Antonio Gramsci, capo del partito comunista, dirigente del proletariato italiano, dedicò tutta la sua vita alla causa rivoluzionaria.
Gli operai, tutti i lavoratori, i giovani, le donne, devono conoscere la sua-nostra storia. Chi non ha passato, chi vuole cancellare la memoria della grande storia dei proletari e delle masse popolari, dei comunisti (quelli veri, rivoluzionari) in Italia, non può avere futuro. E' il nostro filo rosso, che nessuno può spezzare, che deve dare oggi fiducia e certezza che anche ora è possibile costruire un vero partito comunista, di tipo nuovo, riaffermare la via rivoluzionaria, della guerra di popolo nel nostro paese, traendo tutte le lezioni necessarie dalla nostra storia - la più importante nei paesi europei - e dal pensiero e azione di A. Gramsci.
Antonio Gramsci, sardo di nascita, alla età di circa 25 anni, forma le prime solide basi del suo pensiero e della sua militanza rivoluzionari, durante la prima guerra mondiale, a Torino.
La
guerra imperialista rende ancora più profonde le sofferenze delle
masse lavoratrici operaie e contadine
nel nostro paese. Milioni di lavoratori lasciano la vita al fronte
costretti a combattere per gli interessi del governo reazionario
italiano; nel paese mancano i viveri per il popolo e i prezzi
aumentano a dismisura; un grande moto di protesta diffuso ovunque
prepara un'imminente tempesta rivoluzionaria contro lo stato
imperialista.
Torino
è la massima città industriale del paese: la classe operaia
giovane, combattiva e ben organizzata accoglie con entusiasmo le idee
della rivoluzione e le traduce nella sua pratica di lotta.
Gramsci,
membro della sezione torinese del PSI, redattore dell'Avanti, è
l'unico in Italia che
sappia capire questo profondo mutamento e l'esigenza di porsene a capo per guidarlo alla vittoria. Nel 1917, quando la rivoluzione di febbraio in Russia abbatte il regime zarista, Gramsci comprende l'attualità della rivoluzione anche nel resto d'Europa e in Italia e per primo riconosce in Lenin e nei bolscevichi i capi di una rivoluzione proletaria che approderà inevitabilmente al socialismo: “I bolscevichi sono la stessa rivoluzione russa... Lenin ha suscitato energie che più non moriranno”, così scrisse nel maggio del 1917. Fu alla testa della grande manifestazione tenuta a Torino da 40 mila operai in accoglienza della delegazione del Soviet di Pietroburgo il 13 agosto del 1917. lanciò la parola d'ordine «Viva Lenin» e tutti i presenti gridarono entusiasti. La delegazione composta da menscevichi, amici dei riformisti italiani, non potè proseguire nel suo comizio. Dieci giorni dopo, gli operai e il governo torinese davano vita a una vera e propria insurrezione armata, nel nome di Lenin e dei Soviet, contro la guerra, per il pane e la pace.
sappia capire questo profondo mutamento e l'esigenza di porsene a capo per guidarlo alla vittoria. Nel 1917, quando la rivoluzione di febbraio in Russia abbatte il regime zarista, Gramsci comprende l'attualità della rivoluzione anche nel resto d'Europa e in Italia e per primo riconosce in Lenin e nei bolscevichi i capi di una rivoluzione proletaria che approderà inevitabilmente al socialismo: “I bolscevichi sono la stessa rivoluzione russa... Lenin ha suscitato energie che più non moriranno”, così scrisse nel maggio del 1917. Fu alla testa della grande manifestazione tenuta a Torino da 40 mila operai in accoglienza della delegazione del Soviet di Pietroburgo il 13 agosto del 1917. lanciò la parola d'ordine «Viva Lenin» e tutti i presenti gridarono entusiasti. La delegazione composta da menscevichi, amici dei riformisti italiani, non potè proseguire nel suo comizio. Dieci giorni dopo, gli operai e il governo torinese davano vita a una vera e propria insurrezione armata, nel nome di Lenin e dei Soviet, contro la guerra, per il pane e la pace.
Gramsci
anche qui a dispetto della direzione riformista del partito e del
sindacato, capì che era necessario prendere la testa di questa
giusta rivolta, lottò perchè partito e sindacato non si
dissociassero, come fecero, dalla lotta, ma vi partecipassero in
prima linea.
Venne
la grave sconfitta della classe operaia torinese: oltre. cento operai
uccisi e migliaia di arresti, ma venne anche, due mesi dopo, la
notizia della vittoria della rivoluzione di Ottobre in Russia.
La
constatazione del disastroso fallimento del riformismo e
l'affermazione vittoriosa del leninismo in Unione Sovietica portarono
Antonio Gramsci a un periodo molto intenso di studio e di
rafforzamento dei legami con gli operai torinesi per approfondire i
fini e le ragioni concrete della lotta.
In
questo periodo pose le basi della battaglia frontale che avrebbe
sviluppato negli anni 1919-1920, contro il riformismo, dalle colonne
del settimanale torinese L'Ordine nuovo da lui diretto.
Tre
punti fondamentali furono al centro della lotta dell'« Ordine Nuovo
»: la necessità della dittatura del
proletariato, la validità dei Consigli di fabbrica e l'esigenza di
un partito capace di unire tutti i lavoratori in un comune programma
rivoluzionario espressione della classe espressione operaia.
Il
21 giugno 1919 scriveva: “La dittatura del proletariato deve finire
di essere solo una formula, un'occasione per sfoggiare solo
fraseologia rivoluzionaria... La dittatura del proletariato è
l'instaurazione di un nuovo stato tipicamente proletario”.
Vide
nei Consigli dì fabbrica gli strumenti fondamentali della dittatura
del proletariato; ne riconobbe il carattere di organizzazione
spontanea della classe operaia il cui fine è la lotta politica
rivoluzionaria ed insieme affermò l'esigenza di una salda direzione
rivoluzionaria per combattere le posizioni opportuniste al loro
interno.
Nel
programma del 10 maggio 1920 mostrò come per lui il primo compito
del partito fosse quello di
unire tutto il movimento di massa intorno al programma politico della
classe operaia. Un partito centralizzato
ed unito, epurato dai riformisti, non una congrega di «puri»,
frazionisti fra le masse, bensì
un'organizzazione d'avanguardia capace di raccogliere tutte le
esigenze delle masse nell'obiettivo della presa del potere.
Il
1920 fu l'anno in cui Gramsci verificò nella pratica di capo
politico della classe operaia il suo impegno di teorico marxista
leninista. Nel dicembre del 1919,i Consigli di fabbrica presenti in
quasi tutti gli stabilimenti torinesi, sotto la direzione personale
di Gramsci e della sezione torinese del partito, organizzarono uno
sciopero di grande portata. Scrive Gramsci in un rapporto del '20
all'Internazionale Comunista: “Dietro ordine della sezione
torinese... i Consigli di fabbrica mobilitarono senza alcuna
preparazione, nel corso di un'ora, centoventimila operai, inquadrati
secondo le aziende. Un'ora dopo si precipitò l'armata proletaria
come una valanga fino al centro della città e spazzò dalle strade e
dalle piazze tutto il canagliume nazionalista e militarista”.
Gramsci,
con i comunisti (allora non si chiamavano cosi) torinesi era ormai il
capo di un possente movimento
rivoluzionario, altamente cosciente e compatto che univa tutta la
classe operaia di Torino. Egli combatteva nel partito perchè questo
movimento si generalizzasse a tutto il paese, dato che le condizioni
erano mature. “Gli operai industriali e agricoli sono
incoercibilmente determinati su tutto il territorio nazionale a porre
in modo esplicito e violento la questione della proprietà sui mezzi
di produzione..., ma il partito socialista assiste da spettatore allo
svolgersi degli eventi”. Il partito paralizzato dei riformisti,
rimaneva inerte di fronte ai richiami.
Il
13 aprile 1920 a Torino veniva proclamato lo sciopero generale per il
riconoscimento dei Consigli di
fabbrica. Il movimento si sviluppava nei mesi estivi, i nuclei
comunisti conquistavano la maggioranza nei Consigli e gli operai si
armavano per lo scontro decisivo.
Si
arriva a settembre. Gramsci capisce che il movimento difficilmente
riuscirà a vincere su tutto il territorio
nazionale, ma ugualmente decide che il suo posto di dirigente
proletario deve essere alla testa della classe operaia. Il 20
settembre la Fiat-Centro è occupata dagli operai armati: il
Consiglio di fabbrica ha nelle mani la direzione. Il movimento di
occupazione si estende a macchia d'olio a tutti gli stabilimenti
della città. In tutt'Italia, ovunque arriva la notizia, gli operai
seguono spontaneamente l'esempio di Torino, nel Sud grandi movimenti
contadini si sviluppano contro gli agrari. Ma i riformisti bloccano
ogni azione del partito e collaborano col governo per la
smobilitazione. La lotta eroica della classe operaia torinese viene
isolata, divisa e stroncata nella repressione.
A
chi lo accusò di avventurismo, Gramsci rispose: «Se il proletariato
torinese è stato sconfitto la classe operaia italiana ha riportato
una grande vittoria», il proletariato italiano imparò nel 1920
quali erano i suoi grandi compiti rivoluzionari e quali fossero i
limiti della sua organizzazione.
Gramsci
comprese che i tempi stringevano; che era necessario subito lottare
per la costruzione di un partito
veramente rivoluzionario che si ponesse alla testa del grande
movimento che si sviluppava. Tuttavia polemizzò fortemente con
Bordiga il quale anche sosteneva la necessità di un partito, ma lo
intendeva in senso metafisico. Ciò che interessava a Bordiga era
selezionare i puri rivoluzionari nel PSI e rinchiuderli in una
sterile organizzazione di propaganda dei principi, scissa dal
movimento di massa e il più delle volte contrapposta ad essa (non a
caso Bordiga aveva duramente condannato l'occupazione delle fabbriche
a Torino), Gramsci voleva invece che il partito si fondasse con lo
scopo di unire il movimento, che nella lotta contro i riformisti
fossero uniti tutti i quadri e gli operai rivoluzionari (seguendo
questa linea, a Torino, egli era riuscito ad espellere i riformisti
dal partito e dai Consigli).
Bordiga
vedeva il partito come rottura e isolamento dal movimento, per
Gramsci il partito era una scelta
d'avanguardia per l'unità del movimento.
Lenin
e l'Internazionale Comunista appoggiarono Gramsci e condannarono
Bordiga.
Dopo
l'occupazione delle fabbriche, la lotta nel partito divenne
durissima. Gramsci comprese la direttiva dell'Internazionale che
indicava la necessità di allearsi con i bordighisti e colpire i
centristi che paralizzavano il partito. A Livorno sostenne la
fondazione del PC d'I e la lotta contro Serrati, il quale per “unità
del partito” intendeva unità coi riformisti.
Per
tutto un anno dopo la fondazione del partito Gramsci lavorò
intensamente per rafforzare l'organizzazione e intensificare il
lavoro di formazione dei quadri. Nel 1922 andò in Unione Sovietica
come delegato del Partito al Comitato Esecutivo dell'Internazionale.
Vi rimase fino al 1924.
Durante
la permanenza in URSS egli venne a contatto col grande Lenin e con i
capi del partito bolscevico e contemporaneamente segui con ardore ed
impegno dirigente lo sviluppo del partito e gli avvenimenti della
lotta di classe in Italia.
La
sua formazione teorica si compenetrò indissolubilmente coi
fondamenti pensiero leninista: assimilò
profondamente la concezione leninista del partito, della strategia e
della tattica.
(CONTINUA)
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