giovedì 4 maggio 2017

pc 4 maggio - FORMAZIONE OPERAIA - GRAMSCI: LA SUA VITA, IL SUO IMPEGNO COMUNISTA - 1° parte

Antonio Gramsci, capo del partito comunista, dirigente del proletariato italiano, dedicò tutta la sua vita alla causa rivoluzionaria.
Gli operai, tutti i lavoratori, i giovani, le donne, devono conoscere la sua-nostra storia. Chi non ha passato, chi vuole cancellare la memoria della grande storia dei proletari e delle masse popolari, dei comunisti (quelli veri, rivoluzionari) in Italia, non può avere futuro. E' il nostro filo rosso, che nessuno può spezzare, che deve dare oggi fiducia e certezza che anche ora è possibile costruire un vero partito comunista, di tipo nuovo, riaffermare la via rivoluzionaria, della guerra di popolo nel nostro paese, traendo tutte le lezioni necessarie dalla nostra storia - la più importante nei paesi europei  - e dal pensiero e azione di A. Gramsci. 

























Antonio Gramsci, sardo di nascita, alla età di circa 25 anni, forma le prime solide basi del suo pensiero e della sua militanza rivoluzionari, durante la prima guerra mondiale, a Torino.
La guerra imperialista rende ancora più profonde le sofferenze delle masse lavoratrici operaie e contadine nel nostro paese. Milioni di lavoratori lasciano la vita al fronte costretti a combattere per gli interessi del governo reazionario italiano; nel paese mancano i viveri per il popolo e i prezzi aumentano a dismisura; un grande moto di protesta diffuso ovunque prepara un'imminente tempesta rivoluzionaria contro lo stato imperialista.
Torino è la massima città industriale del paese: la classe operaia giovane, combattiva e ben organizzata accoglie con entusiasmo le idee della rivoluzione e le traduce nella sua pratica di lotta.
Gramsci, membro della sezione torinese del PSI, redattore dell'Avanti, è l'unico in Italia che
sappia capire questo profondo mutamento e l'esigenza di porsene a capo per guidarlo alla vittoria. Nel 1917, quando la rivoluzione di febbraio in Russia abbatte il regime zarista, Gramsci comprende l'attualità della rivoluzione anche nel resto d'Europa e in Italia e per primo riconosce in Lenin e nei bolscevichi i capi di una rivoluzione proletaria che approderà inevitabilmente al socialismo: “I bolscevichi sono la stessa rivoluzione russa... Lenin ha suscitato energie che più non moriranno”, così scrisse nel maggio del 1917. Fu alla testa della grande manifestazione tenuta a Torino da 40 mila operai in accoglienza della delegazione del Soviet di Pietroburgo il 13 agosto del 1917. lanciò la parola d'ordine «Viva Lenin» e tutti i presenti gridarono entusiasti. La delegazione composta da menscevichi, amici dei riformisti italiani, non potè proseguire nel suo comizio. Dieci giorni dopo, gli operai e il governo torinese davano vita a una vera e propria insurrezione armata, nel nome di Lenin e dei Soviet, contro la guerra, per il pane e la pace.
Gramsci anche qui a dispetto della direzione riformista del partito e del sindacato, capì che era necessario prendere la testa di questa giusta rivolta, lottò perchè partito e sindacato non si dissociassero, come fecero, dalla lotta, ma vi partecipassero in prima linea.
Venne la grave sconfitta della classe operaia torinese: oltre. cento operai uccisi e migliaia di arresti, ma venne anche, due mesi dopo, la notizia della vittoria della rivoluzione di Ottobre in Russia.
La constatazione del disastroso fallimento del riformismo e l'affermazione vittoriosa del leninismo in Unione Sovietica portarono Antonio Gramsci a un periodo molto intenso di studio e di rafforzamento dei legami con gli operai torinesi per approfondire i fini e le ragioni concrete della lotta.
In questo periodo pose le basi della battaglia frontale che avrebbe sviluppato negli anni 1919-1920, contro il riformismo, dalle colonne del settimanale torinese L'Ordine nuovo da lui diretto.
Tre punti fondamentali furono al centro della lotta dell'« Ordine Nuovo »: la necessità della dittatura del proletariato, la validità dei Consigli di fabbrica e l'esigenza di un partito capace di unire tutti i lavoratori in un comune programma rivoluzionario espressione della classe espressione operaia.
Il 21 giugno 1919 scriveva: “La dittatura del proletariato deve finire di essere solo una formula, un'occasione per sfoggiare solo fraseologia rivoluzionaria... La dittatura del proletariato è l'instaurazione di un nuovo stato tipicamente proletario”.
Vide nei Consigli dì fabbrica gli strumenti fondamentali della dittatura del proletariato; ne riconobbe il carattere di organizzazione spontanea della classe operaia il cui fine è la lotta politica rivoluzionaria ed insieme affermò l'esigenza di una salda direzione rivoluzionaria per combattere le posizioni opportuniste al loro interno.
Nel programma del 10 maggio 1920 mostrò come per lui il primo compito del partito fosse quello di unire tutto il movimento di massa intorno al programma politico della classe operaia. Un partito centralizzato ed unito, epurato dai riformisti, non una congrega di «puri», frazionisti fra le masse, bensì un'organizzazione d'avanguardia capace di raccogliere tutte le esigenze delle masse nell'obiettivo della presa del potere.
Il 1920 fu l'anno in cui Gramsci verificò nella pratica di capo politico della classe operaia il suo impegno di teorico marxista leninista. Nel dicembre del 1919,i Consigli di fabbrica presenti in quasi tutti gli stabilimenti torinesi, sotto la direzione personale di Gramsci e della sezione torinese del partito, organizzarono uno sciopero di grande portata. Scrive Gramsci in un rapporto del '20 all'Internazionale Comunista: “Dietro ordine della sezione torinese... i Consigli di fabbrica mobilitarono senza alcuna preparazione, nel corso di un'ora, centoventimila operai, inquadrati secondo le aziende. Un'ora dopo si precipitò l'armata proletaria come una valanga fino al centro della città e spazzò dalle strade e dalle piazze tutto il canagliume nazionalista e militarista”.
Gramsci, con i comunisti (allora non si chiamavano cosi) torinesi era ormai il capo di un possente movimento rivoluzionario, altamente cosciente e compatto che univa tutta la classe operaia di Torino. Egli combatteva nel partito perchè questo movimento si generalizzasse a tutto il paese, dato che le condizioni erano mature. “Gli operai industriali e agricoli sono incoercibilmente determinati su tutto il territorio nazionale a porre in modo esplicito e violento la questione della proprietà sui mezzi di produzione..., ma il partito socialista assiste da spettatore allo svolgersi degli eventi”. Il partito paralizzato dei riformisti, rimaneva inerte di fronte ai richiami.
Il 13 aprile 1920 a Torino veniva proclamato lo sciopero generale per il riconoscimento dei Consigli di fabbrica. Il movimento si sviluppava nei mesi estivi, i nuclei comunisti conquistavano la maggioranza nei Consigli e gli operai si armavano per lo scontro decisivo.
Si arriva a settembre. Gramsci capisce che il movimento difficilmente riuscirà a vincere su tutto il territorio nazionale, ma ugualmente decide che il suo posto di dirigente proletario deve essere alla testa della classe operaia. Il 20 settembre la Fiat-Centro è occupata dagli operai armati: il Consiglio di fabbrica ha nelle mani la direzione. Il movimento di occupazione si estende a macchia d'olio a tutti gli stabilimenti della città. In tutt'Italia, ovunque arriva la notizia, gli operai seguono spontaneamente l'esempio di Torino, nel Sud grandi movimenti contadini si sviluppano contro gli agrari. Ma i riformisti bloccano ogni azione del partito e collaborano col governo per la smobilitazione. La lotta eroica della classe operaia torinese viene isolata, divisa e stroncata nella repressione.
A chi lo accusò di avventurismo, Gramsci rispose: «Se il proletariato torinese è stato sconfitto la classe operaia italiana ha riportato una grande vittoria», il proletariato italiano imparò nel 1920 quali erano i suoi grandi compiti rivoluzionari e quali fossero i limiti della sua organizzazione.
Gramsci comprese che i tempi stringevano; che era necessario subito lottare per la costruzione di un partito veramente rivoluzionario che si ponesse alla testa del grande movimento che si sviluppava. Tuttavia polemizzò fortemente con Bordiga il quale anche sosteneva la necessità di un partito, ma lo intendeva in senso metafisico. Ciò che interessava a Bordiga era selezionare i puri rivoluzionari nel PSI e rinchiuderli in una sterile organizzazione di propaganda dei principi, scissa dal movimento di massa e il più delle volte contrapposta ad essa (non a caso Bordiga aveva duramente condannato l'occupazione delle fabbriche a Torino), Gramsci voleva invece che il partito si fondasse con lo scopo di unire il movimento, che nella lotta contro i riformisti fossero uniti tutti i quadri e gli operai rivoluzionari (seguendo questa linea, a Torino, egli era riuscito ad espellere i riformisti dal partito e dai Consigli).
Bordiga vedeva il partito come rottura e isolamento dal movimento, per Gramsci il partito era una scelta d'avanguardia per l'unità del movimento.
Lenin e l'Internazionale Comunista appoggiarono Gramsci e condannarono Bordiga.
Dopo l'occupazione delle fabbriche, la lotta nel partito divenne durissima. Gramsci comprese la direttiva dell'Internazionale che indicava la necessità di allearsi con i bordighisti e colpire i centristi che paralizzavano il partito. A Livorno sostenne la fondazione del PC d'I e la lotta contro Serrati, il quale per “unità del partito” intendeva unità coi riformisti.
Per tutto un anno dopo la fondazione del partito Gramsci lavorò intensamente per rafforzare l'organizzazione e intensificare il lavoro di formazione dei quadri. Nel 1922 andò in Unione Sovietica come delegato del Partito al Comitato Esecutivo dell'Internazionale. Vi rimase fino al 1924.
Durante la permanenza in URSS egli venne a contatto col grande Lenin e con i capi del partito bolscevico e contemporaneamente segui con ardore ed impegno dirigente lo sviluppo del partito e gli avvenimenti della lotta di classe in Italia.
La sua formazione teorica si compenetrò indissolubilmente coi fondamenti pensiero leninista: assimilò profondamente la concezione leninista del partito, della strategia e della tattica.
(CONTINUA)

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