3,6 miliardi di persone più povere (in Italia l’1% della popolazione possiede un quarto di tutta la ricchezza nazionale), questa riunione,
anche a causa del clima di caccia alle streghe imposto in USA da Trump contro i/le migranti, servirà a ribadire differenze e privilegi. Servirà a confermare ed estendere gli scenari di guerra, la cosiddetta esportazione della democrazia, con la complicità dell’Unione Europea che, di concerto con la NATO, pratica una politica interventista e guerrafondaia: mentre in Europa, come in Ucraina, riemergono logiche populiste e fasciste. Alimenterà le ingiustizie sociali e il razzismo: mentre i/le migranti muoiono le merci sono libere di circolare; non deciderà nulla, nonostante la drammatica crisi ambientale, per fermare la devastazione del pianeta. Voi G8 (in quel caso partecipava anche la Russia) noi 6 miliardi, si gridò a Genova, nel 2001. Anche oggi ribadiamo che gli interessi delle grandi potenze capitalistiche non possono venire prima dei bisogni reali di uomini e donne, delle esigenze della terra, della salvaguardia dei beni comuni e della democrazia. Che Taormina ospiti questo vertice non è, perciò, motivo di vanto. Al contrario, ci sembra drammaticamente coerente con la logica di chi sta trasformando la Sicilia in una terra ostile all’accoglienza di donne, uomini e minori migranti (Frontex, Cara di Mineo, Hot spot), ma disponibile a subire i peggiori disastri ambientali (dai grandi impianti inquinanti, all’aumento d’inceneritori e discariche); mentre si aggravano i processi di militarizzazione, sia rispetto alla circolazione delle idee (controllo della rete), sia disseminando l’Isola di basi militari, italiane, U.S.A. e N.A.T.O. Infine, riteniamo che Taormina sia stata scelta seguendo una logica che vede i territori meridionali in condizioni sempre più subordinate, utili solo come luoghi nei quali smaltire scorie e installare discariche. Per questi motivi, ci mobilitiamo, e invitiamo tutte e tutti a mobilitarsi, perché, in nome di una Sicilia “terra di pace e di accoglienza”, il G7 trovi una radicale e diffusa opposizione sociale.
Premessa
Il G7 ha come protagonisti i capi di stato e di governo dei paesi più industrializzati che, seppure in competizione fra loro, sono uniti dalla volontà di accentrare risorse e potere nelle mani di pochi, facendoci subire in ogni ambito scelte volutamente inique e saccheggiatrici, al punto tale che negli ultimi decenni sono state rimesse in discussione conquiste e diritti sociali ottenuti in circa 200 anni di lotte. Oggi, ogni scambio in qualsiasi ambito del vivere comunitario viene sistematicamente “mercificato”, imponendo unicamente l’ingiusta logica del “massimo profitto”, ottenibile solo tramite un crescente e vergognoso sfruttamento del lavoro di ogni donna e di ogni uomo e dell’ecosistema dei nostri territori. Le decisioni politiche avvengono in luoghi sempre più ristretti, rendendo inaccessibile qualsiasi reale e diretto intervento politico a intere popolazioni. In questo quadro, crisi, repressione e guerre abitano il presente e, se le cose non cambieranno, il futuro. Noi non siamo disponibili a subire tutto ciò in silenzio. Contestiamo radicalmente il G7 e proponiamo, sui temi più significativi, progetti alternativi e “possibili”.
Lavoro e diritti
L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro e su esso basa lo sviluppo del proprio tessuto economico e sociale. Le politiche messe in atto dai governi Italiani negli ultimi anni hanno prodotto riforme pessime, come la Riforma del mercato del 2011, la cosiddetta “Buona scuola” ed il Jobs Act del 2015, che hanno eroso lo stato sociale e aggravato le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici, causando l’aumento della disoccupazione e del precariato e colpendo in modo trasversale i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. L’occupazione femminile ha tenuto meglio di quella maschile durante la crisi. Gli uomini hanno perso quasi un milione di occupati, le donne presentano un segno leggermente positivo. Notizia di pochi giorni fa è quella che il 70% delle famiglie italiane si reggono sul lavoro delle componenti femminili della famiglia. Ma la leggera crescita dell’occupazione femminile nel periodo di crisi è avvenuta al prezzo di un peggioramento della qualità del lavoro delle donne: è aumentato il part-time involontario, la sovra-istruzione e sono aumentate le professioni non qualificate mentre sono diminuite quelle tecniche. La Sicilia è una delle aree dell’UE maggiormente colpita da queste politiche neo-liberiste, lo confermano i tassi di disoccupazione fortemente allarmanti: 21,9% dato generale e 55,9% nell’età compresa tra i 20 e 35 anni. La vocazione dell’isola, prevalentemente agricola e turistica, è stata mortificata da politiche economiche fortemente condizionate dalla presenza della mafia e subordinate agli interessi delle multinazionali, che, dopo aver sfruttato risorse e lavoratori, hanno abbandonato il territorio lasciando dietro di sé il deserto: devastazioni ambientali e disoccupazione. E' in atto nel Mezzogiorno d'Italia, in Sicilia più che altrove, un rafforzamento della grande azienda capitalistica, che si giova dei finanziamenti comunitari, mediati dagli intrecci mafiosi-clientelari regionali, della diffusione del caporalato e del lavoro schiavistico, compromettendo l’attività delle aziende contadine. Il commercio è fortemente penalizzato da un sistema di trasporti molto arretrato ed è monopolizzato dall’ingombrante e diffusa presenza di centri commerciali. Il turismo risente della carenza di infrastrutture e della cattiva gestione del ricco patrimonio storico, culturale e paesaggistico presente in Sicilia. A peggiorare la situazione contribuiscono le trivellazioni (a terra e in mare) e la diffusissima presenza di basi e servitù militari. Anche la Scuola pubblica, in Sicilia, è stata colpita in modo particolare dalla controriforma renziana: alti tassi di dispersione (circa 70,000 studenti in meno dal 2007), strutture fatiscenti (80% degli edifici scolastici risultano inagibili), “deportazione” di migliaia di docenti al Nord per la mancanza di posti di lavoro soprattutto sul sostegno e sul tempo pieno (su 15.075 docenti entrati in ruolo,9.718 sono stati costretti a trasferirsi fuori dall’isola). Per questo ci opporremo fermamente al prossimo G7, al progressivo smantellamento dell’apparato produttivo, e facciamo appello a lottare per valorizzare l’economia, le risorse e le intelligenze locali, per dare un presente ed un futuro alle nuove generazioni, nel pieno rispetto dei diritti di tutti i lavoratori e le lavoratrici.
Energia e Territori
La “lotta ai cambiamenti climatici”, insieme alla “sostenibilità ambientale”, sono gli impegni che sulla carta, e da decenni, i leader degli Stati più industrializzati del mondo dichiarano, senza mai raggiungerli, e ciò a causa della subordinazione a un sistema socio-economico in cui la natura è considerata mera “risorsa”, da sfruttare e mercificare per il profitto di pochi (il famoso 1%), anziché un bene comune. Nella realtà, le politiche energetiche sono al servizio delle lobby industriali e fatte di finanziamenti per decine di miliardi di euro alle centrali da fonti fossili (petrolio, carbone, gas), cioè alla causa principale dei cambiamenti climatici. In questa direzione, un ulteriore segnale negativo è dato dai recenti sviluppi e dalla progressiva globalizzazione del mercato del GNL (gas naturale liquefatto, un gigantesco business che, fra l’altro, disseminerà di terminal GNL costieri i principali porti mediterranei. Queste scelte determinano: danni irreversibili alla salute delle popolazioni e crescenti fenomeni migratori (aumento delle temperature, inondazioni, siccità, desertificazione)
Discariche e inceneritori, trivelle e deforestazioni, impianti inquinanti e scorie pericolose sono le minacce più comuni, per l’uomo e per l’ambiente, contro le quali le comunità resistono in tutto il mondo per riaffermare il diritto all’autodeterminazione popolare e a un’esistenza libera, dignitosa e in armonia con la natura. Diciamo basta ai soprusi generati dalla grande industria, con la complicità delle istituzioni, per fermare la distruzione dei territori, rivendicare bonifiche e riconversione ecologica delle economie, rimettere al centro le persone e rifiutare il ricatto occupazionale che contrappone la prospettiva di un reddito, spesso precario e senza tutele, al diritto di vivere in un ambiente sano, pulito e sicuro.
L’agricoltura contadina e la sovranità alimentare
L’agricoltura contadina ha oggi un’importanza fondamentale nel contribuire in modo sostanziale alla soluzione di alcuni grandi problemi che affliggono il nostro mondo. Il 70% del cibo grazie al 30% dello spazio agricolo viene prodotto attraverso l’agricoltura contadina, mentre l’agroindustria occupa il 70% dello spazio e il 30% della produzione di cibo, con costi enormi, e gravi danni all’ambiente. Inoltre, i paesi che rappresentano il G7, più l’Unione Europea, portano avanti un modello economico che opprime i contadini. I grandi investimenti dell’agro-industria hanno un effetto significativo sulla riduzione della capacità dei piccoli produttori accaparrando le terre, controllando i mercati, monopolizzando l’accesso alle risorse naturali, privatizzando le risorse genetiche, limitando la biodiversità ai parametri commerciali, promovendo l’utilizzo di sostanze chimiche tossiche nei processi produttivi. La sovranità alimentare rappresenta “il diritto” dei popoli, delle comunità e dei Paesi di definire le proprie politiche agricole, del lavoro, della pesca, del cibo e della terra, in un quadro appropriato sul piano ecologico, sociale, economico e culturale, rispettoso delle specificità di ogni singola realtà. In Sicilia, già "granaio dell’impero", l’agricoltura è stata scientificamente “depressa”, con il conseguente abbandono di vaste aree di terreni, l’aumento dello sfruttamento dei braccianti, l’esplosione del lavoro nero, il caporalato, il recente utilizzo schiavista delle braccia delle sorelle e dei fratelli migranti ed il controllo mafioso del territorio.
Sicilia avamposto di guerra
L’Italia ha subito dal dopoguerra, ma con forte accelerazione negli ultimi anni, una sempre crescente militarizzazione del territorio. Tale fenomeno, non dovuto all’ incremento delle difese nazionali, dipende dalle servitù militari costituite in favore di organismi sovranazionali, in particolare NATO, e delle forze armate statunitensi. Già da tempo le installazioni militari straniere sul nostro territorio hanno superato il centinaio. Ciò, oltre a rendere l’Italia un obiettivo sensibile sotto un profilo bellico, ci ha stretti in una rete di alleanze e accordi di collaborazione che ci costringe alla partecipazione ad interventi militari del tutto contrari ai principi dell’art. 11 della nostra Costituzione, ad acquisti e vendite di armamenti che pesano enormemente sulla nostra economia e che favoriscono solo i profitti del complesso militare-industriale (vedi Finmeccanica). Per acquisti di armamenti e missioni militari vengono spesi giornalmente 64 milioni di euro ( 23,3 miliardi di euro annui), sottratti alla cura dei malati, all’istruzione, alla tutela del lavoro, del territorio, dei beni artistici. La Sicilia, col MUOS e con il prossimo allargamento di Sigonella, già principale base aerea per droni (micidiali aerei senza pilota) di tutto il bacino mediterraneo, rappresenta il simbolo della presenza militare Usa-Nato nel nostro territorio. Presenza consentita in dispregio delle norme costituzionali e della volontà dei cittadini che ci costringe anche all’ospitalità di arsenali nucleari, non voluti per referendum. Noi proponiamo di mobilitarci per la smilitarizzazione dei nostri territori e per l’uscita dell’Italia dalla Nato di contrapporre ad un’economia di guerra, esclusione e militarizzazione delle frontiere, un’economia di pace, accoglienza ed inclusione, come ineludibile corollario del riconoscimento dei diritti umani, d’asilo e per liberare l’umanità dalla barbarie della guerra e del razzismo.
La Sicilia frontiera sud della Fortezza Europa
Da decenni la Sicilia, per la sua collocazione geo-strategica, è sempre più la frontiera di terra più a sud della fortezza Europa, anche se la progressiva esternalizzazione delle frontiere coinvolge i paesi del Nord Africa e i governi europei, oltre a “formare” la guardia costiera libica per impedire la partenza di uomini, donne e minori migranti, stanno pensando di blindare la frontiera sud della Libia per bloccare (e far morire) i migranti nel deserto del Sahara. La nostra Isola è sempre più coinvolta nella sperimentazione di nuove politiche di guerra ai/alle migranti, sia attraverso la crescente militarizzazione dei salvataggi e degli sbarchi, sia con la proliferazione di centri di “accoglienza” funzionali al mega-business degli amici degli amici (vedi Mafia capitale per il Cara di Mineo). Oramai, prima della salvaguardia della salute psicofisica delle e dei migranti appena sbarcati, ai tutori dell'ordine ed agli ispettori di Frontex interessa la “sicurezza contro il terrorismo”, s'infliggono così lunghe ore d'attesa, a volte sotto la pioggia, ai migranti prima di scendere in banchina per le operazioni d'identificazione, riconoscendo esplicitamente anche l'uso della forza per prendere le impronte digitali. In occasione del prossimo G7 a Taormina, centro dell'agenda politica internazionale vi sarà la crescita delle politiche di guerra ai migranti attizzando fratricide guerre fra poveri e ai poveri con il pretesto della difesa della “nostra” sicurezza minacciata dall'invasione di “orde islamiche”. Un motivo di più per mettere al centro dell'agenda politica dei movimenti sociali la solidarietà internazionalista fra i popoli contro il neoliberismo, le guerre e la nuova apartheid. Noi proponiamo di contrapporre ad un’economia di guerra, esclusione e rafforzamento delle frontiere, un’economia di pace ed inclusione, come ineludibile corollario del riconoscimento dei diritti e della libertà di uomini e donne".
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